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Orbán, un’altra idea di democrazia e di popolo

di Stefano De Rosa - 05/04/2020

Orbán, un’altra idea di democrazia e di popolo

Fonte: Italicum

Le reazioni scomposte delle vestali democratiche al voto del parlamento ungherese celano il pregiudizio ideologico ed un sospetto doppiopesismo sulle colpe della Cina

 Confessiamo che, man mano che il coronavirus ha dispiegato le sue letali potenzialità, è sembrato inverosimile che nessun graduato del pensiero mainstream in servizio permanente effettivo – dalla politica al giornalismo, dal mondo della cultura a quello dello spettacolo – non si fosse ancora avventurato in un audace (ma dal sicuro fortunato esito) accostamento virus-fascismo.

 A dire la verità, i ripetuti forzati confronti tra la Seconda Guerra mondiale e l’attuale pandemia – soprattutto con riferimento alla “soluzione” del problema, agli inviti alla “resistenza”, forse anche ad una rivisitazione dell’“heri dicebamus”, nonché ai continui richiami al “niente sarà più come prima” – hanno lasciato e lasciano tuttora intendere un inconscio, inconfessato desiderio di osare quella relazione. O almeno che qualcuno pronunciasse una mezza parola per poter – a ruota – legittimamente giustificare un pensiero, un articolo, un saggio.

 L’avvicinamento del premier italiano, che nelle dirette Facebook anela “l’ora suprema”, alla figura di Winston Churchill, avanzato incautamente sulle colonne di qualche giornale portatore del pensiero unico, più che irriverente – per statura politica, esperienza, senso dello stato e lignaggio – ha fatto risaltare ancor più l’infimo livello di una classe di potere nostrana chiamata non a combattere la Luftwaffe, ma, dopo aver bloccato l’Italia con decretazioni d’urgenza, a reperire e distribuire mascherine sanitarie, dimostrandosene persino incapace. Lecito, per noi, nel 2020, parlare semmai di “ora più buia”.

 Quelle pulsioni latenti non riuscite ancora ad esprimersi, come un ascesso che finalmente riesce a rompere i tessuti che lo trattengono, sono esplose a fine marzo, allorquando il premier ungherese Victór Orbán ha ottenuto quei pieni poteri per lottare contro il coronavirus. E prontamente è apparso sulla carta stampata (“Il Riformista”, 1 aprile) il seguente brocardo: «I pieni poteri sono il virus che fa da “corona”».

 Il parlamento ungherese, riportano le cronache, con una significativa maggioranza (137 voti a favore e 53 contrari) ha votato una legge sullo stato di emergenza che attribuisce al premier poteri speciali per fronteggiare la crisi sanitaria. Il provvedimento stabilisce che Orbán possa, senza limitazioni di tempo, governare sulla base di decreti, modificare o sospendere leggi vigenti, bloccare le elezioni. Previste, inoltre, pene da uno a cinque anni di carcere a chi diffonda false notizie, le famose fake news.

 Interessanti da un punto di vista politico-istituzionale, ma anche socio-psicologico, alcune reazioni stizzite all’espressione democratica del parlamento di Budapest. Molto pericolosa, ad esempio, è stata giudicata l’imposizione senza vincoli temporali dello stato di emergenza (“parlamento suddito”); non altrettanto saggio è stato trascurare, nella motivazione di questa critica, che la durata della pandemia globale non può essere conosciuta in anticipo e che, quindi, invece di procedere con risibili dpcm anticipati colpevolmente in annunci social notturni e con moduli di autocertificazione rinnovati quotidianamente (c’è chi irriguardosamente ha osato accostarli alle figurine Panini) fosse più serio procedere in altro modo. E con ben altro rispetto per il proprio popolo.

 Risibile, poi, contestare che i provvedimenti restrittivi di Orbán fossero ingiustificati stanti i pochi casi riscontrati a fine marzo: 447 contagiati e 15 decessi. Per qualche bello spirito – evidentemente “positivo” al test di democrazia cinese – l’esperienza altrui (ad esempio italiana) non conta nulla: meglio rincorrere contagi, quarantene, morti e crisi economica ormai fuori controllo che mettere in atto azioni di prevenzione.

 Ma il vero capolavoro di pregiudizio ideologico lo abbiamo riscontrato ascoltando il tg delle 20,00 della rete privata più allineata al pensiero unico e zelante servitrice del politicamente corretto: il suo direttore, nel commentare le sconcertanti notizie provenienti dall’Ungheria, ha sentito l’obbligo morale di stigmatizzare la citata stretta sulle fake news invocando il diritto di cronaca e la libertà di stampa e di opinione. Strano modo di sdoganare la logica delle false notizie, di coniugarle felicemente alle libertà costituzionali e alla deontologia professionale. Ma evidentemente ciò non solo è possibile, ma risulta eticamente doveroso se serve a giustificare una “sponda” benpensante e con le spalle coperte ad una opposizione magiara che ha parlato di “democrazia ungherese in quarantena”.

 Il nostro dovere giornalistico ci impone invece di rammentare che il gabinetto Conte-due, formalmente rispettoso dei precetti della forma di governo parlamentare, quello cioè basato sull’istituto della fiducia che l’esecutivo deve ottenere dal parlamento sul programma di attività che intende svolgere nel corso della propria vigenza in carica, fonda la sua legittimità sull’aver negato agli italiani le elezioni politiche generali. In sostanza, il suo programma di legislatura – quindi la sua ratio giuridico-politica – attorno al quale si è coagulata una maggioranza putativa è consistito nell’impedire a forze politico-sociali ad essa alternative di governare lo stato attraverso la ratifica istituzionale di un crescente consenso popolare maturato su due emergenze nazionali: quella dell’immigrazione incontrollata e quella, speculare, della burocrazia dell’Unione Europea.

 Ed altrettanto doveroso è precisare ai democratici a corrente alternata che il presunto dittatore di Budapest, al governo da dieci anni, è stato rieletto due volte dai suoi connazionali con suffragi crescenti premiando il suo partito (aderente al Ppe) con la maggioranza assoluta e che ora gode di un indice di gradimento stimato al 70-75%. La si chiami pure democratura.

 Di contro, nonostante ben due incarichi di governo con maggioranze flottanti, non risultano per Conte passaggi elettorali dagli esiti vincenti. Anzi non risultano proprio passaggi elettorali. La sua legittimità è dunque formale. Inoltre il suo esecutivo è sostenuto da un ossimoro, da una maggioranza minoritaria nel paese, il cui partito di maggioranza relativa gode di una rappresentanza sproporzionata rispetto alla realtà che alimenta disaffezione nella democrazia. Anche per il suo atteggiamento ossequioso verso un regime, quello cinese, che all’interno calpesta diritti politici, civili, sociali e religiosi e all’esterno “esporta” virus: almeno quattro negli ultimi due decenni. Ma lo spettro della dittatura aleggia a Budapest. Complimenti.