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Prassi e retorica nelle politiche di sviluppo: il caso Himba

di Gea Cavoli - 13/12/2017

Prassi e retorica nelle politiche di sviluppo: il caso Himba

Fonte: Come Don Chisciotte

ECONOMIA HIMBA

Gli Himba (o OvaHimba) sono pastori e agricoltori indigeni semi-nomadi, con una popolazione stimata di 50.000 persone. Vivono a Nord della Namibia, nella regione Kunene (formalmente Kaokoland) lungo le rive del Kunene River. Gli Himba – considerati minoranza etnica – rappresentano il 2,5% della popolazione della Namibia. Il loro patrimonio risale a circa 4.000 anni fa.

Si spostano stagionalmente dalle valli alla riva del fiume seguendo le piogge, alla ricerca di foraggio per il loro bestiame. Ogni insediamento Himba (onganda) è composto da più capanne (ondjuwo) edificate con rami e rivestite di terra impastata e lisciata. Tipicamente vivono sotto una struttura tradizionale di un capo villaggio (voormanne) e praticano il cosiddetto sistema di discendenza bilaterale. Sotto questo sistema, ogni individuo appartiene a due clan: il clan del padre (oruzo) e il clan della madre (eanda). (Fonte: Kamaku Consultancy Services cc., Strategies Environmental Sustainability OvaHimba Namibia)

Nel censimento nazionale del 2001 si elencano in percentuale le fonti di reddito delle tribù Himba che sono così divise: pastorizia e agricoltura (81%), piccole imprese non agricole (7%), salari e stipendi (5%), pensioni (3%), altre entrate (4%). La pastorizia che praticano gli Himba è estremamente limitata dai seguenti fattori: i) le frontiere internazionali con l’Angola a Nord; ii) l’inospitale deserto del Namib e lo Skeleton Coast National Park a ovest; iii) i più sedentari e più numerosi pastori Herero e la Linea Rossa (Veterinary Cordon Fence VCF) a Sud; iiii) i sedentari e numerosi agricoltori e pastori OshiWambo ad est.

In generale, la pastorizia nel Nord del Kunene svolge un ruolo marginale nell’economia nazionale della Namibia. Il sistema economico di sussistenza che caratterizza la Comunità, fu artificialmente creato e forzato dapprima dalla colonizzazione tedesca, in seguito da quella portoghese in Angola e infine dal regime Sud-Africano. (Fonte: Corbett, Dams, Indigenous People and vulnerable ethnic minorities)

Il lavoro retribuito rimane raro tra gli Himba, ma eccellono nella pastorizia: posseggono greggi di pecore, capre e bovini, una combinazione che rende la maggior parte delle risorse naturali disponibili, poiché sfrutta diversi tipi di vegetazione. Questo mix consente anche di tamponare i danni nei periodi di secca, in quanto i campi sono generalmente più suscettibili alla carenza di piogge di quanto non lo siano alberi e cespugli. Quindi, per esempio, durante la siccità catastrofica del 1981 le greggi di pecore resistettero anche se i bovini si ridussero fino al 90%. Gli Himba hanno sviluppato una gamma di tecniche che minimizzano il rischio per le singole famiglie, promuovendo allo stesso tempo gli interessi dell’intera comunità. Il sistema di gestione del bestiame consente ai membri poveri della tribù di accedere alle mandrie dei più ricchi, si pratica lo scambio dei capi di bestiame e la gestione comune delle aree di pascolo.

La realtà del popolo Himba è stata oscurata da stereotipi imprecisi: il settore turistico li ritrae come superstiti incontaminati di un’Africa autentica mentre il governo della Namibia li presenta come una società primitiva e sottosviluppata con uno stile di vita che dovrebbe modernizzarsi. In effetti, gli Himba sono gli agricoltori e pastori di maggior successo ed economicamente indipendenti in Africa; una comunità relativamente sana e ricca di strategie valide per la sicurezza alimentare che si sono dimostrate efficaci anche in periodi di grave siccità.

Lo stile di vita degli Himba dipende intrinsecamente dall’accesso alla terra e all’acqua, risorse chiave per la loro sopravvivenza.

L’IMPORTANZA STRATEGICA DEL KUNENE RIVER

La gestione dell’acqua – soprattutto in zone dove, per motivi diversi, questa scarseggia – è fondamentale per il controllo politico e sociale di qualsiasi Paese. Il Kunene River è uno dei 5 fiumi perenni in Namibia ed è una preziosa risorsa per chi vive nella zona. Il bacino del fiume a monte delle cascate Epupa è attraente per la sua lussureggiante vegetazione che può nutrire uomini e animali. La terra nel Nord Kunene è interamente comunitaria, e soggetta al Communal Land Reform Act. Le comunità in queste aree hanno in genere diritti forti e di lunga durata sulla terra che occupano, riconosciuti in base ai Termini espressi nella prima parte del Traditional Authorities Act del 2000 – anche se i capi tradizionali Himba non ne sono stati a conoscenza per molto tempo. I leader tradizionali esercitano il controllo sulla terra usata per pascoli o residenze, e la negoziazione e la reciprocità svolgono un ruolo importante per la gestione delle risorse (non si registrano casi di free-riding). Non ci sono diritti di esclusivi di certi luoghi, ma naturalmente le circa 1000 persone che vivono in maniera permanente sulle rive del Cunene hanno tutto l’anno – in modo implicito – la prima scelta. Durante la stagione di semina si uniscono a queste famiglie altri nuclei familiari (circa il 75% delle famiglie della Comunità). La terra nei pressi delle cascate Epupa ha un grande valore d’uso per gli Himba e per le altre comunità semi-nomadi che abitano la zona, essendo fondamentale in termini di coltivazioni e riserve di pascolo stagionali, specialmente nei periodi di siccità. Durante i periodi di siccità, entrano in gioco molte strategie di sopravvivenza: le aree di pascolo limitate vengono aperte e molte famiglie si spostano più vicino alle foreste pluviali lungo il Kunene. Il pascolo può non essere buono anche lì, ma il fiume fornisce un approvvigionamento idrico affidabile che riduce lo stress del bestiame e delle esigenze alimentari. Gli alberi e le palme lungo il fiume, non troppo sensibili alle scarse precipitazioni, forniscono una fonte cruciale rispettivamente di baccelli per il foraggio delle capre e noci Omarunga che sono una risorsa fondamentale in tempi di scarsità. La cultura delle comunità pastorali nella zona ha delle dimensioni che collegano le persone attraverso questioni fondamentali come il diritto alla terra, allo stile di vita e all’identità. (Fonti: Epupa Baynes Summary Official Document, Impacts Project Phases; Kamaku Consultancy Services cc., Strategies Environmental Sustainability OvaHimba Namibia)

IL PROGETTO DI SVILUPPO IDROELETTRICO

Il governo della Namibia, in accordo col governo dell’Angola, ha pianificato una diga da 200 MW sul Kunene, precisamente sul sito delle cascate Epupa, che devasterebbe gli Himba, le altre comunità indigene, l’ecosistema del fiume stesso e della riserva. Il volume totale della diga a Epupa sarebbe di 11, 5 miliardi di metri cubi. La diga allagherebbe 190Km².

L’idea di costruire dighe sul Kunene River proviene dall’era dell’occupazione tedesca, ancor prima della Prima Guerra Mondiale. Solo nei tardi anni ’80, motivata dalle previsioni dell’aumento del fabbisogno energetico, l’azienda pubblica NamPower ha iniziato a sostenere la costruzione di un impianto idroelettrico nell’area Epupa. Un accordo del 1991 tra il governo della Namibia e quello dell’Angola ha dato il via al Feasibility Study. La Commissione tecnica congiunta permanente dell’Angola e della Namibia sul bacino del Kunene River (PJTC) ha commissionato ad un gruppo di esperti (NAMANG) di valutare la fattibilità del progetto idroelettrico sul Kunene River. La NAMANG include i seguenti gruppi: Norconsult International (Norvegia), Swedpower (Svezia), Burmeister & Partners (Namibia) e la SOAPRO (Angola). Il lavoro della NAMANG fu finanziato dal governo svedese e norvegese. Il Feasibility Study Report fu compilato da un team di esperti sulla base di studi compiuti in circa tre anni, ma non completato a causa di gravi mancanze nella parte di approfondimento sociale dello studio dovute al rifiuto degli Himba di collaborare alle ricerche. (Fonti: Pottinger, The World Commission on Dams and Epupa Dam; Epupa Baynes Summary Official Document, Impacts Project Phases; Corbett, Dams, Indigenous People and vulnerable ethnic minorities)

L’IMPATTO DEL PROGETTO – FLORA E FAUNA

Nonostante non sia stata quantificata in termini monetari nel Feasibility Study, la perdita del sito di Epupa distruggerebbe l’ultima parte rimanente più significativa di habitat di riserva in Namibia. Tali habitat sono piuttosto rari nel mondo, e la limitata conoscenza della loro ecologia ne rende difficile la riproduzione artificiale. Allagare il sito comporterebbe una grande perdita di materiale vegetale vivente (“biomassa”), la cui decomposizione rilascerebbe carbonio nell’atmosfera, contribuendo all’effetto serra. Oltre 6mila palme verrebbero distrutte, minando la vita degli esseri viventi ad esse correlata. L’impatto più significativo sarebbe per i pesci: l’inondazione del loro habitat naturale comporterà la perdita di biodiversità della riserva. Saranno colpiti dalla costruzione della diga anche gli animali che vivono o transitano sugli alberi in quei pressi. Alcune specie di mammiferi potrebbero rimanere intrappolate temporaneamente o permanentemente in isole artificialmente create dove diventerebbero un target facile per i bracconieri. Inoltre, il piano turistico che sottende l’operazione porterà molti turisti ad accamparsi vicino ai waterholes dove gli animali sono soliti bere, il che disturberebbe ancor di più le loro abitudini. Per quanto riguarda i voltatili, ce ne sono alcuni in via di estinzione come la Rufoustailed Palm Thrush, lo Yellowbilled Oxpecker e la Cinderella Waxbill che verranno privati del loro habitat naturale.

L’IMPATTO DEL PROGETTO SUGLI HIMBA

Per questa popolazione di pastori semi-nomadi, la costruzione della diga a Epupa significherebbe a livello diretto la perdita di alloggi, orti, pascoli stagionali, accesso all’acqua e perdita delle loro tombe ancestrali e luoghi di culto. Nel sito verrebbero inondate 100 abitazioni permanenti: anche se gli Himba sono nomadi, alcune famiglie si sono ben stabilite, mentre altre le visitano regolarmente. La perdita delle risorse di pascolo produrrà un effetto a catena non solo per gli Himba nomadi e quelli sedentari, ma anche per le altre popolazioni indigene di pastori nelle vicinanze. Così, anche se solo circa 1000 persone saranno effettivamente spostate dal bacino del fiume, la diga influenzerà le strategie per la siccità di circa 10.000 Himba e porrà ulteriore peso sulla ricerca alternativa del pascolo. La perdita di terra fertile per la coltivazione degli orti comporterà un aumento della malnutrizione e della morte per fame: non ci sono colture che creano reddito, e gli orti sono particolarmente importanti per le famiglie più povere che hanno difficoltà a sopravvivere con le sole risorse delle proprie mandrie. Un probabile risultato sarà quello di aumentare la dipendenza economica e di sicurezza sociale degli Himba nei confronti dello Stato. Senza l’accesso alla terra, le opzioni di sostentamento dipendono dall’accesso al lavoro salariato. Tuttavia, il livello basso di istruzione, la stigmatizzazione da parte di altri gruppi, la residenza in aree remote e una serie di altri fattori si combinano per creare condizioni di alta disoccupazione: quello che viene fatto in nome del controllo sulle risorse ambientali, si traduce nella prassi in una maggiore vulnerabilità delle popolazioni indigene e in un conseguente maggior controllo sociale ed economico da parte del governo.

Gli Himba nell’area Epupa hanno più volte asserito che la loro opposizione alla diga è correlata alla distruzione di queste tombe ancestrali: una tomba non è solo il luogo fisico dove seppellire un corpo, bensì un punto focale per definire l’identità, la relazione sociale e la relazione con la terra, ed è anche il centro di importanti rituali religiosi. La preferenza per la riva del fiume è in parte pratica – il suolo delle vicinanze è più facile da scavare – ma le rive sono altresì cariche di emozioni, punto di aggregazione per le comunità, punto di partenza per le migrazioni pastorali, luogo in cui le persone hanno lottato per la sopravvivenza durante i periodi di siccità, e posto sepolcrale di altri membri della famiglia. La posizione dei cimiteri manda un messaggio socio-culturale fondamentale dell’identità, dell’appartenenza e perfino delle rivendicazioni territoriali. (Fonti: Epupa Baynes Summary Official Document, Impacts Project Phases; Summary of the environmental assessment (EA) Report on the Baynes Project, NAMANG Consortium; Kapika, Traditional Leadership Kunene Region World Dam Commission on Dams).

TENTATIVI DI OPPOSIZIONE: APPELLI DEGLI HIMBA AI DIRITTI UMANI

Il progetto della diga non è ancora stato approvato, visti le implicazioni e le controversie riguardo i diritti umani e i diritti dei popoli indigeni. Nel febbraio 2012, i leader tradizionali degli Himba hanno preparato due diverse Dichiarazioni da sottoporre al vaglio dell’African Union e dell’OHCHR delle Nazioni Unite. La prima, intitolata “Declaration of the most affected OvaHimba, Ovatwa, Ovatjimba and Ovazemba against the Orokawe Dam in the Baynes Mountains” riporta le obiezioni dei leaders e della comunità Himba che risiedono vicino al Kunene River. La seconda, intitolata “Declaration by the traditional Himba leaders of Kaokoland in Namibia” espone una lista della violazione dei diritti civili, culturali, economici, ambientali, sociali e politici perpetrati dal governo della Namibia. Nel settembre 2012, la United Nations Special Rapporteur on the Rights of Indigenous Peoples, ha visitato gli Himba per ascoltare le loro preoccupazioni riguardo il non riconoscimenti dei loro leaders tradizionali dalle autorità. Secondo il punto di vista del funzionario UN James Anaya, la mancanza del riconoscimento giuridico dei leaders è collegato alla mancanza di riconoscimento del diritto alla terra delle popolazioni indigene. Sono susseguite delle proteste da parte degli Himba e di altre popolazioni indigene nelle date 23 Novembre 2013, 25 Marzo 2013, 29 Marzo 2014.

CONTRASTO TRA PRASSI E RETORICA NELLA POLITICA DI SVILUPPO

Nella teoria il processo di pianificazione della diga ha seguito le linee guida della World Dams Commission (fondata nel 1997 dalla Banca Mondiale e dalla World Conservation Union in consultazione con attori esterni). Ciò significa che tutte le parti i cui diritti potrebbero essere interessati, e tutti i soggetti che sono stati esposti a rischi, dovrebbero essere inclusi nel processo decisionale in materia di sviluppo, e non sottoposti al processo della ‘token participation’. Secondo il rapporto della WCD “le grandi dighe hanno forzato ad andare via dai 40 agli 80 milioni di persone dalle loro case e dalle loro terre…con impatti che includono estrema povertà multidimensionale, disintegrazione della comunità, e crescenti problemi legati alla salute fisica e mentale. Gli indigeni, le tribù e i contadini ne sono stati particolarmente colpiti. Le persone che vivono a valle delle dighe hanno anche sofferto di un aumento delle malattie e della perdita di risorse naturali da cui i loro mezzi di sussistenza dipendevano. Gli impatti delle grandi dighe sugli ecosistemi sono per lo più negativi: hanno portato all’estinzione di molti pesci, specie acquatiche e di tanti uccelli nelle pianure alluvionate; alla perdita enorme di foreste, zone umide e terreni agricoli; all’erosione di delta costiere e molti altri effetti su cui non è possibile lavorare per ripristinare la situazione iniziale”.

Nella prassi il progetto a Epupa ha seguito un approccio ‘top-down’: le comunità sono state indotte in errore per quanto riguarda la portata del progetto e i rischi per i loro mezzi di sussistenza, e sono state anche oggetto di intimidazioni una volta che hanno messo in discussione il progetto stesso. L’avvocato per i diritti umani Andrew Corbett, parlando nel corso di un’audizione del 1999 per le comunità colpite dai progetti di sviluppo ha detto che “uno dei problemi è stato il fatto che le comunità non sono state informate correttamente fin dall’inizio sui rischi dell’impatto per il loro sostentamento. La comunità Himba è stata visitata da parte del Governo nelle fasi iniziali, ma non è stato detto che il progetto prevede l’inondazione di 190 km². Penso che il processo sia stato viziato fin dall’inizio in termini di creazione del tipo di diffidenza che ancora oggi esiste tra la comunità colpita e il governo…le consultazioni hanno avuto luogo nella capitale della Namibia che si trova a 900km di distanza dal punto in cui gli Himba vivono, e non sono state fornite adeguate risorse per far sì che essi partecipassero al discorso nazionale. Il clima politico in cui si sono svolte le nostre riunioni è stato molto repressivo. I nostri incontri sono stati interrotti da poliziotti armati e le persone che si opponevano a quello che stava succedendo sono state minacciate”.

Quindi, in un certo senso, l’emarginazione che esiste già per gli Himba all’interno della società della Namibia è stata rafforzata dal processo, seguendo la logica della profezia che si ‘auto-avvera’, in un quadro strettamente correlato e permeato da una narrazione dello sviluppo che giustifica e legittima questo tipo di politiche di intervento. L’intero iter del processo – e una concreta realizzazione del progetto della Diga – contribuirebbe alla ulteriore perdita di potere decisionale degli Himba e degli altri pastori nomadi, contraendo notevolmente le loro possibilità e minando profondamente la loro capacità di agire.

Una delle conseguenze della privatizzazione della zona di interesse sarebbe la condizione di povertà multidimensionale in cui verserebbe gran parte dei pastori, e che non è oggigiorno una loro caratteristica. In un’intervista rilasciata in data 18 gennaio 2008, il leader Himba Kapika esprime la sua paura con queste parole: “[Epupa]è un vero disastro, perché se tu uccidi i miei alberi, uccidi il mio bestiame, e quindi uccidi anche me, visto che non avrò mezzi per sopravvivere. Noi viviamo della natura, viviamo dei nostri animali e i nostri animali si nutrono di natura”. E ancora: “noi vogliamo essere ciò che siamo. Non stiamo soffrendo. Siamo contenti delle nostre vite”.

Questo rimanda al grido ‘the poor are not us’ e a come le mire dello sviluppo diventino talora ironiche e si carichino di quella emergenza che giustifica interventi nocivi per le popolazioni colpite. In questo caso, a mio parere, l’ironia dello sviluppo si concentra nelle parole del vice ministro della Giustizia, Albert Kawana, durante una conferenza tenutasi nel 2001 sugli Himba e sul relativo progetto di sviluppo, il quale ha dichiarato che “il Governo resta impegnato a costruire la diga poiché gli Himba, come tutti gli altri in Namibia, hanno il diritto costituzionale allo sviluppo, e il governo farà in modo che tale diritto gli venga riconosciuto”. Il ministro prosegue “l’impianto ad Epupa è uno degli strumenti che verranno utilizzati per portare gli Himba a svilupparsi. Il governo è determinato a far sviluppare tutte le comunità della Namibia, Himba compresi.”

Questa affermazione mi porta ad almeno due interrogativi: di che sviluppo stiamo parlando? Lo sviluppo è un diritto che parte dal basso (dalla volontà dei popoli) o è un dovere imposto con approccio “top-down”? Superando il punto di vista antropologicamente positivista che vuole che ci sia una ‘scala’ di civilizzazione di cui la società occidentale rappresenti l’apice, ci si rende conto che la globalizzazione e l’imposizione dall’alto di un modello di vita, per altro già opinabile e disastroso di per sé, è il modo perfetto per far retrocedere e tenere sotto scacco interi popoli ricchi in cultura e tradizioni.