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Quale decrescita?

di Guido Dalla Casa - 29/03/2024

Quale decrescita?

Fonte: Guido Dalla Casa

Premesse
  Ottantadue persone erano collegate su zoom sabato 23 marzo 2024 per ascoltare Serge Latouche, economista, filosofo e teorico della decrescita. Si tratta di un numero notevole per incontri di questo tipo, dovuto alla fama del professore francese. Il dialogo verteva sul tema del lavoro che è anche l’argomento dell'ultimo libro di Latouche uscito in Italia e intitolato “Lavorare meno, lavorare diversamente o non lavorare affatto”.
  L’esposizione e le risposte di Latouche sono state precise, chiare e consone al tema dell’incontro, ma è rimasta la sensazione, soprattutto nel tipo di domande, che nel complesso sia mancato qualcosa, qualcosa di veramente profondo, che riguardasse cioè la visione del mondo che sta alla base dei problemi, anche quelli del lavoro.

E’ mancato qualcosa
  Nella discussione che è seguita ho sentito soltanto qualche minimo accenno alla posizione della nostra specie in Natura, a cosa significa in realtà il lavoro, alle premesse filosofiche o di pensiero che hanno dato origine alla civiltà industriale. Si è rimasti praticamente all’interno dell’Occidente: è mancato qualunque discorso o collegamento alle concezioni delle altre culture umane, al Complesso degli esseri senzienti di cui facciamo parte, al funzionamento, o alla Vita, del Sistema Terrestre. Eppure il professore francese aveva parlato altre volte di “occidentalizzazione del mondo” come causa dei gravi problemi che affliggono la Terra.  
  La situazione della Terra è collegata anche al lavoro e all’idea che ne abbiamo. Il lavoro, nel nostro modello culturale, è visto in gran parte come un’attività che altera, o distrugge, il mondo naturale: è eseguito per sostituire materia inerte a sostanza vivente, per distruggere ecosistemi che hanno tempi lunghissimi di vita mettendo al loro posto materia inerte (strade, macchine, impianti, fabbriche).
Fuori dall’Occidente
  Mi ha stupito il fatto che non è uscito alcun accenno a concezioni diverse, ma presenti molti secoli fa, come ad esempio il lavoro/non-lavoro che risulterebbe da quello che i Taoisti chiamavano wu-wei, Il wu-wei è un importante concetto taoista, un insegnamento di quando agire e quando non agire. E’ un’espressione quasi intraducibile, ma qui adotteremo la traduzione “agire (lavorare) soltanto in conformità alla Natura”, lasciare che la Natura segua il suo corso. Fra le massime del wu-wei: “Pur non facendo nulla, non c’è nulla che non venga fatto”; “Niente da fare, niente da conquistare, niente da volere e tutto accade spontaneamente.”  
  Quasi nessuna attività propria della civiltà industriale è conforme a idee del genere, impensabili in Occidente.  Qui addirittura si fanno anche “lavori” solo per lasciare tracce nella storia; ricordo invece un insegnamento di una cultura nativa del Nord-Ovest del continente americano: “Non lasciare mai tracce così profonde che il vento non le possa cancellare”. Quindi, dobbiamo uscire dall’Occidente, non basta giocare con i contratti di lavoro.
  Tutti questi problemi legati all’ecologia sono molto più profondi di quanto si vogliano far apparire. Sono problemi filosofici, culturali, di visioni del mondo, non dettagli tecnici di natura sociale: non possiamo uscirne solo con una “transizione”, forse ne usciremo con un collasso seguìto da nuovi modelli, ma compatibili con la vita di tutti gli altri esseri senzienti, piante, altri animali, ecosistemi, esseri collettivi.
  Invece in Occidente qualcuno, ormai ai limiti della follia, pensa addirittura di intaccare alla radice la vita tecnologizzandone la basi stesse, anche sulla nostra stessa specie.

Le cause prime
  Quali sono le premesse che hanno fatto nascere la civiltà industriale? L’antropocentrismo, il materialismo, i dualismi uomo-animale, uomo-Natura, ego-mondo, spirito-materia. Su queste premesse si basa la scienza materialista-meccanicista che viene divulgata e che si è resa presto schiava della tecnologia e dell’industria (e quindi dell’economia). E’ intaccando queste basi che dobbiamo agire, e di azioni di questo tipo si parla veramente troppo poco. Non basta prendersela con “le industrie inquinanti” e voler salvare il sistema. Le industrie sono inquinanti per la loro stessa natura, ma non è “colpa loro”, è tutto il sistema tecnologico-industriale che è impossibile, perché incompatibile con la Vita del Complesso più grande, il Sistema Terrestre. Il sistema attuale, che ha invaso il mondo, è nato due o tre secoli fa: il lavoro “odierno” è una sua conseguenza. Tolte le sue premesse dalla mente collettiva, la decrescita ne risulterà come conseguenza.
  Un intermezzo, e piccolo esempio: come si può chiedere “la pace” se si mantiene un mondo industrializzato dove nel gioco ci sono le fabbriche di armi, i cosiddetti “Stati sovrani” e la competizione propagandata in tutti i modi possibili?
  Poi non si parla mai dell’eccesso di popolazione umana che affligge la Terra: 8 miliardi di un Primate di 70 Kg (che vuole anche mangiare carne!?) non ci stanno su questo Pianeta! E dovrebbe esserci il “lavoro per tutti”? Sul lavoro, sembra che almeno il professore francese abbia le idee chiare.
  Ma come siamo arrivati a una situazione simile??

Conclusioni
  Come inizio, dovremmo avere ben chiara la posizione della nostra specie in Natura.  Partiamo da un paio dei dualismi accennati: uomo-animale e uomo-Natura. Non riesco proprio ad immaginare un cucciolo di australopiteco che si sveglia una mattina e dice ai suoi genitori: “io sono un uomo (o donna) mentre voi siete animali”. Quanto a dualismi come ego/mondo e mente/materia, ben radicati in Occidente soprattutto dopo Cartesio, erano completamente assenti in molte filosofie dell’antico Oriente: oggi un aiuto ci può venire dalla fisica quantistica, dove quei dualismi sono scomparsi come conseguenza del principio di indeterminazione.
  Comunque, la situazione è ormai tale che qualunque movimento possa intaccare le idee degli industrialisti-sviluppisti è benvenuto. Consiglierei però di non abusare del termine “capitalismo” usando invece la parola “industrialismo” per non alimentare l’idea che si tratti di un problema soltanto economico-sociale.