Quando la democrazia divora se stessa
di Antonio Catalano - 29/10/2025

Fonte: Antonio Catalano
Il caso Fiano è presentato come un’ulteriore prova dell’arroganza e della protervia fasciste, anche se la scenografia della contestazione presenta una coreografia sicuramente non littoria. Ma tant’è, non c’è d’aspettarsi profondità d’analisi quando ci si è abituati al battibecco televisivo da talk show.
La contestazione del collettivo di Fronte della gioventù comunista alla Ca’ Foscari di Venezia produce un certo rumore in quanto Fiano è ebreo, il padre è stato un sopravvissuto ai campi nazisti, una sorta di intoccabile quindi, ecco spiegato il coro bipartisan di solidarietà degli ambienti politici e televisivi.
Cosa invece che non è mai successa quando tante, tantissime volte interventi rumorosi, minacciosi, violenti hanno impedito iniziative e manifestazioni non “consone” da parte degli ambienti “antagonisti”. Farne l’elenco ci porterebbe a fare notte, tanti infatti i casi (ne so qualcosa per esperienza personale) in cui questi autoproclamati “antagonisti” hanno impedito che ne so, una discussione sulla “crisi climatica”, sul gender, sulla difesa della vita, sul traffico dei migranti eccetera perché “fascista”, o hanno messo a fuoco locali di organizzazioni come quelli di Pro vita.
Fiano non è certamente un agnellino, è parte di quella “Sinistra per Israele” iper liberista che difende a oltranza lo stato sionista (la voce del padrone vuol far passare l’equivalenza antisionisti-antisemiti), che ha sostenuto entusiasta il governo Draghi, diligente osservante dell’ordine Ue, favorevole al riarmo europeo, che insieme alla sua compagna di partito Picerno ha lavorato affinché si impedisse qualsiasi iniziativa che provasse a offrire un punto di vista diverso dal protocollo Ue sulle ragione del conflitto Nato-Russia per il tramite dell’Ucraina di Zelensky (filo nazista?). Fiano è colui che non ha mai espresso solidarietà al prof. Orsini quando questi era diffamato e boicottato, anzi invitata i genitori a togliere i propri figli dai suoi corsi definendo il professore “un ignorante qualsiasi”. Insomma, verrebbe da dire, da qual pulpito viene la predica.
Ma obiettivo di questo mio non è esprimere indignazione ma provare ad abbozzare una riflessione su una prassi abbastanza diffusa in certi ambienti della sinistra, in particolare di quella cosiddetta antagonista. (Rassicuro chi non ha mai letto un mio intervento: tranquillo, non sono di destra, il che non vuol dire che sono di sinistra, ritengo semplicemente che la dicotomia destra/sinistra sia oggi storicamente non all’altezza delle nuove contraddizioni). Una prassi, dicevo, che se non dici quello che io ritengo giusto tu non parli, e se insisti ti meno pure.
Non sono un democratico alla Tocqueville per intenderci, non mi sono formato nell’inganno del candore della democrazia liberale, quella del non sono d’accordo con ciò che dici ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo, so bene che essa è una bella mela rossa che alleva il verme dell’intolleranza, di quell’intolleranza che diventa feroce quando si contestano i suoi presupposti suprematisti sia in senso sociale (classismo) che culturale (eurocentrismo), nonostante lo sfoggio continuo e stomachevole, perché ipocrita, dei migliori propositi (esportazione della democrazia… a suon di bombe, inclusione, sostenibilità…).
L’intolleranza giacobina degli “antagonista” nasce dalla presunzione d’essere dalla parte giusta della Storia, per cui se non la capisci con le buone (alla Paolo Mieli, per intenderci) te la faccio capire con le cattive. Questa intolleranza “antagonista” è culturalmente figlia di quegli ambienti di formazione settantasettina abituati a “imporre” (sulla base di una visione soggettivistica) ciò che si ritiene giusto, punto e basta: se un’assemblea deve tenersi oppure meno, se un professore può o non può svolgere lezione, se un’iniziativa è legittima o no, guai a dire che i sessi sono due se no sei trans omofobo, oppure che non c’è riscaldamento su base antropica sei un negazionista… insomma ci siamo capiti.
Si tratta di una pratica che sposa in pieno la presunzione liberale della superiorità morale, per cui se non la pensi nel modo giusto come puoi pensare di esprimere liberamente il tuo becero punto di vista? Una pratica che galvanizza gli esecutori, che nel contrasto si avvertono come irriducibili antagonisti. Una pratica che poggia la legittimità del proprio agire sulla sua presunta superiore moralità e chi non ne condivide lo status può solo star zitto e mosca altrimenti, se proprio insiste, essere giustamente “dissuaso”. “Eletti”. Come si vede, i presupposti liberali dei Fiano e costoro sono gli stessi.
Inevitabilmente questa concezione avanguardistica produce separazione dalla maggioranza, la quale spesso non comprende quel modo di fare, e quindi o continua a fare la solita maggioranza silenziosa oppure, se messa alle strette, ad agire in modalità fascistica. Da intenditor poche parole.
Ma, detto ciò, mi preme arrivare a una questione per me molto importante. Questo modo di fare non produce crescita della capacità di agire politicamente, non produce leader in grado di guidare processi politici importanti, semmai trascinatori che possono più o meno far comodo al potere. La pratica abolizionista della posizione di turno ritenuta non “legittima” favorisce infatti nei più giovani un atteggiamento ribellistico forse appagante, ma nessuna formazione culturale e politica serie, di quelle temprate come l’acciaio più duro, di quelle capaci di entrare nel merito delle contraddizioni reali, ma solo un’ignoranza funzionale al mantenimento di falsi antagonismi.
Perché se non ci si forma nelle asprezze della battaglia politica, nel continuo riscontro della propria capacità di incidere seriamente sul terreno degli assetti costituiti dal potere, se non si è passati per questa gavetta, che non è mero esercizio di retorico piagnisteo, come si fa ma a mettere a punto le armi della critica?

