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Quel “dannato” patto Nato…

di Alberto Figliuzzi - 11/05/2021

Quel “dannato” patto Nato…

Fonte: Italicum

La risposta del ministro degli esteri Sergey Lavrov alle richieste di spiegazione, da parte americana, in merito a recenti spostamenti di truppe russe ai confini dell’Ucraina (“Noi siamo a casa nostra, voi che ci fate a migliaia di chilometri dal vostro Paese?”), fotografa in maniera semplice, sintetica ed eloquente il carattere singolare, sebbene presentato come normale da un addomesticato sistema mediatico, della presenza militare statunitense sul continente europeo.

 Ora, se è già degno di considerazione il fatto che un quadro del genere si possa continuare ad osservare a quasi ottant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale,è ancora più significativo che niente di sostanziale in esso sia mutato a trent’anni dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, col quasi contemporaneo scioglimento del Patto di Varsavia.Ciò in quanto il Patto Atlantico(North Atlantic Treaty Organization), che vuole far sembrare del tutto regolare e ovvio, ancora oggi, l’impressionante dispiegamento militare americano in Europa, è indubbio che presentasse una sua stringente logica in seguito alla vittoria alleata nel conflitto e alla schiacciante superiorità bellica degli Usa,e quindi anche alla necessità di una “atlantica” difesa collettiva di fronte all’aggressivo espansionismo sovietico (forse addirittura concordato e regolato nella Conferenza di Jalta del 1945) già sperimentato da quel numeroso gruppo di paesi dell’Est trovatisi con le buone o le cattive dietro la “cortina di ferro”. Era, insomma, la Nato, un formidabile apparato politico-militare idoneo a contenere l’Unione Sovietica nel quadro della pace armata quale fu la “guerra fredda”.

Non altrettanto ovvia, al contrario, appariva la permanenza in vita della Nato in un contesto europeo e mondiale drasticamente mutato con la fine dell’Urss e col passaggio dei suoi ex stati satelliti in quello che era chiamato “il mondo libero”. Se, infatti, poteva convenire all’America continuare ad additare in ogni dove “nemici” dell’Occidente (veri o dichiarati tali, e inventandosene anche di nuovi), al fine di mantenere il suo ruolo egemonico, ci si sarebbe potuti aspettare, invece, da parte di un’Europa protesa, almeno a parole, verso una effettiva integrazione, il disegno di liberarsi dalla non più impellente protezione americana (almeno non nella forma di una cogente alleanza), al fine di dispiegare pienamente e liberamente le sue dinamiche in ambito politico, economico, culturale, in un autonomo, pacifico confronto con altre potenze, in primo luogo con la vicina Federazione Russa.

Questo grande e geograficamente immenso Paese, da secoli presenza politica e militare di prim’ordine in Europa, dopo settant’anni di regime comunista (nel ruolo di faro per le ideologie rivoluzionarie di mezzo mondo)si dotava di un assetto istituzionale parlamentare e pluralista (“dettato”, si dice, dalla stessa America), affine, sebbene non identico, alle forme di democrazia rappresentativa parlamentare dell’Occidente; per cui sembrava prevedibile, verso di esso, da parte degli Stati europei, una volta scampato il pericolo sovietico, una comune politica amichevole, aperta a vantaggiosi reciproci scambi di ogni genere e tale da potere distogliere la Russia da possibili pericolose intese con l’altra superpotenza in impetuosa ascesa come la Cina.

   Niente, invece, di tutto questo. A parte le più o meno buone, ma sempre incerte e intermittenti, relazionidei suoi singoli Staticol potente vicino, l’Unione Europea è rimasta  complessivamente ingabbiata nell’Alleanza Atlantica, comodo ombrello che certo non la sprona a cercare una sua effettiva dimensione federale sovrana, senza subalternità nei confronti dell’America e senza esserne, pur nel quadro di un’amicizia privilegiata, il passivo strumento di una politica prepotente e avventuristica in tante aree del mondo.

Questa proprio per via di uno spregiudicato adattamento della Nato a planetari scenari di confronto politico e militare completamente diversi da quello originario che ne giustificò la nascita, che non può non allarmare non solo le superpotenze, ma anche potenze regionali non più disposte ad accettare una supremazia di tipo unipolare del mondo quale quella americana. Passando dai dodici Stati fondatori del 1949 agli attuali trenta e inglobando progressivamente tutti i Paesi una volta soggetti all’egemonia sovietica all’interno del Patto di Varsavia, l’Alleanza Atlantica ha, infatti, radicalmente cambiato la sua fisionomia e la sua strategia di alleanza solo difensiva, proponendosi invece come organizzazione militare finalizzata (dopo l’attentato alle Twin Towers del 2001) alla “lotta al terrorismo internazionale”, nonché alla imposizione del rispetto della Carta dell’Onu, delle risoluzioni del suo Consiglio di Sicurezza, delle sue norme giuridiche. Così, è sulla base dell’equivoco e pretestuoso concetto di “ingerenza umanitaria” chela Nato, nel 1999, interviene militarmente contro la Jugoslavia e nel 2003, con l’autorizzazione dell’Onu, prende il comando dell’Isaf (International Security Assistance Force) in Afghanistan, ed ancora nel 2011 interviene in Libia contro il regime di Gheddafi. Una concezione della Nato, insomma, che, comprensibilmente, legittima il sospetto che il proposito di universale applicazione di certi superiori principi non sia poi tanto lontano dall’interessata “esportazione” ovunque, in una condizione di sovrastante superiorità, della “democrazia” in versione americana, che colora di nobile idealità una pura e semplice logica di dominio planetario.

   Ma, tornando alla Russia, è  nei confronti di essa che, ormai da diverso tempo, sembra mobilitata gran parte dell’energia operativa della Nato, anche se in maniera attenuata durante la presidenza di Trump, il quale sembrava voler allentare le relazioni tra gli Usa e l’Ue, forse per dedicarsi, senza i gravosi impegni verso il vecchio continente, ad un deciso riesame di un processo di globalizzazione sempre più vantaggioso per la Cina. Quali che fossero le sue reali intenzioni (non mancano dubbi circa la sua effettiva volontà “isolazionista” e “protezionista”, non potendosi escludere un suo nascosto intento di costringere gli europei a partecipare in misura maggiore ai costi dell’Alleanza), fatto sta che con la nuova presidenza Biden si assiste invece alla riaffermazione dei tradizionali rapporti tra le due sponde dell’Atlantico, che vedono la politica estera e militare dell’Europa (senza più la Gran Bretagna) riconsegnata completamente nelle mani americane, naturalmente all’interno di una Nato ad alta voce riaffermata nella sua più allargata filosofia, palesemente potenziata e occupatissima in particolar modo nel provocare in svariati modi la Russia.

Questo grande Paese viene in effetti trattato, prendendo a pretesto i più eterei principi democratici (di frequente negletti, invece, quando non conveniente, in tante altre aree  del mondo) come pura espressione di autoritarismo, quasi fosse ancora quello del più cupo stalinismo o dell’assolutismo zarista, e tacciato di aggressività anche quando esso cerca legittimamente di tutelarsi dal tutt’altro che silenzioso pericolo avversario. Una ostilità continua, quindi, a colpi di sanzioni economiche dirette e indirette, di avvertimenti e minacce volte a far desistere la Federazione e gli altri soggetti interessati da progetti o opere in corso di grande importanza (come nel caso del gasdotto“Nord Stream 2”, il cui mancato completamento servirebbe a mantenere la dipendenza energetica europea dall’America); una ingerenza insistente e irritante nella sua vita politica e giudiziaria, un’accanita perseveranza nel tentativo di turbarne e ostacolarne i rapporti internazionali (come ad esempio rispetto alla Siria, all’Iran, al Venezuela), persino una sorta di cordone sanitario-burocratico,  nel corso della presente pandemia, per impedire la diffusione del vaccino russo, sebbene giudicato validissimo e adottato in tantissimi paesi di tutti i continenti.

   In simultanea con uno straordinario attivismo militare statunitense in varie parti del mondo(ad esempio, la presenza di forze navali americane e francesi nel Golfo Persico,esercitazioni varie di terra con partecipazione di forze alleate) assume allora grande risalto, nel quadro del particolare impegno antirusso mostrato dalla Nato, la ripresa della conflittualità in Ucraina, con una più energica offensiva governativa nel Donbass di popolazione russa e con la partecipazione alla luce del sole di “alleati Nato”.

   In merito alla complicatissima vicenda ucraina, non si può tralasciare di dire, se si vuole guardare ad essa con realismo, che se la Russia ha compiuto un’operazione senz’altro prepotente, nel 2014,con la riannessione unilaterale (sebbene richiesta e approvata da una volontà popolare plebiscitaria) della russissima Crimea, ceduta in maniera piuttosto bizzarra all’Ucraina dall’URSS di Kruscev nel 1954, è altrettanto vero che era impensabile ritenere che una grande potenza con interessi strategici vitali nel Mar Nero (con Sebastopoli che da più di due secoli ne ospita la flotta) avrebbe accettato in maniera suicida di rinunziarvi; tanto più dopo che l’Ucraina, pochi mesi prima, al termine di un lungo e caotico periodo politico segnato da pesanti ingerenze occidentali, con violente dimostrazioni di piazza e, di fatto, con un colpo di stato contro il Presidente Janukovic, dimostrava senza più veli di essere entrata nell’orbita americana e della Nato. 

   Ma la verità è che nessun serio argomento tiene di fronte al disappunto occidentale di trovarsi oggi di fronte non una Russia alla deriva, quale quella di Gorgaciov o di Eltsin, preda dei più voraci appetiti grazie anche al tipico assetto politico-istituzionale preferito dagli americani per le sue colonie, permeabilissimo, cioè, in tantissimi modi, alle sue spregiudicate ingerenze; bensì, con Putin, uno Stato degno di tal nome, non disposto a rinnegare la sua storia (anche quella sovietica, nel bene e nel male, lasciatasi alle spalle), capace di teorizzare una democrazia non più fotocopia di quella “liberale” dell’Occidente e perciò in grado di difendere la sua identità culturale e i suoi legittimi interessi.

Quanto all’Europa comunitaria, purtroppo, è prevedibile che quanto più la guida unipolare americana del pianeta sarà messa inevitabilmente in discussione dalle stesse dinamiche globalizzatrici di cui il suo capitalismo predatorio è stato per tanto tempo il principale motore, tanto più la politica atlantica, di cui la Nato è potente e minaccioso strumento, sarà con sempre più forza riaffermata nei confronti di un’Europa impedita nel progettare un suo autonomo destino.