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“Sofagate”? Ma fateci il piacere…

di Lucrezia Ranieri - 09/04/2021

“Sofagate”? Ma fateci il piacere…

Fonte: L'intellettuale dissidente

Il “sofagate” non è dunque frutto della nostra immaginazione; qualcosa è effettivamente successo nei palazzi turchi, ma è qualcosa che poco ha a che fare con il genere o il sesso della von der Leyen e molto con il suo ruolo, che è quello di massima rappresentante dell’istituzione che più di tutte certifica la natura sovranazionale dell’Unione europea, dell’istituzione, cioè, che differenzia in modo assoluto l’Unione da qualunque altra normale organizzazione internazionale e che rappresenta i 27 stati membri come parti di una stessa entità e non come entità separate e tra loro negozianti. Il messaggio di Erdogan appare perciò chiaro: non attribuire alla von der Leyen il ruolo riconosciuto invece al rappresentante dei capi di Stato e di Governo negando con ciò all’Unione lo status di entità autonoma e sovranazionale. Potrebbero sembrare sottigliezze, ma non lo sono affatto: negoziare con il più potente blocco commerciale del mondo e negoziare con 27 Stati per lo più divisi su molte importanti questioni internazionali sono due faccende completamente diverse.
Analoga situazione si è appena proposta nei negoziati con il Regno Unito sulle rappresentanze diplomatiche dell’UE, cui l’ex stato membro rifiuta di riconoscere pieno statuto e immunità, come viene invece fatto in qualunque altra parte del mondo. La spiegazione candidamente fornita è che non si vuole creare un “precedente” per cui qualunque “organizzazione internazionale” possa chiedere lo stesso trattamento. Se aggiungiamo al quadro generale le ultime pessime figure dell’Alto Rappresentante Borrell, appare evidente come affrontare la questione sul piano del sessismo sia quasi ridicolo, mentre si delinea un concreto problema che riguarda la collocazione dell’Unione europea nelle relazioni esterne, la sua credibilità e l’efficacia della sua azione. Una debolezza, questa, che Erdogan non ha mancato di sfruttare anche per via simbolica trattando da una posizione di forza questioni più che importanti per la stabilità regionale, dalla questione di Cipro agli interessi energetici dell’area mediterranea.
Chi scrive non intende certo negare la scarsa propensione del presidente turco verso l’universo femminile, né escludere del tutto la presenza di una certa malizia nel gesto; potremmo anche ritenere probabile che il sesso della von der Leyen abbia costituito in ultima analisi un ostacolo in meno al verificarsi dello sgarbo. Ma il fatto è che a noi tutto ciò dovrebbe interessare limitatamente: non è della cortesia o scortesia maschilista di Erdogan che ci dovremmo ritenere soddisfatti o insoddisfatti, ma del fatto che questa possibilità di esprimere cortesia o scortesia esista in primo luogo. E non perché Ursula von der Leyen sia una donna, ma perché in quel contesto Ursula von der Leyen rappresenta l’Unione europea, istituzione di cui tutti, volenti o nolenti, facciamo parte come cittadini.
Non stiamo parlando d’altra parte di una donna vessata, la cui vita e il cui destino siano stati costretti senza scampo dalla feroce gabbia del patriarcato. Ursula von der Leyen è un medico, attiva in politica dagli anni ’90, tre volte ministro della Repubblica Federale di Germania – ovvero di uno dei paesi più potenti del mondo – ed ora presidente della Commissione europea. Ha davvero bisogno che un coro d’indignazione si alzi, non per difendere ciò che rappresenta, non per difenderne il ruolo, ma perché trattata male “come donna”? La verità è che non ne ha affatto bisogno, così come non ne ha bisogno alcuna donna che ricopra una posizione di potere. Sostenere il contrario significa sostenere che la sua rilevanza dipenda dal riconoscimento altrui del suo valore “come donna”, quando invece la sua rilevanza, in quel contesto, dovrebbe essere da ciò completamente disconnessa e dipendere esclusivamente dai rapporti di forza in cui il suo ruolo istituzionale si inserisce: ben poco favore mi pare si porti alla causa femminista trattando ancora una volta come specie protetta qualcuno che nei fatti non ha alcun bisogno di protezione. Questo però è un trend ormai consolidato: rivendicazioni di forma, richieste di attenzioni, vittimismo, riconoscimento esterno, connotano gran parte del discorso femminista di ultima generazione, sebbene per fortuna non in maniera totalizzante. Sfugge forse che tutto ciò che è concesso sul piano della contrattazione sociale e che non sia sostenuto da un reale cambiamento negli equilibri di potere è destinato ad avere vita breve: ogni questione di principio può essere facilmente ritrattata nel momento in cui tale principio non sia più ideologicamente supportato.
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Commentando la vicenda, il capo delegazione del Partito Democratico al Parlamento europeo, Brando Benifei, ha sostenuto che la presidente di Commissione avrebbe dovuto lasciare il vertice indignata, “vendicando così anche le donne turche”: viene lecito chiedersi cosa esattamente le donne turche avrebbero guadagnato dal fallimento di un vertice diplomatico così importante per mano della von der Leyen, la quale invece, per fortuna, è ben rimasta al suo posto, dimostrando di essere molto più tagliata per il ruolo che ricopre di quanto non lo siano alcuni isterici sbandieratori di principi del tutto adusi ad ignorare le conseguenze concrete – molto spesso negative – che si nascondono dietro le scelte compiute in nome della salvezza dello spirito.