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Sto con la Polonia (sul principio)

di Ugo Boghetta - 26/10/2021

Sto con la Polonia (sul principio)

Fonte: Ugo Boghetta

Si è aperto uno scontro molto aspro fra la Polonia e la UE su  di una questione di fondo: valgono più i Trattati o le Costituzioni? Il tribunale costituzionale polacco, infatti, ha deliberato che le direttive europee non sono valide se vanno contro la Costituzione del paese. L’oggetto in questione riguarda le critiche di Bruxelles all’assetto della giustizia.
La Polonia ha certo un governo reazionario, ma sul punto di principio sto con questo paese.
A tal proposito, immagino già il nervosismo delle dita di alcuni sulla tastiera per bollare questa posizione come nazionalista e reazionaria. Ma ognuno ha la Costituzione che si è dato, e  dovremmo aver imparato che anche le Costituzioni non si “esportano”.
Il fatto è che l’Unione Europea non ha una Costituzione. Hanno provato a ratificare in qualche paese il testo di Lisbona ma ai referendum hanno vinto i no. Per questo motivo, come fanno spesso i tecnocrati di Bruxelles, è passata la linea di imporre in via di prassi i Trattati come se fossero costituzioni. La cosa è andata così avanti e senza opposizioni di principio che ormai si finge che tale superiorità sia acclarata. Recentemente, la Corte Europea ha bacchettato anche quella tedesca.
Infatti, i Trattati sono solo accordi fra Stati ed in quanto tali non possono essere di rango superiore alle Carte. Per questo motivo ritengo che anche la Costituzione Italiana sia di un livello superiore, non comparabile con il Trattato di Maastricht e successivi. E per l’Italia, non so per gli altri paesi, c’è un problema in più. Infatti la Carta, all’articolo 11 comma 2, parla di limitazione di sovranità e non di cessione. Cosa invece avvenuta con l’euro. E non è l’unico problema di incostituzionalità.
Stando così le cose, la Commissione Europea conta sempre meno a vantaggio del Consiglio degli Stati che meglio rappresenta la situazione. Ed ora, la Corte polacca afferma che il re è nudo. Di più, mette in evidenza la modalità sbagliata seguita per la costruzione dell’Unione. Lo ammette anche l’europeista Frabbini in un articolo sul Sole 24 ore: “Gli europeisti dovrebbero mutare i termini del confronto, cominciando da una riflessione critica sulla logica integrativa da essi sostenuta. Quella logica, ispirata al funzionalismo di Jaen Monnet, ha alimentato un processo integrativo in continua espansione, indefinito come finalità (“Unione sempre più stretta”) che dovrebbe raggiungere”.
Da qui derivano contraddizioni insuperabili ed l’uso delle crisi per avanzamenti che altrimenti non sarebbero possibili.
Invece di prendere atto dell’impossibilità di costruire un super stato europeo, o almeno dell’uso di modalità sbagliate, si prosegue nell’ipocrisia. Così facendo non si fa altro che perdere tempo e impedire di pensare a ipotesi più adeguate di cooperazione europea.
Il risultato è che si litiga su tutto: Afghanistan, migranti, Recovery fund ecc ecc. Gentiloni e Dombrovskis hanno dovuto pubblicare una lettera a doppia firma per far vedere che il patto di stabilità lo cambieranno di comune accordo. Se poi sarà vero lo vedremo dopo la nascita del governo tedesco.
Stando così le cose, l’Unione non gode di una buona nomea. Un sondaggio illustrato da Diamanti su Repubblica del 25 ottobre, afferma che in Italia il punto più alto di “europirlismo” si è raggiunto a febbraio con la nomina di Draghi a Presidente del Consiglio con il 48% dei consensi. Il che vuol dire tuttavia che la maggioranza è euroscettica, ed è di nuovo in aumento per i motivi di cui sopra. Euroscettico, ovviamente,  non vuole dire essere favorevole all’uscita. Tuttavia ben 1/3 dei cittadini, afferma sempre il sondaggista, è in maniera abbastanza stabile per l’exit. L’Italia, quindi, nonostante la “manna” del Recovery, si mantiene fra le nazioni più critiche verso l’Unione. Quando tutti costoro capiranno che questa Unione forzata finirà come l’asino di Buridano e che esistono altre alternative di cooperazione europea, per lor signori saranno dolori. Con l’auspicio, tuttavia, che non sia troppo tardi.