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Sulla condizione spirituale nel nostro tempo

di Flores Tovo - 24/04/2023

Sulla condizione spirituale nel nostro tempo

Fonte: Flores Tovo

Potrebbe sembrare retorico domandarsi  su qual  è la condizione spirituale del nostro tempo. In verità prima di rispondere bisogna comprendere che cosa s’intende per spirito e “condizione spirituale”. Hegel, che è stato il filosofo che più di ogni altro ha analizzato tale problematica nella sua essenza (1), affermava che lo spirito umano (Geist) è  l’“Io che è Noi, Noi che è Io”, ovvero la coscienza di essere coscienti di vivere con gli altri. In altre parole lo spirito umano è Autocoscienza. Inoltre, con ciò egli intendeva dire che i nostri singoli “io” non possono che appartenere alla comunità, la quale corrisponde, direttamente o indirettamente, al “noi”. Da questa semplice frase si capisce benissimo, che, nel nostro tempo, con particolare riferimento   alla ex-cultura occidentale, l’io è senza il noi e viceversa. La comunità, che è colei che custodisce la storia condivisa di un popolo, è oramai dissolta e gli “io” sono solo delle parvenze alienate portatrici di un narcisismo insensato e malato. Gli “io”, che vivono soprattutto nelle grandi metropoli, sono diventati, come si dice,  degli “io” minimi, atomi solitari, che solo i “circenses” riescono a raggruppare. E’ chiaro, quindi, che viviamo in un’epoca di profondo caos. Ma la domanda non può ricevere una risposta adeguata se non si analizzano, seppur stringatamente, quelle che Hegel chiamava le espressioni massime con le quali lo spirito si manifesta concretamente nel divenire storico: ossia l’arte, la religione e la filosofia. Come, del resto, si può negare questo? Quando nella storia umana si sono affermate delle straordinarie civiltà, ciò è stato possibile solo quando l’arte, la religione e la filosofia si sono potute dispiegare totalmente e unitariamente all’interno dei singoli popoli, consentendo ad essi di sviluppare una  propria, specifica e originale creatività. A questo punto si può  riprendere la domanda iniziale. Se è vero che arte, religione e filosofia costituiscono lo spirito umano nella sua totalità, bisogna allora chiedersi che cosa esse significano e com’è il loro status attuale. Anche in questo caso il pensiero  del filosofo di Stoccarda ci può essere di grande aiuto. Cerchiamo di spiegarlo brevemente.
Queste tre manifestazioni essenziali dello spirito umano sono intrinsecamente legate fra loro, e quindi compongono l’Uno unificante. Esse differiscono solo nella forma, cioè nel modo di essere, poiché l’arte è l’intuizione (sensibile) assoluta dello spirito, la religione è il sentimento e la rappresentazione immaginifica rivolta verso l’Infinito, la filosofia l’autocoscienza concettuale. Ma al di là delle differenze specifiche, il loro legame, si diceva, è indissolubile, per cui se dovesse declinare in un determinato periodo storico una delle tre forme, anche le altre due illanguidirebbero. Noi  proveniamo da un mondo storico che ha rivelato, grazie a codeste manifestazioni, stupefacenti esempi che ancora oggi ci lasciano sbalorditi per la loro prodigiosa magnificenza, un mondo che ora sta precipitando dentro un abisso senza forme né contenuti. Già ai tempi di Hegel, che era un filosofo ottimista poichè propugnava il trionfo della ragione,  due grandi filosofi idealisti che furono suoi contemporanei, intravedevano che l’epoca, in cui ora stiamo vivendo, è quella della “compiuta peccaminosità” (Fichte) o come l’epoca in cui la sostanzialità del male rimaneva pur sempre presente nella vita degli uomini (Schelling). Per non parlare dell’altro loro contemporaneo, ovvero del poeta Hölderlin che annunciava la fuga degli dèi dal mondo. Dopo di loro ci furono Schopenhauer, Freud e Nietzsche che teorizzarono e predissero il dominio della irrazionalità e del nichilismo assoluto. Ed ora con l’estensione totalitaria della tecnica (il cosiddetto “Gestell” heideggeriano) al servizio del sistema capitalistico si ha quella regressione, che sembra per il momento inarrestabile, della spiritualità umana, tanto che ormai è superfluo ribadire il già scritto: la caduta verso l’amorfo è già avvenuta.
 Si tratta perciò  di riflettere su quelle tre espressioni spirituali di cui si scriveva. Ora, se le si esamina singolarmente, si può constatare che l’arte congiunta al bello si è scissa da esso ed è in via di sparizione: anzi  essa è l’esempio più evidente, proprio perchè si esprime coi sensi, della degenerazione attuale. Tutte le religioni esistenti a causa  dell’eclisse del sacro si sono sdivinizzate di fronte alle sfide della tecnica planetaria, perdendo sempre più forza e  adesioni. La filosofia, poi, ha abdicato quasi del tutto al suo sapere, ritraendosi dal rapporto metafisico con l’Essere-pensiero,  e trasformandosi così in  una scettica epistemologia.
In ragione di questo collasso si comincia ad ipotizzare che solo una religione vecchia o nuova che sia, potrebbe indicare la via di una rinascita spirituale. Heidegger riconobbe la realtà storica di questo immane scacco invocando un “Ultimo Dio” che alcuni “Uomini Venturi” avrebbero un giorno annunciato. Tale religione chiaramente dovrebbe scaturire da una profonda esigenza interiore, conscia dell’abisso in cui si è caduti. Lo stesso Hegel riconosceva nel sentimento religioso una forma necessaria della vita dello spirito: essa è una filosofia in simboli, una rappresentazione sentimentale di Dio, sebbene  egli ritenesse possibile pervenire  al sapere assoluto solo con la filosofia, in quanto espressione massima della conoscenza concettuale umana. Ma la filosofia oggi è scritta dagli ingegneri, dai fisici, e dagli scienziati vari. Lo stesso Heidegger, per esempio, si affidava più al poetare piuttosto che alle elaborazioni teologiche e metafisiche.
 In questo contesto in cui il vuoto cosmico sembra pervaderci, C.G. Jung, distaccandosi nettamente da Freud, pensava che una eventuale guarigione personale o anche comunitaria, dipendesse dal nostro inconscio collettivo, il quale, pur autonomo rispetto alla coscienza, ma comunque complementare ad essa, era ed è la sede in  cui si mantengono sempre presenti immagini primordiali universali, che lui chiamava archetipi. I principali di questi sono quello della Madre, degli animali, dell’anima femminile e dell’animus maschile, della persona e dell’archetipo del sé. Tutti gli studiosi di Jung, poi, sono concordi di indicare come il più importante fra questi sia l’archetipo del sé. Esso permette all’individuo di trovare non solo se stesso, ma anche un vero legame fra gli uomini, poiché è innata la tensione dell’uomo verso l’unità che costituisce la forza aggregativa formatrice  della singola personalità. Il solipsismo appartiene, quindi, ai folli. Lo stesso grande studioso delle religioni, M. Eliade, pur non trattando i temi della psicologia del profondo propri di Jung, riteneva che in tutte le civiltà umane fossero presenti dei modelli esemplari, dei paradigmi, che risalgono all’inizi dei tempi storici. Egli scriveva che ci sono fatti “… che ci mostrano come la realtà è conferita dalla partecipazione al simbolismo di centro: le città, i templi, la case diventano reali per il fatto di essere assimilate al centro del mondo; fatti che ci mostrano che per l’uomo arcaico la realtà è tale in quanto imitazione di un archetipo celeste; infine ci sono rituali e gesti profani che realizzano il senso a loro dato soltanto perché ripetono deliberatamente certi atti posti ab origine da dèi, da eroi o da antenati”  (2). Pur in ambiti diversi questi due pensatori affermavano perciò che la spiritualità umana proviene da tempi remoti e che è ancora presente in noi, sebbene sia celata dal frastuono del macchinismo moderno. Anche gli studi di etnologi recenti, a cominciare da Padre Wilhelm Schmidt, cercano di dimostrare che già nel mondo cosiddetto primitivo o antropoarcaico la religiosità degli umani non discendeva né dalla paura degli eventi naturali, né dall’animismo, né dal feticismo, né dalla magia: né, tanto meno, era il prodotto, come sosteneva il famoso filosofo delle religioni Rudolf Otto, dall’irrazionale. Ormai molti studiosi concordano sul fatto che in molti popoli antichi, non in tutti invero, prevaleva l’idea dell’Essere supremo.  Infatti, da quando l’uomo divenne homo operans,  egli aprì  il proprio spirito alla divinità, poiché col lavoro si sviluppò nel suo pensiero il principio di causa, che è il nostro principio logico più potente. Egli così cominciò a capire che il tutto era un creato forgiato da una infinita intelligenza. Persino la fisica quantistica oggi conferma che la mente di Dio pervade tutto l’infinito essere (3). Ma anche ammettendo che la religione venga prima, dinamicamente, dell’arte e della filosofia, non si notano nei nostri giorni segni di un risveglio religioso a livello mondiale. Coloro che seguono il loro Dio sono sempre meno numerosi e sempre più smarriti. Nemmeno lo scrivere libri ispirati dalla fisica quantistica con uno sfondo teologico  smuovono il torpore collettivo. La spiritualità è come se fosse caduta nella dimensione del più senile degli ottundimenti. La dittatura del denaro e della tecnica servile domina incontrastata. A questo punto mi viene in mente il frammento 53 di Eraclito: “ Il conflitto è padre di tutte le cose e di tutte è re: gli uni fece dei, gli altri uomini: gli uni servi, gli altri liberi”. Lo stesso Hegel, dopo più di 2.000 anni rispetto a Eraclito, sancirà che la guerra, alla fine, risolverà tutti i problemi. La guerra attuale, che è mondiale, stabilirà per secoli il  destino umano: e forse oggi è molto più rivoluzionario di tutti noi quell’operaio americano, tal Kid Rock, che col mitra spara ad una cassa di birra Bud Light sponsorizzata da un transgender. Chiaro esempio di come la filosofia della prassi superi quella teoretica.
Note:
1)    G.H.F. HEGEL, Fenomenologia dello spirito, ed. La Nuova Italia, Firenze1973.
2)    M. ELIADE, Il mito dell’eterno ritorno, Rusconi ed., Milano 1975, pp. 15-16.
3)    Vedasi i libri di F.FAGGIN, Silicio, e Irriducibile, Ed. Mondadori, Milano 2019 e 2022.