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Utero in affitto: il business della maternità surrogata

di Enrica Perucchietti - 28/01/2018

Utero in affitto: il business della maternità surrogata

Fonte: unoeditori

Negli ultimi anni la discussione sui risvolti etici della maternità surrogata ha fatto molto discutere e sempre più femministe hanno compreso che il fenomeno ha dato vita a nuove forme di schiavismo moderno, in cui il corpo della donna è visto come merce e il bambino come un oggetto che può essere venduto e comprato. 

Il mercato delle madri surroganti è infatti l’ultimo tassello del processo di mercificazione della società occidentale che nella sua discesa agli inferi sta trasportando con sé anche l’Oriente. Ammantandosi del falso buonismo e di una propaganda mediatica volta a trasmettere nell’opinione pubblica l’idea della surrogata un “atto d’amore”, si intende strumentalizzare il corpo femminile e fare dei bambini una “merce” di scambio.

La generazione viene scollata dall’atto sessuale e diviene un lusso per pochi: “fabbricazione” di bambini. Il meccanismo che sta dietro la maternità surrogata è infatti capitalista: finalizzato a trarre profitto e rivolto esclusivamente ai ricchi. È un mercato in costante crescita che nonostante le restrizioni (o proibizioni) vigenti in molti Paesi frutta circa 6 miliardi di dollari l’anno a livello internazionale. 

Maternità surrogata nel mondo

Il fenomeno è ormai talmente legittimato a livello culturale che i giornalisti negli ultimi anni si occupano di denunciare il fatto che in Italia tale generosa compravendita di bambini non sia legale. Invece di biasimare o almeno sospendere il giudizio sulle condizioni che possono spingere una donna a mettere al mondo un figlio per un’altra coppia, si rivendica il diritto di poter importare tale condotta anche nel nostro Paese.

In diversi Stati del Nord America, per esempio, le donne che decidono di mettere a disposizione il proprio corpo per i figli altrui sono ben pagate, assicurate e protette: ciò sembra giustificare anche a livello morale tale scelta. Per nove mesi portano in grembo un bimbo che alla nascita verrà “consegnato” ai donatori degli embrioni. Tutto ciò è legalizzato e possibile grazie a un contratto e all’operato delle società di intermediazione.

La via americana o canadese, come ha dimostrato il caso di Vendola, è però costosa. Così molte coppie o single ricorrono a soluzioni più abbordabili come nell’Est europeo e in particolare in Ucraina, dove si spendono dai 30 ai 60 mila euro. Solo che per i donatori, alla nascita del bambino, subentrano poi problemi burocratici.

I costi infatti variano da Paese a Paese, come documento nel mio libro Utero in affitto. Negli Usa una coppia può arrivare a spendere tra i 100 mila e i 150 mila dollari per avere un figlio mentre Ucraina e nell'Est Europa in generale i prezzi scendono intorno ai 30 mila dollari, e si riducono man mano che ci si sposta negli Stati asiatici del cosiddetto Secondo Mondo. 

In Oriente il servizio costa molto meno perché le madri surroganti non hanno una copertura sanitaria e rischiano persino la vita (ma se si può risparmiare, per chi “compra” un bambino, è un problema collaterale). Nel subcontinente indiano, infatti, la situazione delle madri surroganti è drammatica. Ogni anno vengono reclutate giovani “volontarie” senza alcuna tutela medica nelle aree più povere producendo così più di 1.500 bambini l’anno con ovuli impiantati.

Le donne firmano contratti tra le parti che non prevedono nessun supporto medico o economico in caso di malori post parto e vengono spinte a parti cesarei per non mettere a rischio la nascita dei bambini. In alcuni casi vengono sottoposte a trattamenti ormonali pericolosi per la salute, con l’obiettivo di aumentare la percentuale di successo del concepimento. Si sfrutta cioè il corpo di una donna per ottenere il massimo profitto, proprio come nell’industria. Perché è esattamente questo: una fabbrica fordiana di bambini.

Il diritto ad avere figli non esiste a priori

Ci sono desideri che per quanto umani non possono essere confusi né rivendicati come diritti. Il diritto ad avere figli non esiste a priori. Non esiste per le coppie eterosessuali né per quelle omosessuali. L’ethos dell’avere prole esiste semmai a posteriori – una volta avuto figli dobbiamo prendercene cura – ma non a priori.

Perché vi sono anche i diritti dei bambini che non vengono presi in considerazione. Il diritto di non essere strappato alla madre… e venduto come merce. Perché un bambino sviluppa una relazione unica, eccezionale con il corpo di quella donna che lo alimenta e lo porta con sé per nove mesi. Quel corpo, quell’utero non è un forno, ciò che sente e prova viene condiviso da quel feto che cresce dentro di lei e un giorno sarà un bambino.

L’utero in affitto è semmai paragonabile alla prostituzione, scevra da alcuna impostazione moralistica. Si affitta il proprio corpo per un bene di lusso, da una parte la maternità per la gpa (utero in affitto), dall’altra il piacere fine a se stesso per la prostituzione. Quindi non si può certo associare qualsivoglia forma di “amore” a tale forma di “servizio” a pagamento.

Mercato di ovuli, selezione degli embrioni, reificazione del corpo femminile e mercificazione dei bambini. Stiamo assistendo al passaggio da uomo mercificato all’uomo merce, che nasce cioè come merce attraverso l’ingegneria genetica e che non ha via di scampo. È un vero e proprio cambiamento di stato, un mutamento antropologico, non solo culturale sui cui risvolti dovremmo riflettere prima che sia troppo tardi.