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Verso la fine dell'economia

di Guido Dalla Casa - 09/10/2022

Verso la fine dell'economia

Fonte: Quaderni dell'Associazione Eco-Filosofica

SOLTANTO  DECRESCITA? VERSO LA FINE DELL’ECONOMIA

 La parola “Decrescita”, presa così, isolata, evoca comunque la crescita, viene inconsciamente percepita come una rinuncia a qualcosa che non si può più avere. Tutto questo finché non si modifica alla radice il sottofondo di pensiero onnipresente nella cultura occidentale da due-tre secoli, quello che fa da sfondo alla civiltà industriale, i cui processi hanno alterato i cicli fondamentali su cui si regge la Vita macroscopica del nostro Pianeta, come ad esempio il ciclo respirazione-fotosintesi, l’impollinazione delle piante Fanerogame e la composizione dell’atmosfera stessa.

  I cambiamenti climatici sono il fenomeno più evidente e certamente dovuto alle attività industriali umane: ma sono soltanto un effetto, la causa prima è la civiltà industriale stessa, che ha come caratteristiche il mostruoso aumento della popolazione umana, il primato dell’economia e l’aspirazione apparente a rendere minima la fatica fisica. Oggi si cerca di rimediare a qualche effetto, senza riuscirci ma soprattutto senza indagare la causa prima. Come esempio, alcuni movimenti giovanili chiedono a gran voce interventi per arrestare i cambiamenti climatici, cioè in sostanza chiedono di far progressivamente cessare le emissioni di CO2 in atmosfera, cioè di chiudere le centrali a carbone, petrolio e metano sostituendole con fonti energetiche rinnovabili, oltre a diminuire drasticamente i trasporti. Mediamente, il rapporto quantitativo fra una produzione di energia da fossili e una da rinnovabili è di mille volte, cioè una fonte concentrata di produzione da rinnovabili è mille volte più piccola (energeticamente) di una centrale da fonti fossili. L’unica soluzione reale è quindi consumare molto, ma molto di meno, ridurre drasticamente gli spostamenti di persone, alimenti e merci, mangiare pochissima carne e, caso mai, riservare l’energia per il riscaldamento invernale, ove necessario; insomma, non limitarsi a parlare di “rinnovabili”.

  Ciò significa buttare definitivamente alle ortiche l’economia e tutti gli indicatori tanto cari a multinazionali, politicanti, economisti, industriali e sindacati.

La fine dell’economia

  E’ evidente che quanto scritto sopra vuol dire la fine del modello culturale umano denominato civiltà industriale, nato circa due secoli fa e diffuso recentemente in tutto il mondo. Le conseguenze di cui si vedono ora i primi segnali erano inevitabili e prevedibili già dall’inizio del processo, dato che il modo di funzionare di questa civiltà è incompatibile con il funzionamento (o la Vita) del sistema molto più grande di cui fa comunque parte, cioè il Sistema Biologico, o meglio, la Terra stessa.

  Il sistema industriale-tecnologico cerca di difendersi come può da queste evidenze, per esempio inventando espressioni palesemente contraddittorie come sviluppo sostenibile, green economy, crescita verde, economia circolare e simili amenità, inventate per continuare tutto come prima, anche se questo, in realtà, è impossibile, se non per periodi brevissimi.

  Come accennato, ben presto si renderà comunque evidente che la civiltà industriale, oltre che essere immorale (non consente una vita dignitosa agli altri esseri senzienti) e fonte di infelicità, è prima di tutto un fenomeno impossibile, quindi sta per terminare.   Cosa verrà dopo? Qui sta il punto: dobbiamo gestire la transizione verso modelli possibili, che possano anche dare più serenità mentale e consentire una vita degna a tutti gli esseri senzienti (altri animali, piante, esseri collettivi, ecosistemi). Temo che questo non possa avvenire con una popolazione umana mondiale che si avvicina agli otto miliardi e cresce inesorabilmente di quasi cento milioni di unità ogni anno.

  Con la sola “decrescita” si pensa di poter continuare a sorvegliare i soliti numerini (il PIL?), solo che si cercherà di farli calare, invece di farli crescere. Perlomeno, questo è il pensiero che fa nascere nel grosso pubblico. La decrescita viene percepita come “l’altra faccia della crescita”, cioè qualcosa di negativo, una rinuncia forzata. Ma si continua a riferire tutto ad un unico parametro, il denaro. Il linguaggio è sempre lo stesso: tutto avrebbe ancora un valore monetario?          

  Un piccolo esempio: Che valore monetario ha un otre d’acqua per chi è nel deserto e sta per morire di sete? Vale meno, o di più, di quanti Kg di oro? Il valore monetario è una squallida invenzione di questa civiltà, e di poche altre.

  L’unica vera soluzione è un cambio totale di visione del mondo, una abolizione completa dell’economia. Bisogna non parlarne più e porsi questa abolizione almeno come obiettivo da raggiungere gradualmente.

Il Sistema Terrestre è altamente complesso

  L’approccio da usare in qualunque problema dovrebbe essere quello sistemico-olistico, in cui si considera ogni processo sempre insieme a tutte le sue cause e conseguenze, tenendo conto che qualunque parte influisce su qualunque altra, che a sua volta interagisce di ritorno. Ovvero, le parti in realtà non esistono. In un sistema complesso, un problema non può essere risolto mediante scomposizione nelle sue componenti. L’usuale approccio analitico, o lineare (tipico del paradigma cartesiano-newtoniano della civiltà industriale) è fuorviante e può portare a gravi errori.

  L’evoluzione dei sistemi complessi non avviene in modo lineare: dopo un certo tempo, il sistema si trova in un punto detto di biforcazione-instabilità e/o comincia ad avere improvvisamente un andamento caotico. In ogni caso, dopo un tempo finito l’andamento diventa assolutamente imprevedibile anche in linea teorica.

  Complesso è molto diverso da complicato. Una macchina può essere complicata ma avere un basso livello di complessità, come in genere i sistemi esclusivamente meccanici.

  Se adesso consideriamo il Sistema Totale, anche limitandoci all’Ecosistema terrestre, e pensiamo all’Inconscio collettivo di Jung, possiamo chiamarlo Grande Inconscio o Inconscio Ecologico, generalizzandolo alla Totalità Universale (che potrebbe essere anche cosciente). Naturalmente nessun sottosistema, essendo in realtà “aperto”, cioè con qualche scambio con l’esterno, ha confini definiti con precisione: non esiste alcun ego, né alcuna entità completamente autonoma.

  In sostanza: Le componenti della Natura hanno un grado di complessità molto elevato (con conseguente presenza di mente), le opere della civiltà industriale hanno un grado di complessità molto basso (inerti).

  Il sistema economico, essenza della civiltà industriale, è chiaramente un sottosistema del sistema Ecologico globale (se volete, della Terra). Anzi, è un sottosistema legatissimo al Sistema più grande, soprattutto attraverso la necessità di sfruttare risorse e accumulare rifiuti, concetti sconosciuti nel Sistema naturale, che funziona per cicli chiusi. Anche da questa via non ci vuole molto a rendersi conto che il sistema economico è assolutamente incompatibile con il sistema più grande di cui comunque fa parte. Il fatto che sia andato avanti per circa due secoli, tempo insignificante per la Terra, è soltanto un’ulteriore prova che la civiltà industriale, che lo sostiene, sta per finire. Infatti in questo periodo cominciano a manifestarsi i primi sintomi di impossibilità, fra cui l’accumulo di rifiuti, la perdita di biovarietà e i cambiamenti climatici, tutti fenomeni con andamento intollerabile, perché diecimila volte più veloce dell’andamento possibile nel sistema Terra. Non è possibile trovare un rimedio a questo problema globale studiando ogni problema singolarmente e continuando con criteri di tipo economico. Occorre cambiare completamente la visione del mondo.

Quando un processo è “sostenibile”?

   Quando l’andamento di un sottosistema è sostenibile? E’ sostenibile se non altera in modo apprezzabile il funzionamento (o la Vita) del sistema più grande di cui fa parte.                          Tutte le altre definizioni di sostenibilità che circolano sono totalmente antropocentriche (dicono di non nuocere alle generazioni future) e quindi fuorvianti e inutili.                                                                In questo quadro, espressioni come sviluppo sostenibile, green economy, economia circolare sono state inventate nel tentativo di continuare tutto come prima.

  A qualcuno sembra impossibile vivere diversamente da oggi, cioè in un modello ben diverso dalla civiltà industriale. E’opportuno ricordare che sono esistite sul Pianeta circa cinquemila culture umane: ben poche erano incompatibili con il Sistema Terra, la maggior parte potevano esistere a tempo indefinito all’interno del Sistema più grande. Purtroppo sono quasi completamente scomparse per l’invadenza della nostra civiltà e dei suoi valori. Tutto ciò non significa che dovremo vivere come una di queste ex-culture: significa che è possibile vivere in modo compatibile con il Sistema Terra, pur di allontanarsi completamente dai valori della civiltà industriale, cioè abbandonare e dimenticare l’economia: il sistema economico ha una sola variabile (il denaro) e non può esistere a lungo in un sistema ad elevato grado di complessità e con un numero grandissimo di variabili.

L’argomento preferito dagli industrialisti-sviluppisti per invocare la crescita economica come il rimedio di tutti i mali è che si tratta dell’unico modo per dare a tutti il lavoro. Non ci vuole una gran fantasia per rendersi conto che il lavoro per tutti non c’è più, se si mantiene il concetto di lavoro proprio della civiltà industriale. Quindi bisogna cambiarlo alla radice: ad esempio, abolire le distinzioni fra lavoro pagato e lavoro volontario e fra lavoro e tempo libero. Forse occorrerà abolire anche il denaro. Solo come esempio, molte culture umane sono vissute per tempi lunghissimi senza l’idea del denaro, che stabilisce valori del tutto relativi e fuorvianti.

Per inseguire le follie dell’economia, siamo ridotti a dover “creare lavoro” (!), cioè sostituire materia inerte a sostanza vivente (in questo consistono le attuali “opere”), quindi distruggere la Vita, creando inoltre ulteriore infelicità, perché di norma quel lavoro non è gradito a chi è costretto ad eseguirlo.

  All’origine di tutto questo stanno due premesse di fondo: l’antropocentrismo più spinto e una scienza che considera reale soltanto la materia.

Ai pacifisti

  Cari pacifisti, per avere veramente una pace duratura, occorre che non ci siano più fabbriche di armi, che sparisca la competizione dall’animo umano, che è solo una fonte di guai, che si mangi e si impieghi solo quello che si ottiene localmente e che si aboliscano i rifiuti. Dovranno sparire anche i concetti di ricchezza e povertà, quindi anche il denaro, reale e virtuale: quindi, deve sparire tutta l’economia.

  I “benpensanti” che stanno facendo un sorrisino mi indichino qualche guerra combattuta dai Boscimani, dagli Eschimesi, dagli Hopi, dalle popolazioni dell’altopiano tibetano (prima dell’invasione dei cinesi), tanto per citare solo alcune delle culture umane pacifiche, la cui esistenza dimostra che la guerra non è “propria della natura umana”. Finché il termine “imbelle” avrà un significato negativo e l’aggettivo “combattivo” indicherà un individuo “coraggioso” e “bravo”, finché si chiamerà “eroe” chi ha ammazzato molti “nemici” o si è fatto ammazzare, la vostra “lotta (!!) per la pace” sarà completamente vana.

E l’Italia? 

  Cosa può fare l’Italia? Nel mondo l’Italia è piccola, ma potrebbe fare qualcosa di veramente nuovo, dare un grande e coraggioso esempio. Per un vero cambiamento si potrebbe cominciare col modificare quel famoso Articolo Uno, quell’esaltazione del “lavoro”. Ecco l’articolo nuovo: “L’Italia è una Repubblica fondata sul Mondo Naturale”.

  Potremmo cominciare a dire al resto dell’Europa:

-         Noi ce ne andiamo, ma non vogliamo lasciarvi perché ci siete antipatici, ma perché vogliamo uscire da tutta la civiltà industriale, riconoscendo che è un modello fallito, anzi è impossibile perché incompatibile con il Sistema Biologico Terrestre, che è il sistema più grande di cui facciamo parte;

-         Vogliamo uscire da tutta l’economia: per noi non esisterà più. Ne dimenticheremo anche il linguaggio. Non parleremo più di PIL, spread, reddito e simili. Poi aboliremo anche il denaro e i concetti di ricchezza e povertà;

-         Favoriremo in ogni modo il controllo delle nascite, senza coercizioni;

-         Nella formazione scolastica e successiva l’insegnamento avverrà inquadrando le conoscenze in un paradigma sistemico-olistico, abbandonando il paradigma cartesiano-newtoniano in auge da due secoli. Le idee di progresso e di civiltà saranno completamente riviste, così come sarà modificato profondamente il concetto di primitivo;

-         Ribalteremo il messaggio televisivo: basta con la pubblicità commerciale, faremo apparire come un fessacchiotto chi cerca la velocità, chi va di corsa, chi vuole “vincere” e teme di “perdere”, chi ha la smania del fare e dell’avere;

-         Diventeremo tutti quasi-vegetariani, come oranghi, gorilla, scimpanzé e bonobo, il cui fisico e comportamento sono molto simili ai nostri. Saranno aboliti tutti gli allevamenti intensivi e consentiti solo i rapporti con gli altri esseri senzienti sulla base della simbiosi;

-         Non abbatteremo più alcun albero, né distruggeremo un solo metro quadrato di foreste, né boschi in generale;

-         Cesseremo immediatamente qualunque monocoltura e impiego di pesticidi. L’agricoltura sarà basata soltanto sugli insegnamenti della permacultura;

-         Smetteremo immediatamente ogni estrazione e impiego di combustibili fossili. L’unica energia verrà dal Sole, come è accaduto per la Terra da alcuni miliardi di anni. Non costruiremo più alcun veicolo con motore a combustione interna. Cesseremo immediatamente la produzione e l’impiego di materie plastiche;

-         Cambieremo anche il concetto di lavoro, facendo sparire la distinzione fra lavoro pagato e lavoro volontario e quella fra lavoro e tempo libero.

  Tutto questo sarebbe un esempio di coraggio, lungimiranza e realismo, oltre che un grande messaggio culturale a tutto il mondo.

  Se ci fosse anche solo un minimo di onestà intellettuale, qualunque discorso al popolo dovrebbe iniziare più o meno in questo modo: "Abbiamo constatato che il modello culturale umano denominato civiltà industriale-tecnologica, nato due secoli fa nella cultura occidentale e basato sull'economia, è fallito perché è incompatibile con il funzionamento dell'Ecosfera, che è il Sistema più grande di cui facciamo parte. Vediamo come uscirne rendendo minima la sofferenza per tutti gli esseri senzienti".

 n. 66 (settembre-ottobre 2022)