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Verso un mondo che non è umano

di Paolo Becchi - 03/05/2020

Verso un mondo che non è umano

Fonte: byoblu

Oggi è il primo maggio, festa del lavoro e dei lavoratori. Un giorno di solito gioioso, di serenità, che si festeggia con gli amici o con qualche manifestazione in piazza, oppure anche semplicemente facendo un picnic in campagna. Tutto questo ci è stato negato.

D’altra parte, che senso ha oggi festeggiare il primo maggio come festa del lavoro, tenendo presente che stiamo tutti in casa e quando molti usciranno di casa non sapranno neanche più dove andare perché molti un lavoro non ce lo avranno più?

Questo sarà il dramma del prossimo futuro. Dopo aver abolito lo stato di diritto in favore dello stato terapeutico, questo cederà presto il passo allo stato di carestia, la prosecuzione e al contempo la nuova versione dell’austerità. Dall’emergenza sanitaria passeremo all’emergenza economica, e questa creerà forse meno morti, ma sicuramente moltissimi problemi sociali. Ecco cosa ci attende nei mesi a venire in Italia. La questione sociale connessa alla questione del lavoro.

Consentitemi una breve riflessione più generale sul tema del lavoro. È lo stesso lavoro che sarà soggetto a dei mutamenti profondi quando usciremo di casa. E per quelli che non lo avranno più dovranno ripensare il senso della loro occupazione. Alcune occupazioni spariranno altre nasceranno
sull’onda della rivoluzione digitale, a cui il virus ha spalancato la via.

Lo chiamano smart working, “lavoro agile”, da remoto. Le video-conferenze, le video-lezioni e i consigli di dipartimento online nel mio caso di professore universitario sono ormai la regola, e lo resteranno. Ma ciò riguarderà anche le attività produttive. Saremo sempre più legati a questa rivoluzione digitale che trasformerà completamente il lavoro. Allora forse, più che fine della globalizzazione, ciò a cui assisteremo è la sua virtualizzazione.

Bisogna capire cosa si intende con globalizzazione. Se la globalizzazione è l’esistenza di un unico spazio liscio su cui merci, uomini e capitali si spostano indefinitamente, questa struttura nella sostanza non è mutata. Il capitale continuerà a muoversi istantaneamente, con un “click”, da un punto all’altro del pianeta alla ricerca dell’investimento o della speculazione redditizia che lo faccia “figliare”, avrebbe detto Carlo Marx.
Con un click si potrà continuare ad ordinare qualsivoglia prodotto da qualsiasi punto del globo, e questo ci verrà prontamente recapitato da una multinazionale di e-commerce oggi per il tramite del fattorino e domani direttamente col drone, così da annullare anche questo residuo contatto umano.

Ciò che cambierà sarà solo lo spostamento del “fattore lavoro”, cioè dell’uomo. Esso si ridurrà drasticamente nel caso dei lavori non manuali, cioè della stragrande maggioranza degli individui essendo la nostra società postindustriale fondata sui servizi. Ma non cesserà del tutto, si interromperà solo fisicamente per virtualizzarsi. Oggi la virtualizzazione è ancora all’inizio, quei mostruosi marchingegni informatici che a qualche dinosauro affezionato alla Lettera 22 dell’Olivetti paiono prodigi della tecnica sono in realtà molto rudimentali. Presto le video-conferenze/lezioni/riunioni/chiamate/ecc. si svolgeranno in uno spazio tridimensionale grazie alle tecnologie della cosiddetta “realtà aumentata” (quasi che quella tradizionale in cui gli uomini hanno vissuto per millenni fosse diventata d’un tratto obsoleta). La globalizzazione ne risulterà allora
accelerata, impazzita, dacché le distanze tra persone, spogliate dell’ingombrante corpo fisico, si annulleranno. Ciò a cui stiamo andando incontro è una vita sociale digitale. Sarà il melting-pot virtuale.

Il lavoro però ha sempre avuto una funzione fondamentale. Esso costituisce da sempre un elemento di aggregazione sociale. Nella fabbrica sono gli operai che si incontrano, nella scuola e nelle università sono i professori che insegnano avendo contatto diretto con gli allievi. Questo elemento del contatto è essenziale, è uno dei sensi fondamentali degli esseri umani.

La mia domanda è allora questa. Ha un senso una trasformazione sociale, una svolta antropologica di questo tipo dove il lavoro da elemento sociale diventa sostanzialmente lavoro privato di una persona che da casa può fare tutto? Lavorare da casa, fare la spesa da casa, ricevere le prescrizioni del medico a casa, consultare i libri che vuole leggere da casa… tutto “da casa”. Questa è la negazione completa dell’identità umana, che si fonda sull’idea dell’uomo come “animale sociale”. Stiamo andando verso un mondo in cui il contatto sociale dovrà essere ridotto il più possibile. Ma questo non è un mondo umano. La casa è un elemento fondamentale, e il luogo della famiglia, ma la società è qualcosa di diverso . Non possiamo ridurci a restare in casa, snaturando peraltro il ruolo di “rifugio” dalla vita pubblica dove riposare le membra che gli uomini hanno sempre affidato alla casa per trasformarla in un ufficio h24. Non possiamo passare le nostre vite tutti incapsulati nella propria casa.

Gli uomini sono fatti di carne, carne pensante, ma pur sempre carne e la carne ha bisogno del contatto con altra carne. Tutto è carne.