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Strada, l’Afghanistan e l’Italietta

di Giancarlo Chetoni - 03/04/2007



Indizi significativi consigliano ben altra condotta, ma si va avanti come un treno lanciato senza macchinista... Resta l'esemplare lezione di Gino Strada ad una legione di ONG e "peacekeepers" che hanno dilapidato una fortuna senza combinare nulla.

 

Ho visto e sentito Gino Strada a “Che tempo che fa” parlare di Afghanistan. Ho in testa le immagini del creatore di Emergency che scorrevano sul video, i contenuti delle sue dichiarazioni espresse con rabbia e orgoglio e, insieme, con profonda disillusione. Ne ho visto lo sforzo di autocontrollo.

Avrebbe avuto molto da dire. Era combattuto tra il farlo o no per non spezzare qualche filo di speranza che possa far uscire di galera Rahmatullah Hanefi, il capo del suo staff a Lashkar Gah, e ottenere il rilascio di Adjmal Nashkbandi, l’interprete di Mastrogiacomo.  

Rimangono le sue affermazioni, i dati che ci ha fatto conoscere, che ci sono arrivati una volta tanto senza le abituali, vergognose manipolazioni dei TG di Stato e di Mediaset.

E’ stato il nostro contatto diretto, almeno una volta e senza mediazioni, con la realtà di un Paese squarciato dalla guerra, che soffre, che muore lontano dalle telecamere dell’Occidente, in punta di piedi, con dignità.

Gino Strada ha curato nelle strutture sanitarie di Emergency - vado a braccio - 1.450.000 afghani con un’assistenza di livello europeo, senza chiedere se fossero “ terroristi” o “nemici dei terroristi”, bambini, uomini, donne ed anziani, i più amputati, con gravissime menomazioni, senza fargli spendere un centesimo, portandoli a guarigione, fornendo loro protesi, rieducazione funzionale e motoria con 22 milioni di euro raccolti in giro per l’Italia e l’ Europa attraverso donazioni volontarie, tagliando e ricucendo i pazienti ricoverati anche per 10 ore al giorno con le sue equipe mediche.

A Piazza Navona il Governo era assente: D’Alema a Brema, Parisi e Forcieri a Via XX Settembre. Prodi, da Bologna, ha assicurato il suo interessamento. Più in là non si è riusciti ad andare.

“Non abbiamo padrini né padroni”, ha detto chiaro e forte Gino Strada a Fazio.  

Con decine di miliardi di dollari, l’Onu non ha attrezzato dal Novembre 2001 in tutto il Paese delle Montagne un solo Centro Medico come quello di Emergency.

Al Palazzo di Vetro di New York e a Kabul sono accreditate 1.956 Organizzazioni Non Governative e oltre 4.500 Operatori. Solo 7-800 di questi signori vanno avanti e indietro tra l’aeroporto della capitale e il quartiere delle ambasciate, l’unico dei 5 distretti su cui l’esercito di Karzai e l’Isaf  esercitano un controllo precario. I rimanenti stanno in Pakistan o fanno da collegamento con mezzo mondo senza disdegnare contatti imbarazzanti.

Gente, questi paecemakers, che affida per qualche dollaro, dei 12.000 al mese che riceve a capoccia, al personale locale  le “missioni” alla periferia di Kabul, riservandosi di abitare in postazioni protette o in ville isolate sorvegliate 24 ore su 24 da contractors di Usa e GB e Polizia dell’ex Consigliere della UNOCAL.

Gino Strada è la cattiva coscienza dell’ ONU, di quello che si sarebbe potuto fare e non si è nemmeno pensato di mettere in cantiere. Per gli Afgani c’è stato molto bastone senza carota.

In tutto il Paese non c’è un Centro Clinico attrezzato per l’Infanzia, per i nati da 0 a 6 anni. Un Ospedale Pediatrico è un luogo orribile dovunque perché un minore che soffre è un insulto alla vita, ma vedere e sapere che dei bambini che ci guardano da qualche villaggio di fango con i loro grandi occhi perché figli innocenti di un popolo assassinato da un’altra “guerra permanente” è qualcosa che ci fa sentire in debito di ossigeno.

A leggere i comunicati che escono dal Ministro della Difesa c’è da strabuzzare gli occhi. Il presidio sanitario di Via XX Settembre dovrebbe essere urgentemente fornito di uno scatolone di camicie di forza pronto ad essere sballato.

In Iraq si rifinanzia la MSU, si assoldano a Nassiriyya i tagliagole dell’AEGIS, si fa finta di non sapere cosa succede nel settore nord-ovest dell’Afghanistan né nella provincia di Helmand, anche se a dirlo senza peli sulla lingua è il solito rompicoglioni di Emergency che parla di centinaia e centinaia di morti al giorno, di un neonato di 18 mesi con il cranio sfracellato da un proiettile che colpisce poi alla mascella la madre che lo teneva in braccio.

 

Non va affatto meglio alla Farnesina, che dichiara con tutta tranquillità che “la sorte dei marinai inglesi non è una questione bilaterale (GB-IRAN), ma tocca tutta l’Unione Europea nel suo complesso”.

D’Alema, prima di partire per la Germania, ha fatto in tempo a spiegarci che “l’Italia si tiene a piena disposizione di Blair per intraprendere qualsiasi passo che gli inglesi possano ritenere utile e necessario”.

Compresa la guerra a Teheran, Sig. Presidente dei Democratici di Sinistra, se il “laburista” Blair non abbassasse le penne?

Parole impegnative quelle spese dal Baffo di Gallipoli, visto che il Primo Ministro di Sua Maestà è un sodale affiatatissimo dei massacratori di Washington e all’Onu guida con gli USA una campagna di terrore per imporre sanzioni sempre più dure all’ Iran.

Il Vice Presidente del Consiglio ha un occhio d’aquila e voce tonante per la sorte dei Militari del Regno Unito, e uno foderato di prosciutto e una totale afasia  da un bel po’ di tempo per milioni di prigionieri a Gaza e in Cisgiordania sottoposti a ben altro trattamento.

 

Intanto, il Sig. Draghi per la Banca d’Italia ha disposto a tempi di record il commissariamento della Banca di Stato dell’Iran Sepah  che finanzia il credito all’esportazione. Da Palazzo Chigi è arrivato a stretto giro di posta il via libera. Un altro atto ostile che danneggia la nostra industria e la nostra economia e rischia di infiammare i rapporti tra Roma e Teheran. Il VicePresidente del Consiglio sa perfettamente che Roma ha miliardi di euro di interscambio commerciale con l’Iran, che l’Eni ha fortissimi interessi in quel Paese e che dai terminali petroliferi di Teheran ci si approvvigiona di quote strategiche di oro nero per far camminare quanto ormai rimane dell’apparato industriale italiano, con Telecom, e debiti per 43 miliardi di euro, in liquidazione societaria.  

 

Essere componenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ci porterà nel giro di un anno a pagare prezzi salatissimi. Il Bel Paese è un treno in corsa senza freni. Le visite di Casini a Spogli e il rapido riallineamento di Cesa & Soci al Senato sul rifinanziamento delle missioni italiane all’estero dicono che gli USA hanno scelto il “centro sinistra” allargato al posto del centrodestra barricadiero di Berlusconi, Fini e Bossi. Un centro-centro-sinistra che fa una politica di centrodestra non può non portare alle stelle le chanches di una Grande Coalizione alla Merkel. Un sistema garantito dai Palazzi del Potere, stabile, completamente allineato all’“avventurismo” anglo-americano, ancor più profondamente inserito nelle strutture della Nato e acquiescente alle decisioni militari per l’Europa dell’Alleanza Atlantica.

Le dichiarazioni rilasciate alle Agenzie Internazionali dal comandante  di Unifil, il generale Graziano, avrebbero almeno dovuto  far riflettere Prodi, D’alema, Parisi e Forcieri su quello che sta succedendo nel Paese dei Cedri e non far loro dimenticare che le aree di crisi sono più d’una e interdipendenti.

L’alto ufficiale italiano ha detto che da quelle parti il calderone è tornato a bollire e non lascia presagire niente di buono, che si stanno, insomma, avvicinando tempi duri che richiederanno intelligenza e misura e, quel che è peggio, prevedibili sacrifici.

 

La “nostra” diplomazia appare invece fortemente squilibrata, incapace di mantenere aperti dei canali di comunicazione a 360°. Intorno al Paese degli Ayatollah spirano venti di guerra. I preparativi di attacco degli USA a Teheran sono massicci e in corso da mesi. Lo dicono Ria Novosti e Itar Tass sulla scorta di segnalazioni di altissimi dirigenti del GRU, il servizio di informazioni militare della Russia. Fonti molto, molto autorevoli coadiuvate da una formidabile rete satellitare.

 

In Afghanistan basta che si decida di riempire un (1) contenitore da 40 pollici facendone arrivare il carico a dorso di mulo ai Pashtun o ai Hazara per far correre a rotta di collo a Bagram per un reimbarco, veloce, velocissimo sui C130 e sui Galaxi, tutta l’Isaf e Enduring Freedom. Un viaggio in uscita, senza ritorno.

Se i Pasdaran fanno un respiro un po’ più forte nel Centro Asia o nel Medio Oriente, o solo nello Stretto di Ormuz per respingere un attacco aereonavale di Usa e GB, l’Italia e l’Europa verrebbero immediatamente trascinate in un disastro politico, militare ed economico di incalcolabile portata. Eppure la Conferenza della Lega Araba a Riyad avrebbe dovuto stasare qualche orecchio a Palazzo Chigi!

 

La partita del Medio Oriente non si gioca più né alla Casa Bianca, a Gerusalemme, al Cairo o a Bruxelles ma a Pechino, a Karachi e a Mosca. Il mondo non è più lo stesso. Gli equilibri geopolitici di una volta sono irrimediabilmente saltati. Prima che le energie non rinnovabili siano esaurite, a fare da stampella al pianeta ci sarà l’atomo.

L’intera area del mondo senza petrolio e metano scivolerebbero in 10-15 anni a partire dal 2035-2040, all’età del Medio Evo. La Russia di Putin si appresta a firmare con Algeria, Egitto, Arabia Saudita e Turchia la vendita di 40 centrali nucleari.

Il contagio di Bushehr sta muovendo il mondo.