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Lo stato della Scuola

di Fulvio Panzeri - 03/04/2007

  
Il quotidiano “Avvenire” ha dedicato un’inchiesta sullo stato della scuola dalla quale selezioniamo un’intervista a Guido Conti, scrittore ed ex-insegnante.
Guido Conti attribuisce le cause storiche dell’attuale decadimento del ruolo della scuola alla preparazione del corpo docente uscito dalle Università negli anni Settanta e alle Riforme che hanno privilegiato l’efficienza a scapito della preparazione degli studenti.
Conti individua ulteriori fattori nella eterogeneità e nell’affollamento delle classi, ma anche nella rinuncia delle famiglie che hanno delegato alla scuola il ruolo di “supplente dei genitori”.


Continua la nostra inchiesta, per capire dove sta andando la scuola di oggi. A parlarne è Guido Conti, scrittore, ma anche professore per un certo periodo, che però frequenta assiduamente le aule scolastiche, a supporto degli insegnanti, attraverso corsi di scrittura, con l’obiettivo di far scrivere i ragazzi, di farli appassionare ad una letteratura non solo da leggere, ma anche da sperimentare attraverso la propria creatività.

Secondo te la scuola sta attraversando veramente un momento di crisi?
«Certamente, su questo possiamo essere d’accordo e ciò deriva da una serie di fattori. Innanzitutto dal corpo docente, uscito dalle Università negli anni Settanta, quando era di moda il “6 politico”. Qui nasce la prima frattura grossa, quella di un insegnante che non era preparato a sostenere il difficile compito educativo, a rimettersi continuamente in gioco rispetto al difficile mestiere dell’insegnamento. Naturalmente ci sono le eccezioni, gli insegnanti che fanno bene, con coscienza il proprio lavoro, ma la maggior parte tira a campare. Poi possiamo aggiungere che sono arrivate le Riforme, che hanno voluto farci capire quanto fosse importante una scuola efficiente e in funzione di questo hanno ridotto il piano di studi e i programmi. Progressivamente dalle elementari alle medie superiori è stato un continuo togliere.»

Ad esempio che cosa è stato penalizzato?
«[...] Prendiamo anche un esempio più recente, quello dell’introduzione delle lauree brevi. Ho assistito come controrelatore ad alcune sessioni di queste lauree e mi sono vergognato di aver quel ruolo, tanto che poi vi ho subito rinunciato. Ho visto il caso di una ragazza che è stata ammessa, pur avendo copiato da Internet la sua tesi. Nonostante un professore l’abbia contestata, è stata fatta passare lo stesso e abbiamo avuto una nuova laureata, senza nessun merito. Prima, quando frequentavo l’Università io, e non parlo di secoli fa, ma solo degli anni Ottanta, laurearsi voleva dire impegnarsi in una ricerca che ti occupava un anno, forse due. Così uno studente imparava almeno un metodo di ricerca, si doveva applicare. Ora sono richieste solo settanta paginette, scarne scarne, per lo più scopiazzate da altri testi, se non interamente scaricate. È un modo per far uscire dall’Università persone che non sono assolutamente all’altezza del titolo di cui si fregiano.» [...]

Al centro della scuola c’è l’educazione, la formazione dei ragazzi. Una scuola che punta all’efficienza rischia di perdere di vista questo obiettivo. Non trovi?
«Sono d’accordo, alla scuola stanno venendo a mancare due principi fondamentali, quello dell’autorità e quello dell’autorevolezza. Ho fatto alcune supplenze alle scuole medie e mi sono trovato di fronte a classi devastate, composte per assurdo da pochi ragazzi volonterosi, altri demotivati, due dislessici e un buon numero di extracomunitari. Ti impedisce di lavorare e ciò riduce il potenziale di autorevolezza dell’insegnante. Eppure dal Ministero il segnale che arriva è quello di aumentare il numero di alunni nelle classi, per poi dire che l’insegnante deve prevedere un percorso personalizzato per ognuno. Com’è possibile questa cosa nella concretezza? Rimane una utopia sulla carta e il professore non è più tale, ma si riduce ad essere una specie di assistente sociale, senza avere gli strumenti necessari per svolgere bene anche questo ruolo. È difficile oggi fare l’educatore, non hai gli strumenti necessari per far fronte alle problematiche che si presentano in una classe e senti che sei impotente nell’aiutare questi ragazzi. È necessario rivedere il sistema della formazione delle classi, anziché riempirle a più non posso, direi che è necessario ridurre il numero degli alunni, per garantire a ciascuno la possibilità di essere seguito, anche individualmente, dall’insegnante.»

Ciò si riflette anche sull’atteggiamento degli studenti?
«È proprio qui il punto debole. Gli insegnanti sono demotivati, stanchi, molti non si aggiornano. Gli vengono forniti strumenti come i computer che rimangono inutilizzati perché non li sanno usare. Gli studenti che dovrebbero ricevere dai professori l’energia necessaria a capire che l’impegno scolastico è importante si lasciano andare anche loro. Così guardano alla scuola come a un luogo di divertimento, un modo per stare in compagnia, non dove studiare seriamente.»

Allora è tutta colpa della scuola. E la famiglia?
«Anche lei deve fermarsi a riflettere, soprattutto sul fatto di aver delegato alla scuola il compito dell’educazione del ragazzo. E questo è un errore clamoroso. La famiglia non ha più tempo di occuparsi seriamente dei figli. Tutti lavorano e arrivano a casa tardissimo. Manca il dialogo, la presenza. Questa assenza non può essere colmata dalla scuola. Gli insegnanti non possono essere i supplenti dei genitori. Ogni tanto trovo delle mamme che mi chiedono: “Perché mio figlio non legge?” Io rispondo con un’altra domanda: “Lei legge con suo figlio?”. È un esempio che fa capire bene quanto stia venendo a mancare la presenza costante, vigile del genitore che fa esperienza concreta con il figlio. Così abbiamo ragazzi, in qualche modo, abbandonati a se stessi e ai propri tormenti adolescenziali senza trovare risposte».