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Libano: venti di guerra. Come l'occidente sta armando la guerra civile

di Giancarlo Chetoni - 25/04/2007




Il governo libanese di Fuad Siniora ha beneficiato dal novembre 2006 ad oggi di aiuti militari provenienti dall’Europa per oltre 35 milioni di euro. Il Pentagono dal canto suo ha destinato ad emissari del primo ministro altri 39 milioni di dollari per l’addestramento e l’equipaggiamento delle forze armate libanesi e sta consegnando, utilizzando il porto di Beirut, 285 veicoli blindati leggeri da ricognizione Humvee per equipaggiare non meglio identificate “forze speciali”. Il finanziamento approvato da Camera dei Rappresentanti e Senato di Washington sarebbe arrivato a destinazione attraverso l’ambasciatore Usa in Libano Yeffrey Feltmam. Tra le “donazioni” a stelle e strisce a Beirut c’è acquisto di 24 autocarri Ford da trasporto truppe, l’ “upgrade” di 23 elicotteri UH-1H con gondole per 48 razzi da 70 mm, di 4 AB 212 da addestramento, la fornitura di 15.000 fucili di assalto M16 e di un numero imprecisato di casse di munizioni per armi leggere, da accompagnamento e da artiglieria.
Il Belgio si è liberato degli esuberi di 45 carri armati Leopard-1 e di 20 semoventi M 109 nonché di un numero imprecisato di Afv.
L’Inghilterra si è data da fare con la fornitura di 50 Land Rover mentre dalla Germania sono in arrivi 2 pattugliatori armati da 36 metri.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno già spedito via mare 10 unità navali della classe 10-14 metri e 9 elicotteri armati Gazelle.
Ufficialmente in tutte le forniture militari fatte arrivare in Libano c’è solo materiale finalizzato a rendere più efficace il blocco navale scaturito dalla risoluzione 1.701 e a incrementare la capacità di sorveglianza dell’esercito libanese nella Fascia Sud del Paese.
Il materiale già stoccato sulle banchine di Beirut, ed è quello che temono Hizbollah e alleati, in realtà può avere, come si dice, un uso diverso: accrescere il potere di repressione del  governo Siniora su formazioni politiche e militari che intendessero opporsi sul piano interno a scelte di “normalizzazione” sotto dettatura della tentacolare e cosiddetta  comunità internazionale.
La mancanza negli stock di qualsiasi sistema d’arma antiaereo non può non rafforzare questa percezione. Insomma non c’è una sola cerbottana per sparare verso l’alto proiettili di carta. 
Non è il solo elemento destinato a far lievitare la tensione nella regione. In queste ultime settimane intorno al Paese dei Cedri c’è un surplus di voci allarmanti e un andirivieni di personaggi sulfurei. Da registrare l’arrivo a Naqura di Ban Ki-moon, per un lungo colloquio senza testimoni col generale Graziano dopo una visita di cortesia a Gerusalemme.
Intanto fonti anonime Usa, riprese dal tabloid “USAtoDay” e congiuntamente dal quotidiano libanese Aldiyar, hanno annunciato che tra 3-4 mesi prenderanno avvio i lavori per l’approntamento di una base  Usa-Nato a Klieaat nel nord del Paese ampliando una struttura già in dotazione alle forze armate del Libano.
L’indiscrezione fatta filtrare è di quelle che potrebbero determinare l’accensione prematura della miccia in tutto il Medio Oriente, nel Golfo Persico e in Asia Centrale.
La “postazione” a quanto anticipato dovrebbe servire come quartier generale della forza di impiego rapido e ospitare piazzole di cemento per squadroni di elicotteri Apache e Black Hawh  oltre che “compound” per  unità delle forze speciali dell’Alleanza atlantica, incaricate dell’addestramento di reparti dell’esercito e delle polizia libanese da adibire alla sorveglianza dei confini e dei cheek point doganali tra Libano e Siria per la repressione del  traffico illegale di armi  tra i 2 Paesi.
Già sollecitata senza troppa fortuna da Palazzo Chigi, accantonata per un po’, la proposta è ritornata prepotentemente in campo in questi giorni.
Il segretario generale dell’Onu il 17 del mese in corso, dopo aver preso appunto dei desideri di Olmert, è tornato a Roma a parlare anche della necessità di disarmare Hizbollah.  
La richiesta, a quanto si afferma, accettata in via preliminare  dal “premier” Siniora sarebbe stata avanzata dall’ufficio del segretario alla Difesa USA e dagli stati maggiori di Bruxelles ufficialmente per contrastare gruppi di terroristi di al Qaida che si sarebbero infiltrati dal Libano settentrionale per colpire il contingente Onu.
La solita manfrina, l’usuale mix di menzogne, di inconfessabili complicità tra Langley ed esecutori prezzolati.  
Fantasmi stragisti, ad ampio spettro d’azione, ad orologeria.    
Per quanto la notizia debba essere confermata con una nota ufficiale di Beirut le voci filtrate potrebbero portare al calor bianco lo scontro tra la presidenza del Consiglio, assediata al Gran Serraglio dal novembre 2006, e l’opposizione maggioritaria della coalizione del 16 aprile appoggiata da Hizbollah senza considerare che lo stazionamento di una struttura militare Usa-Nato a un tiro di sputo dal confine della Siria, in un area strategica, verrebbe interpretato da Damasco, alla luce degli attuali rapporti diplomatici con l’amministrazione Bush, come una minaccia diretta ai suoi interessi e alla sua sicurezza nazionale.
Quello che più preoccuperebbe il presidente Assad non è il potenziale bellico, al momento trascurabile, delle forze militari che Usa e Nato faranno stazionare a Klieaat ma la natura del messaggio politico che Washington si appresta a lanciare a Damasco e più in generale agli Stati della regione. Un messaggio che nelle intenzioni dell’amministrazione Bush dovrebbe arrivare anche alla monarchia saudita e alle decisioni adottate dalla Lega Araba a Riad con la partecipazione dell’Iran.
L’ingresso di Usa e Nato nell’area mediorientale, dopo le guerre di aggressione nei Balcani nel 1999 e quella in Afghanistan nel 2001, potrebbe prefigurare la volontà di arrivare a creare le condizioni di uno scontro militare di Israele con la Siria e di Washington con Teheran.
A Beirut come a Baghdad, a Kabul, Al Cairo, ad Amman, il Palazzo di Vetro e la “comunità internazionale” fanno quadrato intorno a morti viventi seppelliti dentro Palazzi di Potere che scricchiolano.