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Mio fratello è figlio unico (recensione)

di Giovanni Di Martino - 30/04/2007

 

Molto liberamente tratto da: "Il fasciocomunista" di A. Pennacchi


Che un film basato sulla trama di un romanzo non ne sia la riproduzione fedele si può ammettere; molte volte anzi è un bene che sia così, che il film abbia passaggi che semplifichino la storia, dato che il tempo a disposizione è quello che è. Altre volte ancora è un bene che del romanzo sia stato fatto un libero adattamento, se questo serve a renderne meglio lo spirito. Insomma registi e sceneggiatori sono degli artisti e dei narratori alla pari degli scrittori.

Peccato che niente di ciò sia accaduto nel film Mio fratello è figlio unico, di Daniele Lucchetti, liberamente tratto dal romanzo Il fasciocomunista – Vita scriteriata di Accio Benassi, semi autobiografia dello scrittore Antonio Pennacchi.

Il fasciocomunista è la storia di un ragazzino che cresce a Latina tra gli anni sessanta e gli anni settanta, attraverso la scuola, il rapporto con la religione, con la politica, la famiglia e le donne.

È la vita scriteriata di Accio Benassi, raccontata dallo stesso Accio Benassi, che trova una giustificazione per tutto ciò che fa, o che non fa. Sono i pensieri di un adolescente vero, come tanti ce ne sono stati in quegli anni, ma come molto pochi ce ne sono nella letteratura del Novecento. Per questo Pennacchi preferisce il romanzo dell’Ottocento, “perché succedono delle cose, non è petrarchista – ha spiegato ad una presentazione del libro nell’estate del 2003 – se il protagonista del mio romanzo incontrasse il giovane Holden, lo gonfierebbe di botte”.

È un romanzo con tanta vita, ma anche con tanta politica, letta da un ragazzino che sembra non capire nulla, e invece capisce pure troppo. È un libro che a chi fa politica, la politica dei manifesti e dei volantini, dei dibattiti e delle catenate, delle aspettative perenni e degli sforzi, non può non rimanere nel cuore, in qualunque epoca sia vissuto. Perché nel MSI degli anni novanta le cose giravano esattamente ancora come le descrive l’autore nel romanzo.

Di politica Pennacchi parla chiaro, rivendica ogni esperienza, ma soprattutto non ha problemi a scrivere di bombe, inganni e strategia della tensione: tutto con i pensieri di Accio Benassi, dello scriteriato Accio Benassi.

I primi quindici minuti del film di Lucchetti rendono anche abbastanza bene i fatti e lo spirito del libro, ma resta tutto lì. Quella del film è un’altra storia. A cominciare dal fratello Manrico, interpretato dall’onnipresente Scamarcio (che fa incetta di primi piani per conquistare una fetta di pubblico che diversamente mai avrebbe visto un film del genere, ma forse in quello Scamarcio è un po’ Manrico): il libro non racconta la storia di due fratelli, ma di uno solo di loro, che di fratelli ne ha tantissimi. Il rapporto di Accio Benassi con il fratello grande Manrico è un rapporto di amore – odio che resta tale per tutto il libro, pure dopo la morte del secondo, anzi soprattutto, perché Manrico è quello che, esternamente, arriva sempre primo sulle cose. E il finale assolutorio in cui Accio Benassi diventa capo famiglia e si occupa di tutto è assolutamente ciò che Pennacchi non voleva per il suo personaggio, che non matura mai, perché in realtà troppo maturo. Almeno questo il film poteva trasmetterlo.

Quanto alla politica, la mistificazione diventa abbastanza irritante perché il protagonista del film è un fascista stupido che poi rinsavisce, mentre Accio Benassi è un ragazzo “scriteriato” e per nulla pentito del proprio passato. Nessun riferimento a come girassero le cose all’interno del MSI o alla conduzione di Michelini. Un velato riferimento (incomprensibile) al concetto di “marcatura a uomo dei comunisti”, espressione utilizzata da Pennacchi per sottolineare la conduzione reazionaria del partito, guardia bianca del sistema.

La politica è il valore aggiunto di un romanzo già vincente, mentre il film rappresenta solo fascisti e comunisti (questi ultimi rappresentati solo leggermente meglio) che se le danno di santa ragione. Il punto essenziale del romanzo (il passaggio da “fascio” a “comunista”) viene volutamente traviato: Accio Benassi nel film lascia il MSI perché i camerati danno fuoco alla macchina del fratello malgrado la sua richiesta di non farlo. Accio Benassi nel libro viene espulso dal MSI per aver organizzato una manifestazione antiamericana.

Valle Giulia è descritta nel romanzo magistralmente in una pagina e mezzo, è perfetta, non manca niente. Nel film, però, non si vedono compagni e camerati che si difendono dalla polizia, ma si vede solo un concerto in una aula occupata dai compagni (presentato da Scamarcio con un microfono molto poco anni sessanta), in cui i camerati fanno irruzione per menare tutti. La differenza è evidente. La malafede pure.

Sarà per questo che Pennacchi (almeno così aveva raccontato Miro Renzaglia sul suo blog) ha aspettato sotto casa regista e produttore. Accio Benassi lo avrebbe fatto.

I tre protagonisti adolescenti complessivamente non se la cavano male, anzi. Elio Germano ha molto talento. Chissà se diventerà un grande attore, oppure, come Accio Benassi, sarà protagonista di una sola vita scriteriata?

Tra i tanti rammarichi c’è quello di non aver visto trasportato nel film (compare in una scena sola) il personaggio più originale e divertente del libro, ancorchè minore, Lupo, l’amico di Accio che lo segue in tutte le sue esperienze e ne condivide le amarezze. Un’altra occasione sprecata dagli sceneggiatori.

Si consiglia, quindi, di leggere il libro. Quello è da non perdere.