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Lesotho, quando il capo dell'azienda parla cinese

di Silvana Cappuccio - 01/05/2007

 
«Se vuoi lavorare in questa fabbrica come sarto, porta le tue forbici da casa»: questo il biglietto di invito che presentano i padroni delle fabbriche di vestiti agli abitanti del Lesotho, i più fortunati dei quali trovano lavoro nelle industrie di proprietà cinese.

Dal 2000, anno in cui ha cominciato a operare l'atto di opportunità e di crescita in Africa, l'Agpa (African growth opportunity act), un accordo commerciale voluto dagli Stati Uniti, il Lesotho ha goduto di alcuni benefici tariffari per esportare merci verso gli Stati Uniti a condizioni agevolate, in prevalenza il tessile e l'abbigliamento. Da allora, le esportazioni oltreoceano hanno avuto un vero e proprio boom, proprio in virtù delle facilitazioni accordate, che hanno fatto del Lesotho uno dei maggiori esportatori di prodotti tessili africani, e comunque il primo dell'Africa sub-sahariana verso gli Stati Uniti, con 55mila lesothiani occupati nelle fabbriche, in gran parte di proprietà cinese e taiwanese. Nel 2005, la fine dell'accordo multifibre, che aveva regolato per 30 anni il commercio globale dei prodotti tessili e dell'abbigliamento, ha comportato la liberalizzazione del commercio dei prodotti tessili, mettendo i prodotti locali in competizione con quelli di importazione cinese, a minor costo, compromettendo pesantemente i volumi di merce esportata e danneggiando l'economia del paese. In pochi più di due anni, sono andati persi 23mila posti di lavoro, in settori a prevalente occupazione femminile.

Il sindacato è debole e diviso: ci sono quattro sindacati tessili e tre confederazioni. Questa frammentazione si traduce in debolezza di azione e di incisività, in una situazione che invece richiederebbe una organizzazione dei lavoratori forte e compatta. La vita dei lavoratori del Lesotho è difficile. Le imprese, in massima parte cinesi, non osservano la legge e sono frequenti i casi di licenziamento per chi si iscrive al sindacato, nonostante la costituzione garantisca il diritto di associazione.
I delegati lamentano molte cose, ma quasi tutti dicono di trovarne insopportabili soprattutto due: l'assenza di comunicazione tra loro e i datori di lavoro, che si rifiutano di interloquire anche sui loro problemi quotidiani, e le pratiche discriminatorie tra i lavoratori cinesi in fabbrica, che occupano funzioni direttive e di supervisione, e la gente del luogo. Non a caso solo questi ultimi sono destinatari di licenziamenti e misure disciplinari. La contrattazione collettiva non esiste. I rappresentanti sindacali ci provano, ma la scusa che viene più spesso addotta dai padroni cinesi è che questi non capiscono né parlano l'inglese, quello stesso inglese che conoscono a perfezione quando devono trattare i loro affari. I salari medi si aggirano intorno ai 680 Rands, pari a circa 70 euro. C'è un'alta percentuale di assenteismo per Aids, la cui incidenza è una delle più alte al mondo, oltre il 30%. In Lesotho mancano i medici ed i farmaci sono merce rara. L'aspettativa di vita è di 34 anni e il tasso di mortalità infantile di 84 per mille. I locali di lavoro sono pieni di polvere, non ci sono sistemi di aerazione, indispensabili soprattutto in estate, quando la temperatura raggiunge livelli elevatissimi, non vengono fornite le maschere per la respirazione, alcuni lamentano la mancanza di acqua nei bagni. In alcune fabbriche, le donne non vengono pagate durante la gravidanza e sono stati segnalati dei casi di trattenute sulla busta paga per assenza in caso di malattia. Non ci sono estintori antincendio. Le pulizie a la manutenzione vengono effettuate solo quando si ricevono le visite dei committenti. L'ora di pausa non viene rispettata, se ci sono delle consegne urgenti. Gli orari raggiungono spesso le dieci, undici ore al giorno. Nonostante tutto questo, non viene mai dichiarato sciopero, per paura di licenziamenti.

E il Governo, le autorità che fanno?
Il Lesotho è uno Stato all'interno del Sudafrica, di appena poco più di 2 milioni di abitanti, una delle economie più povere del mondo, al 148° posto nella scala di sviluppo umano che valuta la qualità di vita di ogni paese. La povertà è diffusa, persino in aumento date le esigue opportunità di lavoro ed il crescente degrado del territorio. I livelli di vita sono enormemente diversi tra chi vive nelle aree urbanizzate e chi combatte quotidianamente per la sopravvivenza nelle aspre montagne del paese. Nelle aree rurali, dove vive circa il 70% della popolazione, si concentra anche la maggior parte dei senza reddito. Nel Lesotho si registra una considerevole presenza di minori al lavoro, soprattutto i bambini nella pastorizia e le bambine nei lavori domestici. Molti poi sono stagionali, nei punti al confine con il Sudafrica.

Chiediamo ad una funzionaria del ministero del lavoro, responsabile del dipartimento sulla salute e la sicurezza, come espleta la sua funzione e se ci sono delle ispezioni, le domandiamo insomma come sia possibile tutto questo. Ci dice che le direttive sono chiare. Sono quelle di non portare mai in giudizio gli imprenditori stranieri, perché sono investitori. In altri termini, il governo non vede, non sente e non parla: di fatto, alle imprese viene assicurata piena impunità, in nome di atti internazionali voluti dagli Stati Uniti, gli stessi che mentre additano la Cina come il principale imputato colpevole di violazione dei diritti umani stipulano con i suoi imprenditori senza scrupoli altri accordi, a danno della popolazione locale.