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La lobby israeliana: una storia recente?

di Sandy Synge - 02/05/2007

 

Recentemente la rivista inglese, «London Review of Books», ha rotto un tabù. Ha pubblicato un

saggio di due professori americani, John Mearsheimer e Stephen Walt. Il nome dell’articolo era,

The Israel Lobby: Does it Have Too Much Influence On US Foreign Policy? (La lobby israeliana,

ha troppo influenza sulla politica estera americana?) (http://www.lrb.co.uk/v28/n06/mear01_.html;

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=3128 per la

traduzione in italiano).

Chiunque abbia seguito anche a distanza le vicende del Medio Oriente tenderebbe a rispondere

affermativamente a questa domanda, ma, fino alla stesura dell’articolo di Mearsheimer e Walt, le

moltissime convergenze tra Israele e USA non furono mai dibattute così apertamente, e con una

forza ed eloquenza tale da far radunare a New York attorno allo stesso tavolo personaggi di estremo

rilievo (e con punti di vista diametralmente opposte) come Shlomo Ben-Ami, ex ministro degli

esteri e della sicurezza di Israele, Martin Indyk, direttore del Saban Center for Middle East Policy, e

Senior Fellow in Foreign Policy Studies al Brookings Institute, Tony Judt, Erich Maria Remarque

Professor in European Studies e direttore del Remarque Institute alla New York University, John

Rashid Khalidi, Edward Said Professor of Arab Studies e direttore del Middle East Institute, John

Mearsheimer, R. Wendell Harrison Distiguished Service Professor of Political Science, e infine

Dennis Ross, consigliere e Ziegler Distinguished Fellow al Washington Institute for Near East

Policy.

In questa battaglia di giganti, divisi per ‘squadre’, quella che ne uscì decisamente vincente

(Mearsheimer, Rashid Khalidi Judt) difese in termini inequivocabili la necessità di rispondere,

appunto, affermativamente alla suddetta domanda. Ben-Ami, Indyk e Ross, invece, sostennero la

tesi che chi promuove gli interessi di Israele negli Stati Uniti si troverà sostanzialmente nella stessa

situazione di tanti altri interessi nazionali ed internazionali di volta in volta alla ricerca del sostegno

dei politici e dei mass media: tutti ‘giocatori’, quindi, che – nel quadro di una normale dinamica di

fair play tra lobby e politica a Washington e altrove negli Stati Uniti a volte vincono e a volte

perdono. Su questo punto Mearsheimer espresse il suo dissenso, assicurando gli ascoltatori che il

tasso di successo che caratterizza le campagne lanciate dalla lobby israeliana fa pensare a dinamiche

ben diverse.

Ma il fatto più agghiacciante (che continua a non imporsi con sufficiente forza all’attenzione

dell’opinione pubblica) è che i termini del discorso, così come emersero quella sera a New York nel

tardo 2006, erano già chiari sessant’anni fa.

Mearsheimer e Walt hanno fornito un reportage sulle modalità dell’immenso potere politico

detenuto attualmente dalla lobby israeliana e, in particolare dall’AIPAC (American Israel Public

Affairs Committee). Tuttavia, durante il dibattito, Mearsheimer – in chiave, possiamo dire,

‘garantista’ – non si limitò semplicemente a rivendicare il diritto degli amici americani di Israele di

fare pressione sul proprio governo; scartò anche la tesi secondo la quale alcuni membri della lobby

israeliana, americani, avrebbero anteposto gli interessi nazionali di uno Stato straniero (Israele) a

quelli degli stessi Stati Uniti: «With regard to the charge of treason or dual loyalty, we did not talk

about dual loyalty and we never accused and would never accuse anyone of treason

(http://www.scribemedia.org/2006/10/10/transcript-israel-lobby/). Ma dopo la lettura dei dati storici

riportati da Stephen Green (vedi sotto) e in vista degli sviluppi giudiziari di questi mesi negli Stati

Uniti (il processo per spionaggio che ha coinvolto esponenti dell’AIPAC nel 2006) abbiamo ragioni

fondate per dedurre invece che per l’AIPAC la treason e la dual loyalty sono di casa.

Inoltre – ci chiediamo –, se non nell’ambito di specifici trattati (ad es. di reciproca difesa), non

sarebbe forse preclusa, ed inaccettabile all’opinione pubblica americana, l’influenza determinante

di altri paesi nella formulazione della decisione di entrare o meno in una guerra? Ad esempio, la

guerra in Irak? Per Mearsheimer, il fattore ‘Israele’ era necessario, sebbene non sufficiente: e

dunque, concludiamo, determinante: «There is much documentation out there to support our

contention that the Israel Lobby was the only force behind the war. In fact we make the argument

very clearly that you would not have had a war had it not been for 9/11 and its effect on President

Bush and Vice President Cheney. The Israel Lobby by itself could not get the war started. But it

seems very clear to me and very clear to other people that the Israel Lobby was one of the principal

driving forces behind the Iraq war and in its absence we probably would not have had a war» (sott.

mia).

L’unica critica che John Rashid Khalidi rivolse all’opera di Mearsheimer e Walt era che i due autori

avevano limitato lo scopo delle loro riflessioni a questioni relative ai rapporti internazionali degli

Stati Uniti.

Ma i limiti dello studio di Mearsheimer e Walt sono anche temporali: si riferiscono alla situazione

attuale (se attuale possiamo definirla).

Il potere descritto da Mearsheimer e Walt è infatti operativo da almeno sessant’anni; l’attualità a cui

siamo abituati a riferirci oggigiorno – ad esempio quella del ‘post-9/11’ – può, anche essa, trovare

la sua irriducibile genesi nella prima metà del ventesimo secolo.

L’intento del libro di Stephen Green (Taking Sides, America’s Secret Relations with Israel

1948/1967, Faber and Faber Limited, Londra-Boston, 1984) è di sottolineare il disdicevole fatto che

«dal 1953, Israele, e gli amici di Israele in America, hanno tracciato le grandi linee delle politiche

statunitensi nel Medio Oriente. È toccato ai presidenti americani, chi con grande impegno e chi con

meno entusiasmo, il compito di implementarle e di sistemare le relative questioni tattiche» (pag.

92).

Anticipiamo qui che Green dedica molta attenzione anche all’altro aspetto a cui si è accennato sopra

– le minacce alla sicurezza americana che Israele, pur nelle sinergie (ad es. l’Iran-Contras Affair),

ha da sempre rappresentato (e che tuttora rappresenta) –, ossia alla questione delle attività di

spionaggio condotte da Israele a danno del principale alleato.

Alcune evidenze:

NB: Le indicazioni di pagina non accompagnate da altri dati si riferiscono al suddetto libro di

Stephen Green. Le altre fonti (poche) vengono citate più estesamente.

1) Nei primi mesi del 1948 il Segretario di Stato statunitense scopre che un’agenzia del governo

inglese ha venduto al futuro Israele, illegalmente, in violazione dell’embargo ONU, e ufficialmente

all’insaputa del Foreign Office (il ministero britannico degli affari esteri), 21 aerei di ricognizione.

Poche settimane dopo, il Foreign Office («furioso») scopre che detti aerei sono stati armati per il

combattimento (pag. 69).

Nello stesso anno, per facilitare le comunicazioni con Ben Gurion in Israele, lo stato americano,

sotto la presidenza Truman, concede a Moshe Sharret (a.k.a. Moshe Shertok), il ministro degli esteri

del governo provvisorio israeliano, l’uso (durante il soggiorno a Washington) della rete di

comunicazioni cifrate del Dipartimento di Stato(pag. 26).

2) Gennaio-marzo 1948: il Haganah rivendica l’attentato al Semiramis Hotel in Gerusalemme (5

gennaio) in cui perdono la vita 23 persone, tra cui il Console spagnolo (pag. 28) (il Haganah non è

la banda Irgun o la banda Stern; è il braccio armato del Jewish Agency, che costituirà da lì a poco il

governo provvisorio di Israele; in altre parole, è il nascente esercito israeliano). La spiegazione

fornita dal Haganah è che l’albergo ospitava degli irregolari arabi (Vittime, Rizzoli, Milano, 2002,

pag. 254). Per il Console Generale americano, Robert Macatee, l’attentato rappresenta un salto di

qualità nelle politiche sionistiche.

Sulle stragi compiute poco prima dalle bande Stern (a.k.a. LHI) ed Irgun (a.k.a. IZL) vedi Benny

Morris (ibid., pag. 253). Inoltre, nella stessa mattinata del 5 dicembre, a Haifa, scoppia un ordigno

lasciato dalla banda Stern in una piazza pubblica: costerà la vita a più di 20 arabi. Da tempo

succedono stragi, compiute da entrambi le parti. Un altro noto storico sionista, Sir Martin Gilbert,

considera l’attentato al Semiramis Hotel un’azione militare in piena regola: l’albergo era «a military

target … which was being used as a military headquarters by an Arab paramilitary organization

(Najada)» (Israel, a History, Black Swan, Londra, 1999, pag. 159). All’epoca, il Console Generale

americano considerava l’attacco «completely motiveless». Green non menziona la questione

dell’eventuale presenza dell’organizzazione paramilitare araba.

Febbraio: sempre in violazione dell’embargo ONU, a New York vengono acquistate ed esportate

dallo stesso Haganah 2.200 «mitragliatrici moderne». Nel frattempo, nota lo stesso Console, le

violenze contro le comunità arabe palestinesi cominciano ad incrementare notevolmente.

Tredici mezzi blindati e cingolati inglesi vengono venduti alle forze di Haifa, «per uso agricolo»; la

dogana britannica riconosce l’errore e blocca l’esportazione di altri 37 mezzi simili (pag. 69).

3) 31 marzo 1948: l’intelligence USA si interessa di un traffico cecoslovacco di armi

aerotrasportate diretto ad una ex-base della Royal Air Force in Palestina (nella zona di Beit Darras)

(pag. 59). Si registra la presenza di guardie della polizia segreta cecoslovacca all’aeroporto ceco

(Praga). Gli aerei, senza le necessarie autorizzazioni, attraversano regolarmente gli spazi aerei delle

zone tedesche occupate dai britannici e americani (pag. 59-61). L’Attaché militare USA a Praga è

del parere che le contemporanee operazioni di reclutamento, condotte dalla banda Stern tra i ranghi

dell’esercito cecoslovacco, si svolgono con l’approvazione dei sovietici (pag. 59); ma non sempre

di semplice reclutamento si tratta: il nuovo direttore del Central Intelligence, Rear Admiral

Hillenkoetter, che tiene aggiornato Presidente Truman sui traffici illeciti, informa Truman

direttamente che il Dipartimento di Stato e l’Army Intelligence hanno notato da tempo che alcuni

americani sono stati coinvolti nelle operazioni e, pare, sotto costrizione (pag. 61).

4) 9-15 aprile 1948: un gruppo di 20 uomini del Haganah e di 80 uomini appartenenti alle bande

Irgun e Stern distrugge Deir Yassin, un villaggio arabo nei pressi di Gerusalemme (una strage di

250 uomini, donne e bambini). Gli arabi rispondono con un attacco ad un convoglio di dieci veicoli

diretto all’ospedale Hassadah. Come riporta il “New York Times”, i veicoli erano contrassegnati

con la croce rossa e la maggior parte delle vittime erano medici, infermieri e pazienti. La notizia che

il NYT non riporta è che tra i resti dei veicoli si trovano «una grande quantità» di armi (il

Dipartimento di Stato viene informato di questa circostanza, ma una settimana dopo l’accaduto)

(pag. 31). Né Gilbert né Morris menzionano la presenza di armi.

Sulla strage di arabi nel villaggio di Deir Yassin conviene soffermarci un momento: Sir Martin

Gilbert (Israel, a History, Black Swan, Londra, 1999, pag. 169-70) attribuisce il massacro alle

bande Irgun e Stern ma non al Haganah («The Jewish Agency and Haganah High Command both

expressed their deep disgust and regret»). Shaltiel, il comandante del Haganah a Gerusalemme

aggiunge che il villaggio era tra quelli ‘tranquilli’ («one of the quiet villages of the area» (pag. 30)

(cfr. Benny Morris, Vittime, Rizzoli, Milano, 2002, pag. 264). Ma è verosimile che gli appartenenti

alle bande Irgun e Stern si siano risentiti dal fatto di essere rappresentati come unici colpevoli:

rilasciano infatti una lettera in cui affermano di aver ricevuto il consenso per l’azione proprio da

Shaltiel (mentre la partecipazione dello stesso Haganah viene confermata da Benny Morris (ibid. ,

pag. 265)). Mentre Gilbert ci informa alcuni dei prigionieri furono trasportati a Gerusalemme e fatti

sfilare in una sorta di marcia trionfali, omette di menzionare che questi prigionieri furono poi,

secondo Morris, «riportati al punto di partenza e falciati». Morris, laconico, aggiunge che «nel

corso degli anni la propaganda araba sfruttò l’episodio per danneggiare la reputazione dell’intero

yishuv [la comunità ebraica in Palestina n.d.r.]» (Benny Morris, ibid. , pag. 266).

5) 12 aprile 1948: il Rear Admiral Hillenkoeter nota la presenza di aerei e equipaggi americani

impegnati in Cecoslovacchia nel traffico illecito di armi in Palestina (vedi sopra).

6) Maggio 1948: L’intelligence americana indaga sul furto di documenti segreti avvenuto

all’interno dell’Adjutant General’s Office. I sospetti ricadono sul luogotenente colonnello Elliot A.

Niles ed un altro dipendente, conosciuto come «ardente sionista» ed «alto funzionario di B’nai

B’rith». Avrebbero copiato 66 dossier personali relativi ad alcuni militari americani, spedendo i

dossier in Palestina allo scopo di reclutamento per il Haganah. Green precisa che la classifica di

queste informazioni è data in codice, A (fonte sicurissima), 2 (informazioni probabilmente vere).

Ma oltre al sospetto, non c’è menzione nel libro di Green di processi a carico delle due persone.

Sarà un caso ma Elliot A. Niles è fratello di David K. Niles, dello staff di Truman e, secondo Green,

«una tra le due o tre persone più influenti alla Casa Bianca in merito alle questioni mediorientali»

(pag. 54). Sarà, come stavamo dicendo, un puro caso. Sempre nel maggio del 1948, l’Army

Intelligence indaga sulle attività di reclutamento targate Haganah presso gli ospedali militari e sulle

modalità di inserimento di Sionisti nello staff del Walter Reed Hospital a Washington (pag. 54).

7) 22 maggio 1948: Il Console Generale americano, Thomas C. Wasson, viene assassinato. Anche

il console ed il viceconsole americani vengono bersagliati da tiratori. Da un’analisi più ravvicinata

risulta che il “New York Times” abbia riportato la storia in prima pagina insieme a dichiarazioni da

fonti anonime del Haganah secondo le quali si sarebbe trattato dell’opera di un tiratore scelto arabo;

storie analoghe vengono pubblicate nei seguenti giorni, sempre appoggiate dalle testimonianze di

fonti anonimi. Si scrive ad esempio che Wasson abbia dichiarato di essere stato colpito «dagli

arabi». Finalmente arriva una fonte non-anonima: per il Console Generale Reggente americano a

Gerusalemme, invece, Wasson non ha detto nulla prima di morire e che è improbabile che abbia

saputo qualche cosa sull’identità del suo assassino. Su questo caso il Dipartimento di Stato non apre

un indagine formale. Nel Jerusalem Consular File per l’anno 1948, non si trovano riferimenti

all’incidente; si trovano registrate soltanto qualche nota concernente la notifica ai familiari ed i

preparativi dei funerali (pag. 32ff.). Fu comunque Wasson, il mese precedente, a tener informato il

Dipartimento di Stato sulla vera natura del convoglio di dieci veicoli distrutti dai palestinesi il mese

precedente (vedi sopra): erano diretti all’ospedale Hassadah (l’ospedale in cui egli poi morirà).

Sulla questione della mancata indagine formale notiamo un antefatto decisamente pertinente. Di

fonte all’escalation terroristica che coinvolgeva sempre in misura maggiore la popolazione civile,

già all’inizio dell’anno il precedente Console Generale americano, Robert Macatee, ed altri

diplomatici avevano chiesto ed ottenuto un incontro con un rappresentante della Jewish Agency

(l’agenzia responsabile del recente attentato al Semiramis Hotel in cui morì il Console spagnolo).

L’incontro aveva come scopo la concessione di garanzie da parte ebraica circa la incolumità degli

addetti consolari. Golda Meir, in qualità di rappresentante della Jewish Agency, rispose che avrebbe

chiesto «alla comunità ebraica» di prestare attenzione e di evitare azioni che potessero costituire

una minaccia in tale senso (pag. 29). La decisione da parte americana di evitare un’indagine formale

risulta, dunque, ancora più paradossale non solo perché le garanzie ricevute dalla parte ebraica

erano del tutto insoddisfacenti, ma anche perché il console ed il viceconsole americani furono

bersagliati da un tiratore pochi minuti prima del ferimento dello stesso Console Generale, e, inoltre,

in quegli stessi giorni, erano già stati feriti dal fuoco nemico, sempre di un tiratore, altri due

americani: un tecnico radiofonico ed una guardia consolare (pag. 32).

La morte del successore di Macatee non trova menzione né nell’opera di Morris né in quella di

Gilbert.

8) Luglio 1948: l’Ambasciatore americano a Helsinki viene avvicinato da una persona (il nome non

viene dato) che dichiara di essere un rappresentante ufficiale del governo di Israele. Questa persona

esprime all’ambasciatore la sua disapprovazione (secondo Green ha «rimproverato»

l’ambasciatore) perché questi ha informato il governo finlandese che gli USA sostengono l’embargo

ONU relativo agli armamenti in Medio Oriente. Lo sconosciuto ha «rimproverato» l’ambasciatore,

la cui colpa era quella di aver, con tale informativa, eseguito gli ordini ricevuti da Washington. Il

rappresentante israeliano informa l’ambasciatore americano a Helsinki che la sua dichiarazione è

«in contrasto con l’odierna politica statunitense nei confronti di Israele» e che egli scriverà un

rapporto sull’accaduto all’indirizzo dell’ambasciata israeliana a Washington. L’ambasciatore

americano a Helsinki, a sua volta, descrive l’incontro in una lettera indirizzata al Segretario di Stato

(pag. 58).

9) Agosto 1948: Il governo USA intima agli americani coinvolti nel traffico di armi ceche

all’aeroporto di Praga di consegnare i propri passaporti all’ambasciata americana, emette una

protesta indirizzata al Ministero degli Esteri della Cecoslovacchia e infine comunica i dettagli

dell’operazione al Conte Bernadotte, il mediatore ONU in Palestina. Il traffico di armi (già oggetto

di interrogazioni e di convocazioni degli aviatori americani al Consolato americano di Praga

avvenute nei mesi precedenti) suscita una certa indignazione perché gli aerei, in alcuni casi, erano

state contrassegnate con false bandiere americane (il giro di affari, annuale, viene stimato

dall’Army Intelligence attorno ai 300 milioni di dollari) (pag. 60-62).

10) Settembre-Ottobre 1948: gli americani indagano sui traffici a Praga. L’Air Attaché americano

a Praga è dell’idea che l’intera operazione sia stata pianificata e preparata in Cecoslovacchia, e che

la squadra che ha eseguito l’ordine sia partita sempre da Praga. (pag. 40). L’indagine americana

viene svolta da un’unità chiamata Acquisition and Distribution Division. Il Dipartimento di Stato

non ha mai reso pubblico il documento conclusivo prodotto da questa agenzia.

Assassinio del Conte Bernadotte, il mediatore ONU (17 settembre). I membri della banda Stern

arrestati dal governo israeliano e considerati responsabili dell’assassinio fuggono dal carcere

israeliano e volano in Cecoslovacchia (pag. 38ff.) Il Consiglio di Sicurezza esprime la sua

«costernazione» di fronte al silenzio israeliano in merito all’assassinio del mediatore ONU e alle

relative indagini (pag. 40). Per un’analisi esaustiva (ma non ufficiale) delle dinamiche dell’accaduto

bisognerà attendere più di 30 anni e la pubblicazione del libro di Sune O. Persson, Mediation and

Assassination: Count Bernadotte’s Mission to Palestine 1948, (Londra, Ithaca Press, 1979). Tra i

mandanti, il futuro Primo Ministro di Israele, Yitzhak Ysemitsky (a.k.a. Yitzhak Shamir) che sfugge

alla retata anti-Stern organizzata da Yigal Yadin (cfr. 1949). Pur dedicando solamente due righe

all’assassinio di Bernadotte, sulla figura del mediatore nel suo complesso, il documentatissimo

Morris ci informa che «durante la guerra mondiale [il Conte] aveva aiutato molti ebrei

perseguitati» (Vittime, Rizzoli, Milano, 2002, pag. 298). La banda Stern aveva ucciso, pare, un

‘Schindler’.

11) Novembre 1948: il traffico illegale di armi provenienti dalla Cecoslovacchia (vedi 31 marzo

1948) continua senza interruzioni, ma ormai attira l’attenzione dell’ONU (con il trasferimento delle

attività ad un altro aeroporto, Malacky, a nord di Bratislava, le autorità ceche tentano di nascondere

il loro coinvolgimento in ulteriori spedizioni (pag. 62)).

Con questo nuovo sviluppo, tra gli avvenimenti più «bizzarri» della Guerra di Indipendenza,

secondo Green, è la reazione del governo provvisorio di Israele (GPI), il quale dichiara che Israele è

minacciata da concentrazioni di truppe britanniche pronte all’invasione. Interpellato dal proprio

governo, il consolato americano a Gerusalemme afferma che tali dichiarazioni sono «prive di ogni

fondamento» (pag. 42). Per giustificare il traffico illegale di armi provenienti da un paese straniero,

tra l’altro appartenente alla sfera sovietica, il GPI lancia accuse infondate a Gran Bretagna, cioè al

principale alleato della maggiore potenza amica d’Israele, gli Stati Uniti. Le implicazioni di tale

comportamento per l’attuazione del Trattato di Yalta in un’Europa ancora ‘fluida’ sono evidenti.

Ben presto, i sovietici stabilizzeranno la situazione in Cecoslovacchia con l’ordine di terminare i

traffici: terminare sì, ma gradualmente, come riporta la stessa Ambasciata americana a Praga (pag.

64). Dunque, le operazioni continueranno nei primi mesi del 1949. Esaurita la ‘Czech Connection’,

nei primi mesi del 1949, il GPI, con qualche difficoltà ma anche con l’aiuto di dati falsi relativi al

fabbisogno israeliano, cercherà ora di ottenere consistenti aiuti militari dagli Stati Uniti. La fonte

dei dati falsi, comunicati al governo americano, è infatti lo stesso Ambasciatore USA in Israele,

James McDonald, un notissimo sionista. I dati di McDonald vengono invece smentiti dallo stesso

Miltary Attaché, il colonello Andrus, dell’ambasciata di McDonald, interpellato dall’esercito

americano. Per McDonald, gli israeliani disponevano di una forza militare di 30.000 uomini,

appoggiati da una forza riserva di anziani sempre di 30.000 uomini («la cifra di 80.000 di cui si

parla è esagerata»). Per Andrus (cfr. 1949), le forze a disposizione degli israeliani arrivano a tra

95.000 e 100.000 uomini appoggiati da una forza riserva di 20-30.000 uomini. (pag. 72ff.).

All’epoca del suo insediamento, la nomina di McDonald era stata contestata aspramente (perché

troppo sionista) da alcune delle figure chiave della stessa amministrazione americana (pag. 23).

12) Novembre 1948: ‘pressing’ pre-elettorale negli Stati Uniti (vedi anche 28 Marzo 1949). La

piattaforma dei democratici (il partito vincente) reca la seguente dichiarazione: «Noi sosteniamo le

rivendicazioni dello Stato di Israele relative alle frontiere definite nella risoluzione delle Nazioni

Unite del 29 novembre <1947> e riteniamo che qualsiasi modifica alle stesse può essere

accettabile solamente con la piena approvazione dello Stato di Israele” (la dichiarazione ci sembra

decisamente familiare) A distanza di pochi giorni della vittoria elettorale di Truman e davanti

all’Assemblea Generale dell’ONU, durante la seduta del 20 novembre 1948, Philip Jessup,

rappresentante americano alle Nazioni Unite, legge testualmente, ad alta voce, la piattaforma del

partito democratico (piattaforma fedele in ogni sua parola a quella espressa il 12 luglio alla

Convention partitica di Philadelphia: cfr. Gli Stati Uniti, il sionismo e Israele (1938-1956), Antonio

Donno, Bonacci Editore, Roma, 1992, pag. 144). La piattaforma è ormai rivendicata come parte

fondante delle linee politiche internazionali statunitense nel Medio Oriente (pag. 44). Aggiungiamo

che, con le suddette elezioni, la lobby israeliana rischiava infatti ben poco: Antonio Donno ci

assicura che la piattaforma repubblicana era «dello stesso tenore» (ibid. pag. 144; cfr. pag. 140ff.).

La dichiarazione di Jessup fornisce infatti un assegno in bianco («piena approvazione») a Israele: il

programma elettorale del partito democratico politico, ora linea politica dello Stato, seppellisce nei

fatti sia il Piano ONU di Ripartizione, formulato nel 1947, sia il piano finale (il secondo) formulato

dal compianto Bernadotte. Il contenuto della dichiarazione è un’assoluta novità rispetto ad ogni

trattativa diplomatica («any scheme of mediation») svolta fino a questo momento in merito alla

questione palestinese (pag. 44). È verosimile che l’estensore della parte della piattaforma del partito

democratico relativa alle frontiere definite nella risoluzione delle Nazioni Unite del 29 novembre

1947 sia quello stesso «sionista americano [che] andò a trovare [Truman] sul treno elettorale e gli

consegnò una valigetta con due milioni di dollari» (vedi 28 Marzo 1949). In ogni caso, l’assassinio

del Conte, avvenuto appena 2 mesi prima della dichiarazione di Jessup, sembra aver portato buoni

frutti per la causa sionista, facendo sì che l’accantonamento del Piano Bernadotte in sede ONU

potesse avvenire in tempi davvero rapidissimi. La tempistica degli sviluppi richiede particolare

attenzione: il 1 settembre, il Segretario di Stato, George Marshall (l’architetto del famoso Marshall

Plan) trasmette a McDonald un resoconto dello stato dell’arte relativamente al secondo piano

Bernadotte, premurandosi, prima della spedizione, di ricevere per questo piano nelle sue linee

generali l’approvazione di Truman. Bernadotte muore il 17 settembre. L’approvazione americana

del secondo piano Bernadotte viene ufficializzato il 21 settembre; ed è a questo punto che «gli ebrei

americani ed i democratici insorsero» (Donno, ibid., pag. 145). Il Presidente fa marcia indietro e

smentisce pubblicamente il proprio sostegno al secondo piano Bernadotte (il 24 ottobre). Di nuovo,

troviamo dinamiche piuttosto familiari. È interessante notare che Jessup (il demolitore del piano in

sede ONU) figura, nel mese di agosto, insieme allo stesso Presidente, come sincero sostenitore del

secondo piano Bernadotte, e sostenitore dunque dello stesso Marshall (Donno, ibid., pag. 145).

13) Novembre 1948: a metà mese, l’Air Attaché a Praga informa il governo americano che diversi

campi di addestramento israeliani sono operativi in Cecoslovacchia, per soldati, infermieri, e tecnici

delle comunicazioni. I canali di reclutamento, per le reclute americane, sarebbero costituite da due

organizzazioni di ‘beneficenza’ ebraiche, la Hebrew Immigrants Aid Society e l’American Joint

Distribution Committee; si nota la partecipazione di ufficiali cechi e sovietici (addestratori e

fornitori anche di «political education») (pag. 63).

14) Dicembre 1948: trasferimento in Israele in nave (da Rimini) di 2.000 combattenti. Nei mesi

precedenti, i sovietici ed altri paesi del blocco sovietico avevano preso le distanze delle operazioni

svolte soprattutto in Cecoslovacchia. Il ministro degli esteri ceco ed una delegazione ceca viaggiano

a Mosca. Ricevano l’ordine di terminare le operazioni in Cecoslovacchia (ma gradualmente, come

abbiamo già ricordato) (pag. 63-64).

15) 17 dicembre 1948: la ‘Czech connection’ si ripristina in seguito all’arrivo di un aereo con,

nella stiva, 1,5 tonnellate di arance fresche (un «regalo dai figli dei sindacalisti israeliani ai loro

piccoli amici cecoslovacchi»). Insieme alle arance un altro regalo natalizio molto apprezzato dalla

security police ceca: un sistema radar (con ogni probabilità, americano) (pag. 64ff.).

16) 27-28 Dicembre 1948: l’Army Counterintelligence americana riporta il pericolo di una fuga di

informazioni classificate relative appunto ai sistemi radar; l’avvertimento viene fornito da un

informatore appartenente allo Stato Maggiore della Cecoslovacchia: riguarda un agente già da due

anni operativo negli Stati Uniti (pag. 65).

17) 28 Marzo 1949: Allargando le nostre fonti nella nostra considerazione delle conseguenze della

vittoria elettorale di Truman, non possiamo non ricordare a questo punto la testimonianza personale

di Gore Vidal: «Alla fine degli Anni Cinquanta – scrive Vidal – , quel grande pettegolo e storico

dilettante che era John F. Kennedy mi disse che nel 1948 Harry Truman, proprio quando si

presentò candidato alle elezioni presidenziali, era stato praticamente abbandonato da tutti. Fu

allora che un sionista americano andò a trovarlo sul treno elettorale e gli consegnò una valigetta

con due milioni di dollari in contanti. Ecco perché gli Stati Uniti riconobbero immediatamente lo

Stato di Israele» (prefazione di Storia ebraica e giudaismo, Il preso di tre millenni, Israel Shahak,

Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia, 200, pag. 5). Tra le figure chiave dell’amministrazione

americana che si erano opposti alla nomina di James McDonald come Ambasciatore USA in

Israele, troviamo James Forrestal, Segretario di Difesa dal 1947. Truman solleva Forrestal dal suo

incarico, appunto, il 28 Marzo 1949: «Il suo posto fu preso da Louis A. Johnson, più in sintonia con

Truman sul problema della Palestina» (A. Donno, Gli Stati Uniti, il sionismo e Israele (1938-

1956), Bonacci Editore, Roma, 1992, pag. 74). Johnson era infatti sostenitore della tesi,

insostenibile (come abbiamo visto con le operazioni svolte in Cecoslovacchia), di un Israele

baluardo contro l’influenza sovietica in Medio Oriente (ibid. pag. 150).

18) 1949: il governo israeliano richiede agli Stati Uniti assistenza militare consistente nella

fornitura di servizi di addestramento militare per operativi israeliani sul suolo americano. Il rifiuto

americano suscita la pubblicazione da parte del “New York Times” di un articolo a firma del

corrispondente, Kenneth Bilby, che critica aspramente il governo per questa sua decisione. Il

Colonnello Andrus, US Army Attaché a Tel Aviv (vedi sopra), rimane stupefatto quando scopre che

l’articolo del NYT è stato preparato con la collaborazione di Yigal Yadin (vedi sopra), cioè di un

esponente delle forze armate israeliane (il capo delle operazioni del Haganah). Sia sul fronte dei

media e della propaganda che su quello dell’intelligence, pare comunque che poco venga lasciato al

caso. È un punto su cui Green insiste: Andrus, ad esempio, che attendeva da tempo una risposta

dall’amministrazione americana relativa a un periodo di vacanza che gli spettava, impara

dall’intelligence militare israeliana la data della sua partenza con due settimane di anticipo rispetto

alla comunicazione ufficiale della licenza da parte dell’amministrazione americana!) (pag. 19).

Nei primi mesi del 1949, l’Ambasciatore USA in Israele, James McDonald, presenta un rapporto al

Segretario di Stato in cui sistematicamente viene sottostimata la consistenza delle risorse militari a

disposizione degli israeliani (vedi sopra). I dati presentati dall’ambasciatore confliggono nettamente

non solamente con quelli del proprio staff ma anche con quelli forniti dalla CIA (per avere queste

informazioni, Green, nel 1982, ha dovuto intraprendere una causa – che ha vinto con l’aiuto di un

équipe di legali dell’American Civil Liberties Union – per bloccare il tentativo illegale di

riclassificare i documenti e di sottrarli alla sua ispezione) (pag. 74-75, cfr. pag. 72ff.).

19) 1952: Israele è il destinatario del 93% degli aiuti americani al Medio Oriente.

20) 1953: Israele è il destinatario del 87% degli aiuti americani al Medio Oriente (pag. 81).

A poca distanza da B’not Yaakov – una località che si trova a una decina di chilometri a nord del

lago Tiberiade –, per sottrarre una parte delle acque del fiume Giordano per il trasporto verso il

deserto del Negev, Israele viola unilateralmente i territori demilitarizzati confinanti con la Siria. La

U.S. Foreign Operations Administration, che collabora con Israele su vari progetti idrici nazionali,

non viene informata dell’iniziativa che, infatti, non risulta menzionata nemmeno nel bilancio

pubblico dello Stato (Israeli national budget) (pag. 78-79) (cfr. Maggio-Giugno 1965).

Nel 1953, gli israeliani non prestano attenzione alle proteste dell’ONU ma anzi intensificano i

lavori sull’acquedotto (pag. 77ff).

È la stagione delle azioni-rappresaglie palestinesi in territorio israeliano, e delle azioni-rappresaglie

a volte massicce, israeliane. Dopo un’incursione israeliana in una zona demilitarizzata del territorio

egiziano (22 vittime), gli americani, nel settembre 1953, sospendono il pagamento di 26 milioni di

dollari a Israele e terminano le agevolazioni fiscali relative alle donazioni di privati a favore

dell’United Jewish Appeal e di altri fondi gestiti dai sionisti (pag. 80). La maggior parte del denaro

in arrivo dagli Stati Uniti è usata per pagare i debiti incorsi negli anni precedenti. Per i consiglieri

del Presidente Eisenhower, la scarsità di risorse economiche locali e l’immigrazione intensa di ebrei

tra il 1948 ed il 1953 può sospingere Israele in nuove avventure espansionistiche. Ben Gurion,

infatti, parla pubblicamente di espansione verso la Siria, nelle valli del Tigri e dell’Eufrate (pag.

81). La popolazione ebraica si raddoppia tra il 1949 (680.000) e il 1952 (1.404.400) (Occupation,

Israel over Palestine, a cura di Naseer Aruri. Zed Books, 1984, pag. 50).

21) Marzo 1953: di fronte alla crisi economica israeliana e la riluttanza da parte americana a

continuare ad erogare contributi a fondo perduto, gli israeliani, che si erano rivolti alla Repubblica

Federale Tedesca per il pagamenti di risarcimenti di guerra, ricevono dalla Germania la promessa di

840 milioni di dollari, con pagamenti a cominciare dal 1954. Non è detto che l’incrementato potere

contrattuale, sul fronte internazionale, il frutto economico del massacro nazista, non abbia

alimentato l’audacia israeliana (concretizzatasi il seguente autunno nel massacro, questa volta

organizzato da coloro che rappresenterebbero le vittime di allora, a Kibya) (pagg. 82-93).

22) 14-15 Ottobre 1953: la disputa B’not Yaakov (vedi sopra) e la questione della sospensione di

pagamenti americani ad Israele non giungono all’attenzione dell’opinione pubblica fino al momento

del massacro di Kibya, o Qibya.(i responsabili della strage sono Moshe Dayan ed Ariel Sharon)

(pagg. 83ff). Ben Gurion, il primo ministro, si dissocia dall’azione (più di cinquanta civili

massacrati) (pag. 86). La colpa viene data ai locali cittadini israeliani, i quali si trovano dunque

maggiormente esposti al rischio, grazie ai comportamenti delle forze armate (sia pure frazioni

dissidenti delle stesse: cfr. pag. 85). Gli americani approfittano della situazione per annunciare

pubblicamente che avevano da più settimane (pag. 90) già sospeso ogni aiuto economico ad Israele

(segretamente e a causa della violazione israeliana di accordi Israele-ONU sull’acqua) (pag. 83, 87,

90).

23) 19 Ottobre 1953: mentre Eisenhower e Dulles condannano Israele per il massacro di Kibya il

Dipartimento di Stato fa un bel regalo ad Israele, presentando un piano relativo alla ripartizione

delle acque del Giordano che privilegia gli interessi di Israele anche perché prevede il trasferimento

di 200.000 rifugiati in Giordania (pag. 89). Mentre il Dipartimento di Stato favorisce Israele in

questo modo, vari incontri vengono organizzati dalla ingrata lobby sionista statunitense contro il

Dipartimento di Stato, «chiaramente prevenuto» nei confronti di Israele (pag. 89).

24) 29 ottobre 1953: gli israeliani dichiarano la rinuncia ai lavori sull’acquedotto a B’not Yaakov

(ma non al progetto nel suo complesso: vedi Maggio-Giugno 1965). Nel giro di poche ore

dall’annuncio (che viene dato al mondo non da Israele ma dal Presidente Eisenhower), Dulles riapre

i rubinetti: 26 milioni di dollari già disponibile per l’uso in Israele. Erano passate, ricordiamolo,

appena due settimane dal massacro di Kibya. Tra il 1953 ed il 1984, per Green, dopo la crisi di

B’not Yaakov-Kibya e quella di Suez, i Presidenti degli Stati Uniti non si ribelleranno più ai diktat

israeliani: si limiteranno – all’implementazione di politiche regionali decise esclusivamente «da

Israele e dagli amici di Israele» (pag. 92). Al lettore invece il giudizio sul comportamento dei

governi americani nei confronti di Israele tra il 1984 ed oggi.

25) 1955: Israele chiede armamenti dagli USA. Il Presidente, su consiglio di Dulles, rifiuta. Alcuni

aiuti militari consistenti in «materiali di minore importanza» vengono erogati per mezzo di

autorizzazioni segrete rilasciate a fornitori privati (pag. 130).

26) 1956: Israele adotta una politica di acquisti di armamenti dalla Francia (vedi 1957) e dalla Gran

Bretagna. Il denaro è americano e europeo (in larga parte di privati, negli USA le sovvenzioni

pubbliche alle donazioni private prendono la forma dell’esenzione fiscale) (pag. 125). Anche

l’Egitto si riarma, e la tendenza rilevata dallo Stato Maggiore americano, Joint Chiefs of Staff

(JCS), è che, nel 1957, le forze arabe saranno in una posizione di superiorità nella zona (pag. 126).

L’Egitto accetta le condizioni imposte dall’Acting Secretary of State (Segretario di Stato Reggente),

Hoover, per il credito della Banca Mondiale in funzione della costruzione della diga di Aswan. Nel

farlo, però, l’Egitto perde la piena autonomia nel campo della politica estera (finanza internazionale,

rapporti con l’URSS, pace con Israele) (pag. 131).

27) 1956: vengono caldeggiati dal comitato dello Stato Maggiore americano per la pianificazione in

Medio Oriente (JCS Joint Middle East Planning Committee) programmi di collaborazione militare e

di scambio internazionale di «informazioni atomiche». I maggiori paesi coinvolti sono l’Iraq e il

Pakistan (pag. 156). Pur facendo parte della NATO, la Francia, stipula accordi segreti con Israele

per lo sviluppo di armi atomiche israeliane (pag. 157).

28) Luglio-Settembre 1956: dopo la nazionalizzazione del canale si Suez, unilaterale ma

pienamente legale (terminano nel 1963 i relativi pagamenti compensativi, nonostante l’aggressione

militare subita: le somme vengono calcolate in base alle quotazioni della Borsa di Parigi alla

chiusura del giorno precedente l’annuncio di nazionalizzazione del 26 luglio 1956, pag. 133),

l’America fa retromarcia sul progetto finanziario Banca Mondiale-Egitto per la diga di Aswan e sui

piani di assistenza alimentare all’Egitto (pag. 141).

29) Ottobre 1956: Israele, Gran Bretagna e Francia attaccano l’Egitto. Il Jerusalem Post pubblica

un servizio giornalistico (24 novembre) sui negoziati preparatori e segreti con Ben Gurion per

un’alleanza anti-egiziana, tenutisi a Sévres, ma sia la Francia che l’Israele, interpellati dagli

americani, negano il fatto, anche a guerra terminata (pag. 137). L’incontro avviene il 22-24 ottobre

(Benny Morris, Vittime, Rizzoli, Milano, 2002, pag. 366ff.). Gli storici, pare, concordano che a

iniziare le ostilità è Israele: per Morris, l’azione consiste nell’abbattimento di un aereo da trasporto

con a bordo 18 ufficiali della Stato Maggiore egiziano (ibid. pag. 368); per Martin Gilbert, invece,

la prima azione (sabotaggio linee di comunicazione egiziane) avviene il giorno dopo (Israel, a

History, Black Swan, Londra, 1999, pag. 318-319). Green sottolinea l’impreparazione americana, e

anche come l’alleanza anglo-franco-israeliana non abbia tenuto conto della questione

dell’incolumità dei civili americani in Egitto (circa 1.500 persone) (pag. 143).

30) 1957: I francesi e gli israeliani collaborano segretamente per la costruzione del reattore di

Dimona (per la produzione di armi nucleari); gli americani, ufficialmente, non sono al corrente

dell’esistenza del progetto (dal 1960 viene riconosciuto dagli americani come un progetto a scopo

pacifico, mentre la CIA determina che la capacità dell’impianto con un potenziale produttivo di 1,2

bombe ogni anno (pag. 148ff.); tuttavia, gli Stati Uniti finanziano in gran parte i laboratori

impegnati nel progetto, siti nel Weizmann Institute a Tel Aviv, e forniscono assistenza tecnica

all’istituto per il tramite del proprio ministero della salute, la marina e l’aeronautica (il progetto si

chiama Atoms for Peace) (pag. 151). Alla domanda rivolta dagli americani sulla natura delle

costruzioni a Dimona, Ben Gurion risponde affermando che si trattava di un impianto tessile

industriale civile. Poi cambia parere, e informa gli americani che si sta costruendo (nel deserto di

Negev) una stazione idrovora (pag. 151). L’impianto diventerà, poi, un «istituto di ricerca dedicato

ai problemi che presentano le zone aride nonché alla flora e fauna desertiche» – parola sempre di

Ben Gurion (pag. 159); lo stesso popolo israeliano sarà informato dell’esistenza dell’impianto

solamente grazie all’annuncio pubblico fatto in tal senso da parte americana (nel dicembre del

1960) (pag. 154). La prova fotografica dell’esistenza dell’impianto nucleare viene procurata per

mezzo di un volo U-2 americano nel mese di dicembre (Claire Hoy, Victor Ostrovsky, Attraverso

l’inganno, Interno Giallo Editori s.r.l., Milano, 1991 pag. 130). La collaborazione iniziata con i

francesi nel 1957 comprende la fornitura di aerogetti Mirage quali vettori compatibili con questi

armamenti. Nel 1960, includerà anche prove nucleari congiunte nel deserto algerino (pag. 152).

31) 1960: Tra i 1960 ed il 1969, l’azienda statunitense NUMEC (la Nuclear Materials and

Equipment Corporation, del Dr. Zalman Shapiro) non chiude i battenti, neanche quando gli ispettori

denunciano la sparizione di centinaia di chili di uranio arricchito, materiale adatto alla produzione

di armi nucleari; le sparizioni avvengono nell’arco di 6 anni (pag. 159; 174) (vedi 1969).

32) Marzo 1960: Ben Gurion visita gli Stati Uniti e cerca di convincere Eisenhower dell’utilità di

un accordo secondo la quale gli USA diventerebbero i primi fornitori di armamenti a Israele.

Eisenhower, citando le esperienze del 1956 (Suez) e del 1958 (Libano), è del parere che il piano

avrebbe compromesso il ruolo statunitense di mediatore internazionale nella zona (pag. 152).

33) Maggio 1960: il rifiuto posto da Eisenhower nel mese di marzo, invece, copre accordi che

vanno in altra direzione: due mesi dopo il ‘no’ americano, gli Stati Uniti offrono a Israele sistemi

radar modernissimi (siamo in piena guerra fredda: l’offerta avviene a distanza di 12 anni dalla

stagione dei ‘regali’ (radar) fatti da Israele alla Cecoslovacchia (URSS), vedi pag. 64ff.). Il costo

dell’affare s’aggira ai sei o sette volte i costi e i volumi di simili commerci mai intrapresi dagli Stati

Uniti in passato con Israele (pag. 152).

La CIA informa il Presidente che le costruzioni di Dimona sono dirette alla produzione di armi

nucleari e che ora esiste una tecnologia nuova, tedesca, la quale è capace di trasformare molti paesi

piccoli, come l’Israele, in potenze nucleari. A causa delle pressioni americane, il progetto francoisraeliano

di costruzione di impianti nucleari (ora si parla di due impianti) diventa di pubblico

dominio (vedi 1957). Il problema arriva sul tavolo del neo-Presidente americano, John Kennedy

(pagg. 153ff).

34) 1961: Di fronte ai grossi problemi relativi al bilancio di pagamenti e agli acquisti di aerei

Mirage e Mystère, Israele insiste con la Francia affinché vengano prodotti in Israele alcuni

componenti dei caccia-bombardiere Mirage destinati ad uso israeliano. Nello stesso tempo, e

sempre nello stesso ambito (armamenti), Israele coltiva altre relazioni anche con la Germania (pag.

160).

L’Egitto non sta a guardare: infatti, già dal 1954, l’Egitto ha contatti con scienziati tedeschi per lo

sviluppo di un «razzo arabo»; gli israeliani erano già ben aggiornati sugli sviluppi egiziani grazie al

lavoro dell’infiltrato, Auraham Seidenwerg, già coinvolto nell’affare Lavon, del 1954 (consistente

in azioni svolte per conto di Israele ai danni di interessi inglesi, americani e egiziani, nel tentativo di

compromettere i rapporti tra Egitto e gli anglo-americani (pag. 107)).

Sulla collaborazione tra tedeschi ed egiziani, Israele lancia «an international media campaign» di

condanna ma dietro il rumore della protesta si intravede la seguente situazione – descritta nel 1974

dal giornalista israeliano, Simha Flapham (vedi anche Maggio-Giugno 1965) –, assai paradossale:

La questione degli scienziati tedeschi era utile in quanto forniva ottimi motivi per l’accelerazione

del programma nucleare come unico deterrente capace di fermare i piani nasseriani di

annichilimento di Israele. Dall’altra parte, però, la campagna [mediatica] aveva raggiunto

proporzioni tali da compromettere il forte sostegno tedesco a beneficio di Israele profuso nei campi

dell’economia, della ricerca scientifica e degli armamenti [le riparazioni di guerra] che, per Ben

Gurion, era ben più importante di ogni altra considerazione relativa alle azioni degli scienziati<