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Etnocrazia e democrazia

di Miguel Martinez - 03/05/2007

 
Il mondo è pieno di paesi dalla politica odiosa, a partire dall'Uganda e a scendere, giù giù, fino all'Italia.

Israele, insomma, è in ottima - o pessima - compagnia.

E ce ne potremmo anche disinteressare: già mi è faticoso consegnare in tempo le traduzioni che faccio per campare, figuriamoci se mi posso occupare di tutti gli orrori che succedono in giro per il mondo.

E invece siamo costretti tutti a occuparcene.

Perché il sostegno totale e illimitato a Israele fa parte dei proclami di tutti i candidati alle prossime elezioni presidenziali degli Stati Uniti, cioè del paese che è in grado di sterminare chiunque sul pianeta in pochi minuti.

Perché Israele possiede il monopolio dell'arma atomica in Medio Oriente.

Perché il presidente della nostra repubblica sente il bisogno di dire che non si deve criticare l'ideologia fondante di Israele.

Perché l'Italia partecipa all'embargo per affamare gente che vive in un ghetto assediato da Israele.

Quando si discute di un sistema politico, è facile perdersi nelle false piste e nelle perdite di tempo.

Potremmo, ad esempio, parlare del governo del defunto dittatore spagnolo Francisco Franco, dicendo che non compiva sacrifici umani rituali, né faceva costruire gigantesche piramidi a schiavi in catene.

Poi ci sono le pure perdite di tempo: siamo proprio sicuri che il sollevamento di Franco fosse del tutto illegale? Siamo certi che in una determinata strage, i franchisti non fossero stati provocati, o che abbiano davvero ucciso dei bambini, e non solo donne? E che ne dite dei preti uccisi dagli anarchici? E degli anarchici uccisi dai comunisti? E nella Spagna di Franco si stava davvero peggio che nella Cambogia di Pol Pot?

Se seguiamo le false piste, Franco probabilmente ne emergerà come un uomo simpatico.

Se inseguiamo le perdite di tempo, finiremo in un ginepraio, senza capirci più nulla.

Il punto è che quella di Franco è stata una dittatura feroce, che ha messo a morte migliaia di propri cittadini e che ha difeso gli interessi dei latifondisti e degli industriali spagnoli contro le loro vittime.

Le false piste, con Israele, riguardano la questione della "teocrazia" e del "governo dittatoriale".

Il sionismo è un tipico nazionalismo europeo (uno di quelli che Zeev Sternhell chiama "socialismi nazionali") che è stato lanciato da atei dichiarati, contro il parere della maggior parte delle autorità religiose ebraiche del mondo, e quindi va da sé che non è una teocrazia. Il sionismo è, casomai, un surrogato di religione, ma quello è un altro discorso.

Secondo, il sionismo è un progetto volontario, a cui si aderisce per scelta, e che richiede il meglio da chiunque vi partecipi.

Quindi è ovvio che quello israeliano non può essere un regime dittatoriale: infatti, io non critico i governi d'Israele, che semplicemente applicano il sionismo, ma critico il sionismo stesso. E non dico che Israele è uno "stato fascista", perché non c'è nessun Mussolini da quelle parti.

Israele, invece, è un'etnocrazia.

Cioè un tipo di stato in cui chi ha la fortuna di nascere dell'etnia giusta gode di tutti i diritti possibili immaginabili, di una stampa libera, di libere elezioni, di processi equi e di tutto il resto, proprio come i bianchi del Sudafrica godevano di una situazione invidiabile di diritti civili.

Meglio per loro, sono contento che ne godano.

Ma Israele non è una democrazia, cioè non è uno stato che si basi sull'uguaglianza degli esseri umani che vi vivono.

Basta definire "stato" in una maniera elementare e non retorica per capire perché: "stato", in ultima istanza, è quel potere, comunque definito sulla carta, che può usare la violenza organizzata e sistematica su di me. Non la violenza occasionale, il gesto isolato, ma il controllo ultimo sulle mie risorse economiche, sulla mia libertà di movimento, sulla mia vita e la mia morte.

In questo senso, esiste da quarant'anni uno stato unico tra il Giordano e il mare.

In questo stato unico 5.000.0000 di cittadini israeliani,(*) appartenenti all'etnia dominante, godono di pieni diritti civili. Degli stessi diritti godono, potenzialmente, milioni di persone che saggiamente preferiscono, però, vivere altrove.

1.300.000 nativi palestinesi con i documenti giusti godono di un certo numero di diritti, a condizione di accettare la supremazia dichiarata e ufficiale dell'etnia dominante. I diritti di queste persone sono in realtà fortemente ristretti da un'infinità di regole e pratiche, che le rinchiudono quasi tutte in appositi "villaggi arabi".[1]

4.000.000 di nativi palestinesi privi dei documenti giusti, non godono nemmeno del diritto di essere messi a morte solo dopo un regolare processo.

Per continuare a privare i quattro milioni del diritto di voto (nonché di vita), si chiacchiera da anni di dare, entro l'anno 3000, una certa autonomia su circa il 10% di un territorio già piccolo, da suddividere in minuscole isole - Gaza, Ramallah, Hebron - prive di risorse e separate l'una dall'altra da muri: la famosa tesi dei Quattro Stati per Due Popoli.

Se si capisce questo, si capisce anche che la questione non è di tifare per gli israeliani o per i palestinesi.

La nascita, infatti, non è una colpa (ma può essere una fortuna o una jella). E quindi non ho alcuna simpatia preconcetta per una delle due etnie: la mia simpatia è per la democrazia, semplicemente.

Qualcuno mi dirà che ciò che succede in Terra di Canaan - per usare l'eccellente termine biblico per quel luogo - non è peggio di ciò che succede in Liberia. Anzi, per certi versi, sono sicuro che in Liberia succeda di peggio.

Ma il punto è sempre quello: nessuno mi chiede di sostenere senza tentennamenti il diritto dell'etnia dominante della Liberia di fare quello che vuole delle etnie dominate.

Per questo, il mio problema israelopalestinese non è con Olmert o Sharon, ma con Prodi e Berlusconi.

Prodi e Berlusconi non dicono, bisogna sopportare l'etnocrazia israeliana per motivi di Realpolitik, come si accetta la dittatura di Hosni Mubarak in Egitto.

Se ne potrebbe discutere, ma ciò almeno non richiederebbe uno stravolgimento completo dei principi fondanti della democrazia.

No. Prodi e Berlusconi dicono che bisogna sostenere Israele proprio in quanto etnocrazia sionista.

Ma se io dico che le etnocrazie sono una cosa giusta, accetto di rifondare il mondo - come effettivamente sta avvenendo - sul principio aperto e dichiarato che solo i dominanti hanno diritti.

Miguel Martinez
Fonte: www.verbavalent.com
Link: http://www.verbavalent.com/index.php?q=node/119
2.05.07


(*) http://www.israelipalestinianprocon.org/populationpalestine.html

[1] Sulla questione, tanto cruciale quanto trascurata, degli "arabi israeliani", suggerisco vivamente di leggere il libro di Susan Nathan, Shalom fratello arabo, Sperling & Kupfer, 2005.