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Nigeria: petrolio, sangue e farsa elettorale

di Elena Ferrara - 03/05/2007

Due eventi, in queste ore, riportano la Nigeria nell’arena mondiale. Da un lato c’è la vicenda del rapimento da parte del Mend (Movimento per l’indipendenza del Delta del Niger il cui obiettivo è la separazione dalla Nigeria e una redistribuzione dei redditi petroliferi) dei sei tecnici della Chevron (quattro italiani, un americano e un croato). Dall’altro ci sono le contestate elezioni politiche sulle quali il paese si divide. E così il labirinto nigeriano (133 milioni di abitanti e più di 250 etnie) mostra, sempre più, i tanti e pericolosi aspetti di una destabilizzazione generale. Anche le scommesse sul futuro vanno in tilt con le ultime elezioni presidenziali e parlamentari che sono duramente contestate perché caratterizzate da brogli e irregolarità. Il cammino che si profila è quello di una destabilizzazione generale carica di problemi e di grandi incertezze mentre nel conto ci sono già oltre 200 vittime (polizia e civili) restate sul campo della protesta. Di conseguenza la situazione è sempre più a rischio.

Tante le colpe del vertice e tanti i risvolti politici e religiosi. Si sviluppano i contrasti di gestione tra politici e i militari. Escono sempre più allo scoperto le poste in gioco concentrate sul fronte dell’oro nero. Ma c’è, in primo luogo, il presidente Olusegun Obasanjo che (pur se presentato alla comunità internazionale come mediatore di pace) non riesce a controllare le dinamiche interne relative al rapporto tra politica ed economia. Punta, comunque, dopo aver cercato in tutti i modi di rimanere al potere, a controllare il paese da dietro le quinte. Intanto è sempre più coinvolto nella difficile e complessa ricerca di un equilibrio fra i musulmani e i cristiani, insistendo col dialogo e coi negoziati là dove molte fazioni vorrebbero azioni militari e violenza. Il panorama si fa ancor più complesso ed esplosivo se si tiene conto dell’escalation dei sequestri di persona e dell’aumento degli scontri nell’area del Delta e delle rivolte etniche e religiose al Nord. Per non parlare di quella mafia nigeriana che riveste un ruolo fondamentale su scala internazionale nel traffico di stupefacenti. La Nigeria è, infatti, al terzo posto nel mondo per il numero di suoi cittadini arrestati all’estero. E ancora: secondo l’Osservatorio geopolitico delle droghe, con sede a Parigi, il 25% dell’eroina che arriva negli Stati Uniti e il 50% di quella destinata alle aree di Washington e Baltimora transita dalla Nigeria.

E’ in questo scenario che il Paese (è il maggiore produttore di petrolio dell’Africa e l’ottavo esportatore mondiale) entra nel clima elettorale portandosi dietro le contraddizioni socio-economiche: da un lato il mare di petrolio e dall’altro quelle condizioni di estrema ignoranza segnate dalla mancanza di speranza per il futuro. In pratica un magma indistinto e confuso che alimenta una miscela altamente esplosiva che può essere accesa in qualsiasi istante. A questo, ovviamente, va aggiunta quella “pratica” di manipolazione delle diversità religiose o etniche. La gestione “politica” ed istituzionale del paese rischia ora di divenire una mina vagante. Con il presidente già in posizione di “ex” e con altri candidati che si contendono il massimo seggio.

Dalle urne sono, infatti, usciti dati che decretano la vittoria del candidato del PDP Umaru Musa Yar'Adua (56 anni, musulmano, ex docente universitario) con ben il 70%; seguono l’ex dittatore Muhammadu Buhari al 18% e il vice presidente Atiku Abubakar (accusato di corruzione) al 7%. In termini di voti si parla di 24.784.227 per Yar'Adua, Buhari 6.607.419 e Abubakar 2.567.798. Ma sul risultato concreto pesa il fatto che l'affluenza alle urne è stata solo del 58%. Molto bassa se comparata al 64.94% delle precedenti consultazioni nel 2003. Ora in questa consultazione i candidati alla presidenza erano 24 e oltre al presidente si eleggevano anche i 360 deputati della House of Representative e i 109 Senatori.
Il dato “finale”, comunque, è quello della vittoria (contestatissima) di Umaru Musa Yar' Adua (candidato del Partito democratico del popolo guidato da Obasanjo) con la maggioranza delle preferenze. Alle sue spalle – questa la realtà - c’è un malcontento generale che si ritrova soprattutto tra quei gruppi che sostengono i diritti umani e che lo hanno aiutato ad essere eletto sia nel 1999 che nel 2003.

Ed è questa fascia della società che oggi dà vita ad una mobilitazione armata. Rivendica, infatti, la spartizione di quel bottino finanziario fatto dal presidente e il conseguente controllo delle risorse petrolifere. E così l’occasione della verifica elettorale diviene motivo di scontro e di resa dei conti. Gli oppositori portano dati concreti relativi al grezzo rubato e portato via dal paese su navi di contrabbandieri: si tratta di un giro d'affari di oltre un miliardo di dollari l’anno. Tutto avviene mentre i politici fedeli alla Presidenza si trovano a capo di questi racket. E sono – anche questa è realtà nigeriana - le stesse persone che ingaggiano gruppi di guerriglieri per sostenere sia i loro interessi elettorali, sia quelli economici. C’è poi l’aspetto del fondamentalismo del nord islamico che va coniugato col malcontento del “ricco” sud. Tutto rappresenta una miscela esplosiva con il Delta che produce il 40% dei 2 milioni di barili giornalieri e riceve solo il 13 % delle entrate. In merito ci sono dati agghiaccianti che annullano, di fatto, la ricchezza mostrata in superficie. Secondo la Banca Mondiale, la corruzione fa sì che l'80% delle entrate del petrolio e del gas vadano all’1% della popolazione, mentre il 70% dei 133 milioni di nigeriani sopravvive con meno di un dollaro al giorno.

E’ in questo contesto socio-economico che ad Abuja, la capitale federale, le elezioni finiscono in una clamorosa contestazione: c’è l’incognita dei ricorsi. Le elezioni – si sostiene - andrebbero rifatte a causa di pesanti irregolarità. Lo affermano osservatori internazionali come Innocent Chukwuma - presidente del Gruppo di monitoraggio sulla transizione – il quale rileva che non si può usare il risultato di metà paese per annunciare il nuovo presidente. Nigeria a rischio, quindi. E non dimentichiamo, tra l’altro, il ruolo che questo paese ha a livello mondiale per la produzione di petrolio. Il rischio che c’è in questo momento è che, al di là delle proteste internazionali sulla validità o meno del voto, i grandi stati occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti e da alcune nazioni dell’Unione Europea, potrebbero mettere in sordina le polemiche e le accuse. Accetterebbero la consultazione così come si è svolta alla ricerca di un interlocutore politico stabile con cui poter continuare a discutere e a fare affari sul petrolio. I soldi, come si dice, non hanno colore. In Nigeria, comunque, hanno quello nero del petrolio.