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Turchia: dietro la retorica dello “Stato laico” i golpisti

di Aldo Braccio - 03/05/2007



In un recente studio (1), Soner Cagaptay, direttore del “Programma di ricerca sulla Turchia” del Washington Institute, ha posto l’accento sulle conseguenze di un rafforzamento dell’AKP – il partito del premier Erdoğan – sulle relazioni con l’Occidente e con gli Stati Uniti in particolare.
La crescente centralità dell’Islam a livello interno, secondo l’analista americano, si tradurrà inevitabilmente in un riavvicinamento con i paesi musulmani in politica estera, ed è perciò un’eventualità da scongiurare.

Gli fa eco, dalla Turchia, l’ex governatore della Banca Centale, Serdengeçti, a nome del mondo finanziario e in sintonia con i timori della TUSIAD, la Confindustria turca : “I mercati hanno paura di Erdoğan Presidente della Repubblica” (o di Gul, il Ministro degli Esteri considerato sbrigativamente il suo alter ego).

Il governo di Ankara, con la sua politica in qualche modo ispirata all’autonomia e all’indipendenza nei confronti degli Stati Uniti, è in questo momento sotto assedio.

La questione dell’elezione del Presidente della Repubblica è lo snodo cruciale della “messa sotto tutela” del sistema politico turco, introdotto dall’orrenda mattanza di Malatya che ha rilanciato l’allarme contro il “fondamentalismo islamico” e animato dall’incredibile polemica sul regime “a partito unico” che il primo ministro vorrebbe imporre (polemica incentrata su una sorta di difesa della democrazia …dal pericolo degli elettori, come già avvenne in Algeria all’epoca della vittoria del FIS).

Si dimentica al proposito che – indipendentemente dalla giustezza della pronuncia della Corte Costituzionale, che ha annullato il primo turno delle elezioni presidenziali all’Assemblea nazionale per un vizio di procedura – la candidatura a Presidente della Repubblica del Ministro Gul è normale e legittima, mentre non lo è la pretesa di impedire tale candidatura attraverso pronunciamenti militari o altri condizionamenti.

La carica presidenziale, d’altra parte, è giustamente contesa dai politici perchè assume in Turchia un ruolo di grande importanza, in forza del quale ad esempio il Presidente uscente Sezer negli ultimi cinque anni ha posto il veto su ben 150 leggi proposte dal governo, nominando altresì i massimi esponenti del sistema giudiziario e di quello accademico.

Lo stesso Sezer ha bocciato la candidatura – proposta dal governo – di Adnan Büyükdeniz come prossimo governatore della Banca Centrale turca, “in quanto quest’ultimo sarebbe uno specialista in attività bancarie islamiche, attività che rispettando i dettami della sharia non prevedono la corresponsione di interessi” (2).

In questo scenario – contraddistinto da una ripresa strumentale del nazionalismo di Stato kemalista, declinato sotto specie di nostalgismo resistenziale - è da considerare il ruolo delle Forze Armate : la situazione è probabilmente più complessa di quanto venga normalmente presentata, e verosimilmente non tutto l’esercito è orientato in senso filoccidentale e – una volta di più nella storia turca – golpista; intanto, però, chi interviene pubblicamente sulla scena per impedire la candidatura Gul è il Capo di Stato Maggiore Yasar Büyükanıt, lo stesso alto ufficiale incriminato da un magistrato di Van per l’organizzazione nel novembre 2005 di un attentato attribuito successivamente ai ribelli curdi.
In quell’occasione lo Stato Maggiore negò la sua autorizzazione a procedere : il generale, da numero due delle Forze Armate, ne è diventato poi il numero uno, e oggi si trova in prima fila con il Presidente Sezer a denunciare il pericolo della “dittatura della maggioranza …”

(1) disponibile su www.washingtoninstitute.org/templateCO4.php?CID=268
(2) così un servizio di Lucio Leante per l’ANSA ripreso da www.e-turchia.com dell’1 – 4 - 2006