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Gramsci a scuola dai gesuiti

di Vittorio Possenti - 04/05/2007


 
 
 
Per lui il cristianesimo era una forma superata dallo storicismo moderno e da Croce. Eppure, nonostante secolarizzazione e consumismo, non c’è mai stata la vittoria del suo immanentismo

Che cosa resta di Gramsci a settant'anni dalla morte? Un bilancio di una personalità poliedrica - capo politico, pensatore rivoluzionario, "moralista" - non può essere tracciato in un breve intervento, ma si può scegliere una linea di attenzione, costituita dai sei Quaderni del carcere, pubblicati da Einaudi sotto il vigile sguardo di Togliatti tra il 1948 e il 1951. Il primo e forse più noto quaderno, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, è l'intelaiatura che sorregge il discorso complessivo di Gramsci: uno scritto segnato da un impeto anticrociano che preoccupava Togliatti, attento a non isolare le posizioni di sinistra rispetto alla restante cultura italiana. Il materialismo storico non è altro che il marxismo che Gramsci chiama spesso, e non solo per ragioni di prudenza rispetto alla censura, "filosofia della prassi", assunta ad ispirazione di una nuova e integrale civiltà capace di sostituire quella sino ad allora vigente. Ma filosofia della prassi indica pure una vicinanza a Gentile e al suo attualismo, che erige l'azione civile e pedagogica a centro della politica. Filosofia della prassi significa che la realtà deve essere prodotta e creata costantemente dal volontà che prevale e che secondo l'autore s'incarna nelle classi proletarie e progressive.

Questa nuova concezione, vero perno delle preoccupazioni gramsciane, vuole fare i conti con la religione e il senso comune, trasformandoli e infine congedandoli. Per ottenere l'esito si avvale della critica: «La filosofia è la critica e il superamento della religione e del senso comune», critica del modo di pensare e della cultura esistente per metterla da parte e creare una nuova egemonia alla luce della superiorità della concezione immanentistica della vita. Questa intende la persona umana come risolta o forse dissolta nei rapporti sociali, in una posizione di storicismo che oggi fa a pugni col nuovo naturalismo a base biologico-genetica che, messo da parte il marxismo, cerca la sua propria egemonia. Nei Quaderni Gramsci incontra il cattolicesimo che intende soprattutto come "gesuitismo" per il grande rilievo che attribuisce ai gesuiti nell'organizzazione e la guida della Chiesa: e ciò spiega il motivo per cui spesso si riferisce a La Civiltà Cattolica.

Il cattolicesimo non è più considerato vitale: Gramsci ne apprezza l'abilità di creare unità ideologica tra il basso e l'alto, tra i "semplici" e gli intellettuali, una capacità che l'autore riteneva che dovesse essere acquisita dai comunisti per condurre i primi dalla loro filosofia primitiva del senso comune ad una concezione superiore della vita e al relativo blocco intellettuale e morale. Per il resto il cattolicesimo è considerato una forma superata dallo storicismo moderno e da Croce. Tuttavia l'unità vagheggiata da Gramsci e Togliatti tra basso ed alto non si è verificata entro la filosofia della prassi, ma sotto la guida della grande omologazione consumistica degli anni Cinquanta-Ottanta del secolo scorso, e sotto la ispirazione non del marxismo e degli eredi di Gramsci ma del radicalismo, dei media e del libertarismo che per non pochi aspetti costituisce il nuovo senso comune in Europa che salda "semplici" e intellettuali. Né, nonostante il veloce avanzare della secolarizza-zione, si è verificata la vittoria della concezione immanenti-stica. Gramsci pensava che il marxismo-filosofia della prassi dovesse essere concepito anch'esso in maniera storicistica e dunque - diversamente dall'ortodossia sovietica che considerava il marxismo-leninismo la vera e definitiva scienza della società - come una fase transitoria del pensiero filosofico.

Era buon profeta, se è vero che oggi la filosofia della prassi non può che risultare irrimediabilmente datata e inidonea a orientare nella politica. Nello stesso anno 1948 in cui esce il primo volume dei Quaderni, Giorgio La Pira pubblica su Studium un articolo notevole intitolato «Spiritualità cristiana e spiritualità laica», in cui vi è un cenno a Gramsci, acc ostato a Marx, Engels, Lenin, Stalin in base all'idea che per questi autori la politica è tutto e l'uomo è l'ultimo fine per l'uomo: l'uomo è dio per l'uomo. I giorni del settantesimo della morte di Gramsci sono pure quelli in cui sta nascendo il Partito democratico, che forse lo avrà tra i suoi padri ispiratori. Ma nonostante la nobiltà della testimonianza gramsciana e il suo disinteresse, la posizione che da qui si diparte appare ormai passatista, quella di La Pira no. Forse qualcuno se ne sta accorgendo e magari lo inserirà tra gli ispiratori del nuovo partito.