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Home / Articoli / Ultime notizie dal mondo 15/ 30 Aprile 2007

Ultime notizie dal mondo 15/ 30 Aprile 2007

di redazionale - 04/05/2007

 

  • Russia / Germania. 15 aprile. Uomini politici e d’affari tedeschi hanno avvertito che criticare Mosca e denunciare la dipendenza dal gas russo danneggia gli interessi economici della Germania. È quanto appare sul Financial Times di un paio di settimane fa. Chiesto al portavoce della Merkel se, nel suo recente incontro con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, la signora avesse sollevato la questione dello «scandalo» di Schröder, questi ha risposto: no comment. «E in ogni caso, quell’episodio non getta ombre su una relazione che è fiorente e che intendiamo sviluppare». Schröder, ricordiamo, come cancelliere tedesco concluse con Putin l’accordo sul gasdotto sotto il Baltico, che trasporterà dalla costa russa a quella tedesca 27,5 miliardi di metri cubi di gas l’anno a partire dal 2010. Successivamente è stata sottoscritta un’intesa che ha portato la Basf, attraverso la controllata Wintershall, a detenere quasi il 35% del giacimento siberiano di Yuznoe-Russkoie, e la Gazprom ad accrescere a quasi il 50% la partecipazione in Wingas, la società a maggioranza Basf che distribuisce e vende gas russo in Germania, Belgio e Gran Bretagna. Dopo essere stato sconfitto alle elezioni e pochi giorni prima di abbandonare la carica, Schröder aveva aperto a Gazprom un credito garantito di un miliardo di euro. Poco dopo, nel dicembre 2005, Schröder sarebbe stato nominato, con un lauto stipendio, presidente della «Nordeuropäische Gas Pipeline Gesellschaft», il consorzio che sta realizzando il succitato gasdotto, di cui Gazprom possiede il 51%, Basf ed EON il 20% a testa e l’olandese Gasunie il 9%.

 

  • Russia / Germania. 15 aprile. La vicenda, che per un periodo ha riempito le prime pagine dei giornali tedeschi, ha irritato Mosca. La Gazprom aveva emesso un asciutto comunicato in cui ricordava di essere «il più grande esportatore di gas del mondo e un debitore di prima categoria». Un avvertimento ben inteso dagli industriali germanici. La Germania non solo riceve dalla Russia il 35% del suo petrolio e il 40% del suo gas, ma vede in Mosca il suo miglior cliente: le esportazioni in Russia sono cresciute del 15,4 % in un anno, e gli scambi bilaterali sono aumentati del 25%, toccando i 47 miliardi di dollari. «La Russia ha avviato una rapida modernizzazione e qualificazione delle sue infrastrutture, e ciò crea un grosso mercato per le nostre imprese», ha detto Eckart von Klaeden, parlamentare della CDU, il partito della Merkel. Anche le industrie tedesche stanno costruendo a tutta forza il lungo gasdotto che scorre sotto il Baltico, e che permetterà ai russi di non pagare diritti di transito a polacchi e paesi baltici. La Siemens partecipa al rammodernamento della linea ferroviaria che da Berlino andrà a Mosca per collegarsi con la Transiberiana e fare capolinea in Cina: un progetto volto a creare una via terrestre per il trasporto delle merci cinesi verso Occidente più breve e sicura alle rotte marittime. La EON, gigante energetico tedesco, ha d’altro canto offerto alla Gazprom i propri siti sotterranei per l’immagazzinamento del gas russo in Ungheria ed altre controllate in Bulgaria, Polonia, Slovenia e repubblica Ceca. Secondo alcune indiscrezioni, il ministro degli esteri tedesco Frank Steinmeier, recatosi nel corso dell’anno in Norvegia per mettere a punto i particolari dello sfruttamento dei giacimenti energetici dell’Artico (ritenuti enormi ed essenziali per il futuro dell’Europa e disputati da cinque paesi confinanti: USA, Canada, Danimarca, Norvegia e Russia), avrebbe perorato presso Oslo anche gli interessi di Mosca per lo sfruttamento delle riserve norvegesi. Si confida che poi Mosca avrà un occhio di riguardo per la Norsk Hydro quando si tratterà di decidere quali compagnie petrolifere straniere la Russia ammetterà allo sfruttamento dell’immenso giacimento Shtokman, all’estremo nord di Barents, che basterebbe a coprire il fabbisogno tedesco per 25 anni.

 

  • Russia / Germania. 15 aprile. «La Russia non ha nessuna intenzione di rinunciare alla propria sovranità. Chi entra nell’Europa, deve sapere che questa adesione comporta la progressiva rinuncia alla propria sovranità. Ogni volta che passa una legge a Bruxelles perdiamo un pezzettino di autonomia. La Russia ha un’altra storia, una dimensione continentale, un altro sentimento della sua identità e non ha mai partecipato al progetto europeo come i paesi dell’Europa Occidentale. Quando Berlusconi diceva vogliamo i russi nell’Unione Europea, Putin sorrideva perché lo prendeva per un complimento da salotto». Così parla l’ex ambasciatore Sergio Romano intervistato dal Messaggero Veneto il 27 marzo 2007, a cinquant’anni dai Patti di Roma. Sull’opposizione tedesca all’installazione di missili e antimissili in Polonia e di un radar nella Repubblica Ceca, Romano afferma che «la Germania sa che l’Unione Europea deve avere con la Russia un buon rapporto perché è una grande potenza con la quale ritiene utile e opportuno andare d’accordo per ragioni politiche ed economiche. La Russia è un grande mercato e un grande fornitore di energia, ed è nostro interesse che ci guadagni; non eccessivamente, ma quanto più la Russia cresce, tanto più crescono le nostre possibilità di concorrere alla crescita della sua economia. Il concetto dei rapporti eurorussi è condiviso dall’Italia e da molti altri Paesi». Ed avverte: «se l’Unione Europea accetta di ospitare sul proprio territorio missili e antimissili americani, la giustificazione secondo cui quegli armamenti sono installati lì per colpa dell’Iran è difficilmente credibile e la Russia potrebbe congetturare».

 

  • Italia / Polonia. 16 aprile. «La Costituzione Europea non è morta, bisogna trovare il modo per uscire dall’impasse tenendo conto dei NO ai referendum francese e olandese, ma anche delle ratifiche di 18 paesi su 27». Sono dichiarazioni del capo dello Stato Napolitano rilasciate al meeting di Riga fra i presidenti degli otto paesi sostenitori del rilancio del Trattato Costituzionale (Austria, Ungheria, Italia, Lettonia, Finlandia, Germania, Portogallo e Polonia). Replica del presidente polacco Kaczynski: «L’opinione pubblica europea non esiste (…) l’Europa intesa come uno Stato, come prevede la Costituzione Europea, è un obiettivo prematuro, adesso esistono le nazioni europee».

 

  • Gran Bretagna / Olanda. 16 aprile. L’Europa non ha bisogno di una Costituzione, ma dovrebbe concentrarsi su un trattato meno ambizioso che non abbia bisogno di un referendum confermativo. Lo hanno affermato il premier britannico Tony Blair, in conferenza stampa con il premier olandese Jan Peter Balkenende. «Quello che gli olandesi e i britannici dicono è che è importante tornare all’idea di un trattato convenzionale che faccia funzionare meglio l’Europa a 27, piuttosto che un trattato con le caratteristiche di una costituzione», ha affermato il premier britannico. Balkenende ha ricordato che durante la campagna referendaria in Olanda, gli elettori hanno espresso il timore per un superstato europeo, mostrando che la costituzione «non apparteneva al cuore e alla mente della gente». La Gran Bretagna ha sospeso i piani per un referendum di ratifica dopo che la costituzione è stata respinta da francesi e olandesi. Il forte euroscetticismo della popolazione lasciava prevedere un probabile trionfo del NO.

 

  • Libano. 16 aprile. Base NATO nel paese dei cedri. Fonti anonime statunitensi, riprese dal quotidiano USA Today e da quello libanese Aldiyar, rivelano: tra tre-quattro mesi verrà approntata una base NATO sul terreno della base aerea di Klieaat, Libano del nord, ampliando una struttura già in dotazione alle forze armate del Libano. Una base che si annuncia imponente, analoga all’altra base aerea USA di Al Udeid, Qatar. Nonostante il governo libanese e USA si accingano ad affermare che la base provvederà all’addestramento per esercito e forze di sicurezza libanesi, secondo indiscrezioni raccolte dal Wayne Madsen Report questa servirà come quartier generale della “forza di reazione rapida” della NATO, base logistica per squadroni di elicotteri Apache e Black Hawh e di unità delle forze speciali della NATO. Verrebbe inoltre usata a “protezione” delle pipelines nella regione (cfr il Baku-Tbilisi-Ceyhan e il Mosul/Kirkuk-Ceyhan), come pure per destabilizzare il governo di Assad in Siria. La base è stata istituita sotto pressione di funzionari dell’ufficio del Segretario alla Difesa USA e degli Stati Maggiori Riuniti. Contratti per la costruzione sarebbero già stati assegnati alla Halliburton, alla Bechtel e alla Jacobs Engineering Group di Pasadena.

 

  • Libano. 16 aprile. L’ex primo ministro libanese Rafik Hariri si era vigorosamente opposto a qualsiasi progetto di base militare USA in Libano. È quanto afferma il Wayne Madsen Report, secondo il quale sarebbero stati due altissimi funzionari della Casa Bianca, lo stratega elettorale e primo consigliere di Bush, Karl Rove, ed il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Elliot Abrams, ad aver autorizzato l’assassinio di Hariri.

 

  • Libano. 16 aprile. L’ingresso di USA e NATO in Libano sembra preparare il terreno per uno scontro militare USA-Israele con Iran e Siria. La notizia non soltanto inasprirà ulteriormente i rapporti tra il governo libanese e l’opposizione (maggioritaria nel paese) della coalizione del 16 aprile appoggiata da Hezbollah e cristiani di Aoun. Le voci filtrate sono anche un messaggio al piano di pace adottato dalla Lega Araba a Ryad (con la partecipazione dell’Iran), che prevede ritiro dai territori occupati nel 1967, rientro dei profughi pakestinesi, istituzione di uno Stato palestinese con Gerusalemme est capitale, in cambio di nuove relazioni con i paesi arabi. Israele ha respinto il piano.

 

  • Libano / Siria. 16 aprile. Preoccupazioni da Damasco sui piani USA. Quello che più preoccuperebbe il presidente Assad non è il potenziale bellico, al momento trascurabile, delle forze militari che USA e NATO faranno stazionare a Klieaat, Libano del nord, ma la natura del messaggio politico che Washington sta lanciando nella regione. Lo stazionamento di una struttura militare USA-NATO a due passi dal confine della Siria, in un area strategica, verrebbe interpretato da Damasco, alla luce degli attuali rapporti diplomatici con l’amministrazione Bush, come una minaccia diretta ai suoi interessi e alla sua sicurezza.

 

  • Libano / ONU. 16 aprile. Il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon sarà nelle prossime ore a Roma dopo una visita in Israele ed un lungo colloquio con il generale Graziano (dal 2 febbraio 2007 comandante dell’Unifil 2, la forza dell’ONU distaccata nel Libano meridionale). Tema del colloquio: il disarmo di Hezbollah. La richiesta, a quanto si afferma, accettata in via preliminare dal primo ministro Siniora, sarebbe stata avanzata dall’ufficio del segretario alla Difesa USA e dagli stati maggiori di Bruxelles ufficialmente per contrastare elementi di al Qaeda che si sarebbero infiltrati dal Libano settentrionale per colpire il contingente ONU.

 

  • Cina / Iraq. 16 aprile. Pechino potrebbe essere il primo paese a beneficiare dell’apertura dei giacimenti petroliferi iracheni alle multinazionali estere quando il governo iracheno approverà (si prevede entro luglio) la legge irachena sul petrolio. La legge, fortemente spinta dagli USA, consentirà al governo di firmare contratti per l’esplorazione e la produzione delle vaste riserve non sfruttate del Paese. La maggior parte delle stime danno le riserve irachene accertate a 115 miliardi di barili, le terze al mondo, ma considerata l’arretratezza della tecnologia dell’esplorazione petrolifera irachena secondo Frank Verrastro, analista petrolifero del Center for Strategic and International Studies di Washington, le attuali riserve sono probabilmente il doppio.

 

  • Cina / Iraq. 16 aprile. Il clamoroso ingresso della Cina sarebbe paradossalmente favorito dallo stato di guerra nel Paese. Poche compagnie petrolifere “occidentali” sono pronte a inviare attrezzature o personale nell’Iraq attuale. I sabotaggi ancora azzoppano le esportazioni. La decisione britannica di ritirare la maggior parte delle sue truppe dal sud ha suscitato preoccupazioni sulla stabilità persino nei giacimenti petroliferi maggiori. E le sconquassate infrastrutture per l’esportazione non possono reggere più dei 2 milioni di barili al giorno di greggio iracheno ora in produzione. «Si vedranno annunci e accordi. Ma dollari sul terreno è un’altra cosa», profetizza Saad Rahin, della PFC Energy di Washington. Ecco qui intervenire la Cina. Secondo alcuni analisti, Pechino è così disperatamente bisognoso di energia che le multinazionali petrolifere di proprietà governativa potrebbero essere disponibili ad accettare rischi di sicurezza più alti di altri, essendo motivate più dalla necessità di rifornimenti regolari di petrolio che dal profitto. Al contrario delle major internazionali del petrolio, che cercherebbero di firmare accordi di leasing per fissare le loro richieste, convinte che l’Iraq sia così ricco di petrolio da permettersi di aspettare alcuni anni che i combattimenti finiscano. Ad alimentare questi discorsi, il fatto che in ottobre la China National Petroleum ha iniziato a rinegoziare un contratto da 1,2 miliardi di dollari firmato nel 1997 con il governo di Saddam Hussein per sfruttare il giacimento da miliardi di barili di al-Ahdab, in una zona dove dominano le milizie sciite. Funzionari della compagnia cinese hanno smentito di avere progetti in corso in Iraq e rifiutato di discutere i piani futuri.

 

  • USA / Iraq. 16 aprile. La vera ragione dell’aggressione in Iraq? Il controllo a fini geopolitici dell’area mediorientale con le sue risorse energetiche. Noam Chomsky, professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology negli USA, in un’intervista rilasciata al sito www.zmag.org, ricorda: «l’Iraq possiede il secondo giacimento di petrolio più esteso del mondo, conveniente da sfruttare e proprio nel cuore di quelle riserve mondiali di idrocarburi che il Dipartimento di Stato già 60 fa descriveva come “stupenda sorgente di potere strategico” ». Come puntualizza Chomsky, il dato strategico è il controllo (e il profitto per le multinazionali dell’energia). «Il controllo di queste risorse, prendendo in prestito l’espressione di Zbigniew Brezinski, determina il “potere critico di leva” statunitense nei confronti delle industrie avversarie (…) Dick Cheney ha osservato che il controllo delle risorse energetiche fornisce in mano altrui “mezzi di intimidazione ed estorsione”».

 

  • USA / Iraq. 16 aprile. Un Iraq veramente sovrano sarebbe un disastro per Washington. Chomsky rileva che questo avrebbe effetti sugli sciiti oppressi dell’Arabia Saudita, «proprio dove c’è la maggior parte del petrolio saudita». Considerata la crescita degli sciiti anche nel Bahrein, il rischio è il trionfo dell’influenza sciita in un’arco spaziale che dall’Iran arriva al Libano, con le risorse di idrocarburi nel mezzo. Questo arco sciita potrebbe poi coalizzarsi alla grande potenza emergente: la Cina. «Sebbene gli USA possano intimidire l’Europa, è chiaro che non possono fare la stessa cosa con la Cina, la quale sconsideratamente va per la sua strada anche in Arabia Saudita –il che è il motivo di fondo per cui la Cina è considerata minaccia primaria. Un blocco energetico indipendente nell’area del Golfo può verosimilmente emergere tramite il Shanghai Cooperation Council e l’Asian Energy Security Grid basato sulla Cina, con la Russia (dotata delle proprie ingenti risorse) come partner, insieme agli Stati dell’Asia Centrale (già membri), possibilmente con l’India. L’Iran si è già associato e i blocchi a dominanza sciita negli Stati arabi potrebbero tenergli dietro. Tutto ciò sarebbe un incubo per i pianificatori americani e per i loro alleati occidentali».

 

  • USA. 16 aprile. Gli Stati Uniti hanno speso oltre 110 milioni di dollari per realizzare le “rivoluzioni colorate” in Ucraina e Kirghizistan. È quanto affermano gli autori del documentario di produzione francese “Rivoluzione.com.USA. Alla conquista dell’Est”, trasmesso dal canale televisivo statale russo Rossija. I documentaristi francesi sono giunti alla conclusione che dietro la realizzazione di una serie di colpi di Stato “cromatici” –la rivoluzione di “velluto” in Serbia, quella delle “rose” in Georgia, “arancione” in Ucraina e quella dei “tulipani” in Kirghizistan– ci siano stati gli USA. E, sempre secondo gli autori del documentario, non è assolutamente escluso il fatto che gli Stati Uniti si fermino qui, dal momento che nel mirino di Washington ci sono ora la Moldavia e alcune delle ex repubbliche sovietiche della zona asiatica. Secondo il documentario, il rovesciamento del regime di Milosevic del 2000, la rimozione nel novembre del 2003 di Eduard Shevarnadze, l’ascesa al potere in Ucraina di Viktor Yushenko nel dicembre del 2004 e la “rivoluzione dei tulipani” contro Akaev in Kirghizistan nel marzo del 2005, non rappresentano altro che gli anelli di un’unica catena. «Quattro rivoluzioni senza spargimenti di sangue, quattro regimi totalitari, le tracce cioè di ciò che rappresentava la potenza sovietica, sono svaniti nel nulla nel giro di qualche settimana facendo ricorso ogni volta allo stesso tipo di scenario: denuncia di elezioni false, un potere che si contrapponeva convulsamente per poi, alla fine dei conti, cedere nei confronti degli insorti», sottolineano gli autori del documentario.

 

  • USA. 16 aprile. È stato proprio nell’ex repubblica jugoslava che vennero per la prima volta applicate le tesi contenute nel libro dello scrittore USA Jim Sharp “Dalla dittatura alla democrazia”, un originale manuale di messa in atto di “rivoluzioni non violente” sulla base di ricette assai semplici. Nel libro, ad esempio, viene raccontato come ai rivoluzionari sia riuscito di instaurare buoni rapporti con la polizia, il perno di qualsiasi tipo di dittatura. E fu proprio lo stesso Sharp a dichiarare successivamente che coloro i quali tentarono nel 2000 di rovesciare il regime di Slobodan Milosevic in Serbia si attennero ai suoi consigli. A seguito della caduta di Milosevic, furono poi gli stessi serbi a diffondere tale metodica collaborando attivamente prima con i georgiani al fine di rimuovere Eduard Shevarnadze, e poi con gli ucraini nella fase di preparazione che portò alla “rivoluzione arancione”. A distanza di 10 mesi dalla riuscita campagna di Belgrado, l’ambasciatore USA in Bielorussia Michael Kozak, dall’alto della sua esperienza in simili azioni in America Centrale, in particolare nel Nicaragua, organizzò una campagna sui generis atta a rovesciare il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, campagna che però per gli Stati Uniti non finì secondo le attese.

 

  • USA. 16 aprile. La cosiddetta “rivoluzione arancione” in Ucraina ha rappresentato la quarta campagna tra quelle organizzate dagli Stati Uniti in quattro diversi Paesi dell’area postsovietica allo scopo di non rendere pubblici e di conseguenza non riconoscere gli effettivi risultati delle elezioni per poi far cadere i rispettivi regimi in questi Paesi. La preziosa esperienza acquisita in Serbia, Georgia e Bielorussia venne di conseguenza impiegata al fine di effettuare azioni di protesta nei confronti del regime dell’allora presidente ucraino Leonid Kuchma. Il momento chiave è rappresentato dalla procedura del conteggio dei voti. Oltre agli osservatori ufficiali dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, durante la fase di spoglio delle schede nel corso delle elezioni ucraine presenziavano migliaia di osservatori locali, in precedenza addestrati e pagati dall’”Occidente”. Nell’occasione furono altresì organizzati sondaggi nei confronti degli elettori all’uscita dei seggi che dimostravano la vittoria di Yushenko con un margine pari all’11%. E proprio questi dati sono diventati una delle cause principale dell’evolversi dell’attuale situazione in Ucraina. Sulla base di tali sondaggi, l’opposizione ha poi preso l’iniziativa nella battaglia propagandistica contro il regime facendoli apparire di conseguenza sulla stampa. La fase finale della campagna è incentrata sul come reagire se il regime cercherà di “rubare” le elezioni perdute. In Bielorussia Lukashenko è uscito vittorioso dalla campagna elettorale grazie al fatto che non erano state organizzate azioni di protesta su vasta scala, al contrario di Belgrado, Tbilisi e Kiev, dove all’opposizione venne raccomandato di mantenere sangue freddo e di organizzare massicce azioni di disobbedienza civile.

 

  • USA. 16 aprile. Se nell’arco degli anni ’60 e ’70 l’attività di formazione di cellule di partiti ed organizzazioni politiche in diversi paesi veniva effettuata segretamente da parte della CIA, successivamente venne presa la decisione di rendere più trasparente e pubblica l’attività degli Stati Uniti. Ed è proprio di ciò che si occupano i fondi e le organizzazioni statunitensi, tra le quali la Fondazione Soros, che ha attivamente preso parte alla rivoluzione in Georgia, l’associazione Freedom House, la quale alla vigilia della rivoluzione in Kirghisia iniziò a stampare e diffondere ben sei giornali a favore dell’opposizione (fattore che ha poi contribuito in larga parte al rovesciamento del regime di Askar Akaiev), nonché l’Istituto Repubblicano Internazionale del senatore USA John McCaine. Sono state proprio queste Fondazioni ed organizzazioni, secondo gli autori del documentario, i veri ispiratori delle rivoluzioni «che hanno spazzato via uno dietro l’altro gli ex vassalli di Mosca per la grande gioia di George Bush».

 

  • Germania. 17 aprile. La presidenza di turno tedesca dell’Unione Europea, che in questi giorni è impegnata in consultazioni discrete per rilanciare il Trattato costituzionale bocciato dai referendum in Francia e Olanda, non ha nulla da aggiungere alle proposte avanzate a Londra da britannici e olandesi, i più decisi oppositori anche solo della definizione di Costituzione. I piani della cancelliera Angela Merkel, in attesa della conclusione delle elezioni presidenziali francesi, prevedono una tabella di marcia da presentare al vertice di giugno a Bruxelles alla fine del semestre tedesco di presidenza. A prendere le decisioni concrete dovrebbe essere chiamata una Conferenza intergovernativa dopo la fine della presidenza tedesca. In quella sede, secondo quanto è stato detto anche in occasione dei recenti festeggiamenti a Berlino per i 50 anni dell’Unione Europea, potrebbe essere elaborato il nuovo Trattato costituzionale il cui testo verrebbe redatto pertanto sotto la presidenza portoghese con l’obiettivo di firmarlo e ratificarlo entro il 2009. Per quanto riguarda l’obiezione di Gran Bretagna e Olanda (ma anche Polonia e Repubblica Ceca), che non vogliono neanche sentire parlare di “Costituzione” per tutti gli impegni formali che il termine comporta, ai tedeschi ciò non dovrebbe porre particolari difficoltà: anche la Repubblica federale tedesca non ha una “Costituzione” bensì solo una “Grundgesetz”, cioè una semplice “Legge Fondamentale” che sul piano formale non è ancora una Costituzione in senso tecnico ma, piuttosto, l’insieme delle norme che reggono un nuovo ordinamento per un periodo transitorio e in attesa di un esito ultimo che ancora non si è realizzato.

 

  • Polonia. 17 aprile. Il generale Wojciech Jaruzelski, ex uomo forte della Polonia comunista, è stato formalmente accusato di “crimine comunista” per aver decretato la legge marziale nel 1981 con l’obiettivo di bloccare l’ascesa del sindacato Solidarnosc. L’accusa è stata mossa dalla sezione di Katowice dell’Istituto per la memoria nazionale polacco (INP), che studia e indaga sugli archivi di Stato, in riferimento al periodo della dittatura comunista in Polonia. L’Istituto, lo stesso che in passato ha avviato procedimenti di “Lustracja” contro l’ex arcivescovo di Varsavia Stanislaw Wielgus e l’attuale ministro delle Finanze Zyta Gilowska, accusati di aver collaborato con i servizi segreti sovietici, ha depositato formale accusa al Tribunale regionale di Varsavia, che dovrà ora pronunciarsi in merito. Oltre a Jaruzelski, sono state depositate accuse contro altre otto persone, fra cui l’ex generale Czeslaw Kiszczak e il segretario dell’allora Partito comunista polacco Stanislaw Kania.

 

  • Polonia. 17 aprile. Dopo le dimissioni dell’arcivescovo Wielgus, seguite alle rivelazioni sul suo passato di spia per il regime comunista, la “Lustracja” sta entrando nella sua fase più turbolenta: la nuova legge che obbliga i collaboratori del regime sovietico ad autodenunciarsi entro maggio è una resa dei conti, ma i gemelli Kaczynski la considerano l’indispensabile pedaggio alla “rivoluzione morale” della quale si sono fatti paladini. In primo piano sono gli intellettuali: almeno settecentomila fra docenti, magistrati, giornalisti, universitari, dirigenti delle case editrici, editori di tv e giornali nati prima del 1972 dovranno compilare un formulario –destinato ad un dipartimento creato per l’occasione con un centinaio di funzionari, che riferirano all’INP– nel quale si chiede loro di spiegare se ed eventualmente come hanno collaborato con la polizia politica comunista. Chi fornirà dichiarazioni in contrasto con gli archivi dell’Istituto, o rifiuterà di obbedire al governo, sarà licenziato e non potrà esercitare la professione per 10 anni. Sono intanto già partiti i primi ricorsi alla Corte costituzionale, e ricerche e controlli potrebbero dunque durare anni, considerata la scarsa attendibilità di molti documenti d’accusa.

 

  • Polonia. 17 aprile. La Polonia sta attraversando dunque un’ondata di anti comunismo che secondo alcuni analisti non è dovuta alla sola volontà proclamata di fare chiarezza sulla propria storia, ma sarebbe in prima istanza motivata da una finalità di politica estera: la Russia. Non è inverosimile pensare che l’obiettivo implicito di questa campagna possa essere Mosca, lo sponsor dei passati regimi comunisti e con la quale non solo Varsavia ha aperto diversi contenziosi geopolitici. L’attacco al passato comunista diventa di fatto un modo per denigrare la Russia dipingendola come un nemico storico che, dopo aver controllato quei paesi tramite regimi a lei favorevoli, ancora oggi può rappresentare una temibile minaccia. Il generale Jaruzelski è ultra ottantenne e, anche se condannato, pare difficile possa finire in carcere. La sua vicenda potrebbe però diventare il simbolo di una controversia più grande, la diatriba con lo storico nemico russo che comunque non nasconde le sue ambizioni di ritornare ad essere la potenza geopolitica dominante non solo nell’est Europa.

 

  • Polonia. 17 aprile. In un contesto geopolitico che tende verso la polarizzazione tra Russia – Cina e Stati Uniti, la Polonia è un importante Stato cerniera tra Mosca ed un altro vecchio nemico di Varsavia, la Germania. All’esterno la Polonia segue un deciso allineamento con gli Stati Uniti e il suo ombrello missilistico, mentre rimane quantomeno diffidente contro le mire non solo di Mosca ma anche di Berlino. Diffidenza non ingiustificata: l’ex cancelliere Schröder è diventato responsabile del gasdotto del Baltico subito dopo aver siglato come cancelliere l’accordo che ne affidava la gestione a Gazprom e alle tedesche EON e Basf-Wintershall. Il gasdotto ridurrà enormemente il ruolo geopolitico della Polonia ma anche di Paesi come quelli baltici. In Polonia si è richiamata la spartizione del paese prima della seconda guerra mondiale tra i ministri degli esteri della Germania nazista e della Russia stalinista, Ribbentrop e Molotov.

 

  • Polonia. 17 aprile. In questo ambito va dunque collocato il “maccartismo polacco”, quella che Le Monde definisce una “caccia alle streghe”. Un’offensiva non prerogativa della sola Polonia ed in corso anche in Ungheria e nei paesi baltici, che stanno cercando di portarla anche a livello internazionale, come dimostra la loro recente richiesta all’Unione europea di equiparare i crimini staliniani a quelli nazisti. Per il quotidiano Opinione la politica «non liberale» di Varsavia «potrebbe essere un male giustificato dalle ingerenze russe». Un indizio importante della decisione con cui intendono procedere i Kaczinsky è la nomina a capo dei servizi di controspionaggio di Antoni Macierewicz, uomo molto vicino al primo ministro e membro del suo stesso partito, il Partito per la Legge e la Giustizia (PiS), «che denunciò nel 1992 molti agenti sovietici, alcuni dei quali facevano parte dell’entourage di Lech Walesa». Il 4 giugno 1992, l’allora ministro degli Interni Antoni Macierewicz lesse in Parlamento una prima lista di 120 collaboratori col passato regime sovietico. Il trauma fu enorme: la lista comprende molti “eroi” di Solidarnosc, e fa il nome addirittura di Lech Walesa, il capo dello Stato in carica, indicato nei documenti segreti come «agente Bolek». La rivelazione provoca la caduta immediata, lo stesso 4 giugno, del governo cattolico; la distruzione del mito di Solidarnosc; l’impossibilità di procedere alla vera “Lustracja” dei vecchi agenti comunisti nascosti nelle istituzioni, perché tutti temono provocazioni, ricatti e calunnie; infine, ma non ultimo, il ritorno degli ex comunisti al potere.

 

  • Polonia. 17 aprile. Secondo il quotidiano filo USA ed Israele, «il pur tragico maccartismo americano ha preservato e immunizzato l’America dal Komintern, meglio del lavoro di intelligence e dell’esercito». Il giornale ricorda anche il caso dell’ex primo ministro polacco della sinistra ex comunista (SLD) poi dimessosi, Leszek Miller, «esponente del partito comunista polacco, che ideò una rete internazionale di aziende (…) Era il così detto “piano Miller”, che venne approvato da Gorbacev e portò anche alla salvezza dei partiti socialcomunisti europei». Un piano che «venne fiancheggiato dai servizi russi, e dopo l’uscita dal governo di Eltsin, ha chiuso il suo compito di traghettamento». E questo spiegherebbe, arrivato Putin alla presidenza russa, «il “maccartismo”, che ha toccato anche importanti uomini della Chiesa polacca».

 

  • Russia. 17 aprile. Gazprom intende espandersi ulteriormente nel mercato europeo del gas. In una dichiarazione ufficiale, i vertici del colosso energetico russo hanno annunciato di voler costituire delle joint ventures (accordi tra imprese) con aziende leader in Belgio, Germania, Serbia, Romania e Ungheria per costruire grandi infrastrutture di stoccaggio di ingenti riserve di gas naturale. Oltre a produzione e distribuzione, lo stoccaggio di gas naturale rappresenta un altro momento forte del sistema di controllo di questa risorsa strategica. I vertici di Gazprom hanno presentato tali progetti come risposta all’esigenza di rendere l’approvvigionamento di gas naturale russo da parte degli Europei più sicuro e meno dipendente da dispute politiche, come quelle recenti con Ucraina e Bielorussia –i cui territori sono di vitale importanza per convogliare il gas russo verso l’Europa centrale e occidentale– che hanno destato inquietudine presso gli Stati membri dell’UE. Quel che è certo è comunque il rafforzamento, attraverso accordi bilaterali ad hoc fra Mosca ed alcuni Stati europei, della posizione di Gazprom. Il gas naturale, soprattutto in assenza di piani effettivi per lo sviluppo di fonti energetiche alternative come il fotovoltaico, il solare, la geotermia e l’idrogeno, sembra essere la risorsa energetica strategica del prossimo decennio. E la Russia, che controlla le più vaste risorse mondiali di gas naturali e detiene la leadership nella sua esportazione, non mancherà di farlo pesare anche in Europa.

 

  • Russia. 17 aprile. L’obiettivo di Gazprom di dominare il mercato europeo del gas naturale è stato storicamente favorito dalla geografia dell’energia. Il gas naturale ha un mercato più dipendente dai gasdotti di quanto quello petrolifero sia dipendente dagli oleodotti. Per poter trasportare il gas naturale via-mare occorre la sua liquefazione e poi ri-gassificazione, operazione delicata non solo in senso economico ma anche e soprattutto politico, in quanto i rigassificatori sono spesso oggetto di aspre controversie e la loro costruzione procede a rilento rispetto alle pretese del mercato energetico. In tale contesto, il fatto che sin dai tempi dell’URSS il territorio russo è legato all’Europa centrale e occidentale da una fitta rete di gasdotti ha naturalmente favorito la politica di Gazprom. Per le ambizioni geopolitiche del Cremino, il controllo di fatto statale delle risorse energetiche (gas naturale e anche petrolio) e dei circuiti di distribuzione attraverso giganti quali Gazprom o Rosneft è un elemento decisivo. Va a tal proposito rilevato che la chiave di lettura dell’accordo con la Bielorussia di Lukashenko del gennaio scorso non consiste nell’aumento dei prezzi di fornitura del gas ai bielorussi, ma nell’acquisizione del controllo –con una quota del 50% della proprietà– dei gasdotti che transitano attraverso la Bielorussia. È la stessa concessione strappata, un anno fa, all’Ucraina.

 

  • Russia. 17 aprile. Gettando un occhio attento alla geopolitica russa delle risorse energetiche, quel che salta all’occhio è il controllo di oleodotti e gasdotti e dei diritti di transito. Il settimanale Espresso del febbraio scorso rilevava ad esempio che una società come l’ENI non può far arrivare in Europa gli idrocarburi estratti in Kazakistan, Uzbekistan o Turkmenistan (dove partecipa all’estrazione in alcuni giacimenti) poiché Mosca non concede diritti di transito sul territorio russo. L’ENI è costretta pertanto a vendere quanto produce a Gazprom. Questo squilibrio sui transiti è la carta che sta favorendo Gazprom a discapito di tutti gli altri operatori, nel mentre questa si avvia ad entrare in mercati come appunto quello italiano.

 

  • Russia / Italia. 17 aprile. Apriamo a questo punto una parentesi sull’Italia. Il governo di centrosinistra, nel contesto delineato poco sopra, non ha trovato niente di meglio che proseguire la politica energetica del governo Berlusconi, consistente nell’aprire incondizionatamente il mercato italiano al colosso di Mosca (che tra l’altro vorrebbe acquisire centrali elettriche). Con la rettifica di impedire allo stesso Berlusconi di partecipare, anche se per interposta persona con una una società privata riconducibile a lui, all’affare. «Cosa offre Mosca all’Italia, in cambio della conquista del mercato del metano? In cambio ENI avrà accesso a quote azionarie di Novatek –il primo produttore privato di gas dopo Gazprom– e di Artikgas, una società che sfrutterà i ricchissimi giacimenti a ridosso del Circolo Polare Artico. C’è però un nodo da risolvere: se non cambiano le regole russe circa le concessioni sui transiti nei metanodotti, cosa se ne farà ENI del gas estratto in Russia? Non potendo esportarlo, continuerà a non restare altro da fare che rivenderlo a Gazprom, ed il circolo vizioso si riproporrà», scriveva il settimanale di De Benedetti.

 

  • Russia. 17 aprile. È comunque evidente che Mosca ha saputo ben associare al dato strutturale geografico-energetico una notevole capacità diplomatica. Una vera e propria strategia d’influenza russa, che punta a solleticare gli appetiti economici di singoli paesi europei, ha avuto buon gioco nel coinvolgere singoli Stati membri nel sistema dello stoccaggio del gas naturale, che permette a tali paesi di diventare hub strategici e distributori della risorsa energetica anche se non ne possiedono. Nel biennio 2004-2005, l’allora Cancelliere tedesco Gerhard Schröder strinse rapporti privilegiati con l’impresa controllata da Mosca e diede inizio a un partenariato strategico con la Russia insieme a una propria collaborazione personale con Gazprom. Una delle conseguenze fu il progetto di gasdotto attraverso il Baltico che fece infuriare Varsavia e Vilnius (escluse dal tragitto e private quindi di royalties e di peso politico). Buone relazioni anche con il Belgio. I rapporti fra il primo ministro belga Guy Verhofstadt e Vladimir Putin sono stati tradizionalmente buoni negli ultimi anni. Nel marzo scorso, Verhofstadt è stato ricevuto al Cremlino e ha dato il proprio assenso al progetto di stoccaggio del gas naturale in Belgio. Per quanto riguarda Serbia e Romania, se la prima è tradizionalmente un’alleata politico-diplomatica di Mosca, la seconda è un caso più interessante, in quanto insieme a Polonia e Lituania è il paese più filo-statunitense e filo-atlantico fra i nuovi Stati membri UE integrati nel 2004, e un pilastro della nuova strategia statunitense nell’area del Mar Nero. Le considerazioni economiche, in questo caso, hanno prevalso.

 

  • Russia. 17 aprile. Le strategie energetiche russe hanno comunque un respiro a più ampio raggio. Buona innanzitutto l’intesa con la Turchia, con cui si è realizzato (anche con la partecipazione dell’ENI) il Blue stream, il gasdotto tra Russia e Turchia passante attraverso il mar Nero, che Putin vorrebbe estendere ai Balcani ed all’Ungheria. Gazprom e Israele hanno raggiunto un accordo di principio sulla fornitura di gas russo a Tel Aviv attraverso la Turchia, secondo quanto ha detto il primo ministro israeliano Ehud Olmert, intervistato a Gerusalemme dalla radio Eco di Mosca. Un accordo per trasportare gas naturale egiziano verso l’Europa attraverso la Turchia è stato firmato dai ministri dell’energia di Siria, Egitto, Libano, Giordania e Romania, secondo quanto afferma l’agenzia di stampa Anadolu. Nel 2006, Mosca ha stretto un’alleanza con Algeri ed iniziato quel processo di cooptazione dei propri potenziali rivali che, eventualmente, potrebbe anche portare ad un cartello del gas sul modello dell’OPEC petrolifero. Detto per inciso, l’intesa tra la russa Gazprom e l’algerina Sonatrach, che insieme rappresentano il 60% dell’import di metano dell’Europa occidentale e il 70% di tutte le importazioni italiane (l’Algeria ha gasdotti diretti con Italia, Spagna e Portogallo ed esporta gas liquefatto a tutto il Mediterraneo del nord), determinerà una situazione di quasi monopolio sul mercato europeo del gas. L’intesa è stata corroborata con la vendita di armamenti: caccia multiruolo, radar, missili. Pagate dando a Mosca la partecipazione alle operazioni di estrazione di petrolio e gas nel paese maghrebino. Il 9 Aprile scorso, a Doha in Qatar, i membri del Forum dei paesi esportatori di gas hanno discusso della possibilità di coordinare le proprie politiche di offerta. La Russia conta di aumentare la propria influenza sulle politiche di molti fra i principali detentori di gas naturale: Iran, Qatar, Arabia Saudita, Venezuela, Turkmenistan. Nel risiko energetico globale innescato dall’aggressività statunitense (cfr i progetti di oleodotti e gasdotti con cui Washington vorrebbe tagliare fuori Mosca dai circuiti di distribuzione delle risorse energetiche), la Russia sta mostrando di avere diverse carte da giocare.

 

  • Kosovo. 18 aprile. «Dovremo lavorare con alacrità nelle prossime settimane e nei prossimi mesi per portare il Kosovo verso l’indipendenza». Lo ha ribadito ieri, in riferimento alla sorte della provincia a maggioranza albanese oggi sotto l’autorità serba, Nicholas Burns, numero tre del Dipartimento di Stato, di fronte al Congresso, insinuando così la possibilità di un riconoscimento unilaterale. Immediata la replica di Belgrado: il governo respingerà come nullo il tentativo di qualunque paese di riconoscere il Kosovo come Stato indipendente prima che sia adottata una risoluzione al riguardo dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

 

  • Ucraina. 18 aprile. Yanukovic: Se andremo a nuove elezioni vinceremo sicuramente. Secondo i sondaggi citati dal primo ministro ucraino, in costante crescita risulterebbe la coalizione parlamentare guidata dal “partito delle regioni” dell’attuale premier filo russo. Yanukovic però precisa che ogni elezione deve tenersi nel rispetto della legge e della Costituzione del Paese.

 

  • Turchia / Iraq. 18 aprile. Ankara minaccia di invadere l’Iraq. Due operazioni militari contro i guerriglieri del PKK a breve distanza dalla frontiera turco-irachena, appoggiate da elicotteri da combattimento, le dichiarazioni del capo di Stato maggiore di Ankara e del consiglio nazionale per la sicurezza della Turchia (una istituzione a guida mista civile e militare) lo scorso 9 aprile, secondo cui Ankara sarebbe pronta ad adottare “altri provvedimenti” nel caso in cui il governo iracheno non dovesse prendere provvedimenti adeguati contro i guerriglieri kurdi, lasciano paventare seriamente opzioni militari nel nord del vicino Iraq. Secondo Ankara i guerriglieri dopo attacchi contro obiettivi turchi troverebbero protezione proprio in territori a sovranità irachena. Il capo di Stato maggiore delle forze armate turche, Yasar Büyükanit, ha detto che qui si nasconderebbero almeno 5mila guerriglieri kurdi e l’invasione di questi territori sarebbe «indispensabile» per impedire loro di agire.

 

  • Turchia / Iraq. 18 aprile. Lo scontro verbale tra turchi e kurdi aveva già raggiunto un punto di massima tensione la settimana scorsa, con l’intervista al leader dei kurdi nord iracheni Massoud Barzani trasmessa dalla televisione Al-Arabiya. Nell’intervista Barzani affermava che i kurdi nord iracheni non permetteranno un intervento turco nella città di Kirkuk. Irritato dalle ripetute minacce di intervento turco, Barzani ha affermato che se la Turchia crede sia suo dovere intervenire per le migliaia di turkmeni che vivono a Kirkuk, allora «noi in nome dei 30 milioni di kurdi della Turchia, abbiamo il diritto di immischiarci negli affari di Diyarbakir e delle altre città turche». Soprattutto, Barzani ha dichiarato che i kurdi residenti in Iran, Turchia, Iraq e Siria «avrebbero un legittimo diritto ad uno Stato indipendente». Per la maggioranza delle élite politiche e delle forze armate turche questa prospettiva rappresenta l’inferno, da scongiurare ad ogni costo, con in più il timore che nella possibile, futura entità statuale del Kurdistan vi siano anche i territori attualmente sotto dominio turco. Il ministro degli esteri Abdullah Gül, in una telefonata con il suo collega statunitense Condoleezza Rice, ha preteso che gli alleati USA mettano Barzani con le spalle al muro. Cemil Cicel, influente portavoce del governo, ha ribadito come legittima una possibile operazione militare turca in Iraq, visto che il PKK agisce partendo dall’Iraq del nord.

 

  • Iran. 18 aprile. Gruppo terrorista debellato. Le autorità iraniane hanno dichiarato di aver messo sotto controllo il gruppo terrorista di Jundallah (“Soldati di Allah”) di Abdolmalek Rigi e di averlo disperso. Un alto funzionario del ministero dell’interno ha detto che il gruppo è stato sostenuto da servizi segreti stranieri con l’obiettivo di destabilizzare il governo iraniano. Inoltre ha affermato che i capi delle frazioni principali del gruppo sono stati arrestati o uccisi.

 

  • Iran / Israele. 18 aprile. L’Iran è attivamente impegnata nel reclutamento di ebrei e di arabi israeliani come spie contro Israele. Lo ha affermato un rapporto dei servizi di sicurezza israeliani. 10 israeliani su 100 che hanno viaggiato in questi ultimi due anni in Iran, secondo il rapporto, interrogati dal servizio di sicurezza israeliani, sono stati scoperti reclutati come spie. Il rapporto afferma inoltre che l’Iran sta attivamente raccogliendo informazioni in tre ambiti: sistema decisionale israeliano; strutture militari e di difesa; forza e debolezze della società israeliana.

 

  • Iraq. 18 aprile. Per il 73% degli iracheni gli USA sono la causa degli attentati contro i civili. Secondo un sondaggio pubblicato 9 giorni fa dal quotidiano britannico The Sunday Times, solamente il 27% degli iracheni intervistati pensano che la violenza con la quale convivono tutti i giorni sia il risultato di una guerra civile. L’istituto Brookings ha inoltre rilevato, anche sulla base di fonti ufficiali USA, che il numero degli attentati è raddoppiato rispetto all’anno precedente, il 75% dei quali rivolti contro l’esercito USA, il 17% contro quello iracheno ufficiale e solamente l’8% contro obiettivi civili, che comprendono comunque le imprese che lavorano direttamente o indirettamente per gli occupanti. La “guerra civile” si rivela uno slogan tanto sbandierato quanto irreale. Si può magari parlare di combattimenti tra milizie rivali o scontri tra settori del governo iracheno che difendono propri interessi. Ma c’è chi rileva come la comparsa di squadroni della morte, che terrorizzano villaggi interi e fermano tutti quelli che entrano od escono dagli abitati, risale alla venuta in Iraq del famigerato John Negroponte, attuale numero 2 del Dipartimento di Stato USA, figura che sovrintese alla creazione ed addestramento di sanguinari commandos nell’America centrale.

 

  • Nicaragua / Venezuela. 18 aprile. Il presidente Daniel Ortega inaugura due nuove centrali elettriche, intitolate al suo omologo venezuelano Hugo Chávez per il sostegno offerto da Caracas per risolvere la crisi energetica che colpisce il paese con black-out quasi quotidiani. Secondo Ortega, l’interruzione dell’energia elettrica è già stata ridotta, nei suoi primi 100 giorni di governo, del 30% «grazie alla solidarietà del Venezuela e di Cuba».

 

  • Iran / Iraq. 19 aprile. L’Iran sta fornendo in Iraq aiuti non solo agli sciiti, ma anche ai sunniti. Lo ha dichiarato il generale del Pentagono Barbero. «Abbiamo scoperto munizioni a Baghdad, prodotte in Iran, in quartieri a larga maggioranza sunniti», ha detto il generale Barbero. Obiettivo di Teheran, secondo il militare, sarebbe destabilizzare e paralizzare l’Iraq.

 

  • Russia. 19 aprile. Nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso l’Accademia aeromilitare “Yurij Gagarin” a Monino, in periferia di Mosca, il Comandante in capo delle Forze aeree russe, generale Vladimir Mihailov, ha dichiarato che i sistemi missilistici difensivi che gli Stati Uniti sono intenzionati a dislocare in Polonia e nella Repubblica Ceca non rappresentano un pericolo per la Russia «Per noi questi sistemi non rappresentano un pericolo particolare, dal momento che non si tratta di missili d’attacco sebbene possano essere utilizzati in qualità di missili terra-terra. Il peso di questi sistemi è più politico che militare», ha dichiarato il generale Mihailov il quale ha poi proseguito dicendo che «si tratta di sistemi missilistici stazionari, in grado di essere immediatamente localizzati per coordinate. Per cui non vedo la ragione per la quale si debba temere sistemi del genere». «Il fatto che gli americani ci invitino a visitare di persona questi sistemi rappresenta un’iniziativa per lo più di carattere politico al fine di dimostrarci che li installano armati di buone intenzioni, tant’è che sono disposti a farceli vedere uno per uno», ha così commentato il generale Mihailov la recente dichiarazione da parte del direttore dell’Agenzia missilistica difensiva statunitense, generale Henry Obering, il quale aveva proposto ad esperti russi di visitare i cantieri sul territorio polacco che a partire dal 2011 ospiteranno 10 basi missilistiche difensive statunitensi.

 

  • Russia. 19 aprile. Il Comandante in capo delle Forze aeree russe, generale Vladimir Mihailov, nel corso della conferenza stampa presso l’Accademia militare aerea di Mosca “Yurij Gagarin”, ha dichiarato che tra Russia e Bielorussia verrà sottoscritto un accordo che prevede la formazione di uno scudo missilistico difensivo in comune.

 

  • Russia / India. 19 aprile. Lo storico accordo tra Stati Uniti e India sulla energia nucleare è a rischio perché il governo di New Delhi chiede la riscrittura di clausole chiave della legge già approvata dal Congresso l’anno scorso. Secondo quanto rivelato da fonti del dipartimento di Stato USA, citate dal Financial Times (FT), l’intransigenza dell’India minaccia di fare saltare un accordo che consentirebbe a New Delhi un accesso senza precedenti al combustibile nucleare, senza dovere sottoscrivere il trattato di non proliferazione. Stando a quanto riferito da fonti informate della trattativa, i negoziatori indiani contestano una clausola che riserva agli Stati Uniti la facoltà di ritirare le forniture di combustibile e le apparecchiature per gli impianti nucleari qualora l’India derogasse dalla moratoria unilaterale sui test nucleari, ha scritto il FT.

 

  • USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. «In Somalia, analogamente ad Haiti, è avvenuta un’invasione di mercenari dall’Etiopia, addestrati, finanziati, armati e guidati da consiglieri militari statunitensi». Lo scrive il docente USA James Petras in una sua analisi sulla struttura dell’impero USA, puntualizzando come Washington, alle prese con due guerre nel Medioriente ed in Asia centrale, faccia affidamento su Stati satelliti per il controllo e la repressione di movimenti antimperialisti. L’invasione etiope della Somalia (dicembre 2006), con il rovesciamento dell’Unione delle Corti islamiche e l’imposizione di un sedicente “governo di transizione” di “signori della guerra”, risponde a strategie geopolitiche di controllo di aree come quella del Corno d’Africa, a ridosso del Medioriente e di paesi a rischio come Sudan ed Eritrea, e caratterizzate dalla crescente influenza cinese (cfr Sudan). Non a caso Washington sta insediando in Africa un comando militare, allo scopo di rafforzare il controllo sulle forze armate africane, accelerare le disposizioni per reprimere i movimenti d’indipendenza o abbattere i regimi antistatunitensi ed aprire i cordoni della borsa verso oligarchie e generali africani già tentati dagli investimenti ed aiuti cinesi. Nel suo scritto Petras compie un’interessante ricostruzione della più recente storia somala. Dal 1991 (caduta del governo di Siad Barre) fino a metà del 2006 la Somalia è stata devastata da conflitti e faide fra “signori della guerra”. Nel mezzo, nei primi anni Novanta, l’invasione USA/ONU e l’occupazione temporanea di Mogadiscio, che ha visto massacrati più di 10mila civili somali ed uccisi e feriti poche dozzine di soldati USA/ONU.

 

  • USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. Perché Washington invase la Somalia? Secondo Petras, ciò rispondeva ad una strategia volta a fare della Somalia uno degli “Stati vassalli” statunitensi in Africa. Il presidente dei democratici Bill Clinton ne fu l’esecutore. A lui Petras riserba parole di fuoco. «Mentre molti commentatori attualmente e giustamente fanno riferimento a Bush come ad un ossessionato fomentatore guerrafondaio a causa delle sue guerre in Iraq e in Afghanistan, costoro dimenticano che il Presidente Clinton, a suo tempo, si era impegnato in diverse azioni belliche simultanee e sequenziali in Somalia, Iraq, Sudan e contro la Jugoslavia. Le azioni militari e gli embarghi di Clinton hanno ucciso e mutilato migliaia di somali, hanno prodotto 500.000 morti solo di bambini iracheni, e causato fra i civili nei Balcani migliaia di morti e feriti. Clinton ha ordinato la distruzione del più importante stabilimento farmaceutico del Sudan, che produceva vaccini indispensabili e farmaci essenziali sia per gli uomini che per il bestiame, procurando una drammatica carenza di questi vaccini e di trattamenti fondamentali». Ritornando in Somalia, Clinton invia nel 1994 migliaia di soldati USA per una “missione umanitaria”. «In realtà Washington interveniva per favorire quei signori della guerra compiacenti con gli USA contro gli altri, contro il parere dei comandanti Italiani delle truppe ONU in Somalia». L’esito fu disastroso per gli USA. «Due dozzine di militari USA rimanevano uccisi in un tentativo di assassinio mal congegnato, e i loro corpi mutilati venivano trascinati per le strade della capitale Somala da una folla inferocita. Washington inviava navi portaelicotteri, che bombardavano pesantemente le aree popolate di Mogadiscio, ammazzando e mutilando per rappresaglia migliaia di civili. Alla fine, gli USA furono costretti al ritiro delle loro forze armate, visto che l’opinione pubblica e del Congresso si era capovolta in modo schiacciante contro la piccola guerra caotica di Clinton. Anche le Nazioni Unite, che non avevano più bisogno di fornire una copertura all’intervento statunitense, si ritirarono». Questo per chi parla di “ruolo della pace” delle Nazioni Unite.

 

  • USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. È in questo contesto che negli anni Novanta «piccoli gruppi locali, i cui leaders più tardi davano luogo all’Unione delle Corti Islamiche (UCI), cominciarono ad organizzarsi contro i saccheggi dei signori della guerra (…) contrastando le fedeltà tribali e di clan; l’UCI cominciò a mettere fuori gioco i signori della guerra, dando un taglio ai pagamenti estorsivi imposti sui commerci e sulle famiglie. Nel giugno 2006, questa libera coalizione di preti islamici, giuristi, lavoratori, forze di sicurezza e commercianti cacciava dalla capitale Mogadiscio i più potenti signori della guerra». L’Unione delle Corti Islamiche guadagnava frattanto sempre più consensi. «Nella totale assenza di qualcosa che assomigliasse ad un governo, l’UCI cominciò a fornire sicurezza, il governo della legge e la protezione delle famiglie e delle proprietà contro i criminali predatori. Una rete estensiva di centri e programmi per l’assicurazione dello Stato sociale, cliniche sanitarie, mense gratuite per i poveri e scuole elementari venivano costituite per servire il grande numero di profughi, contadini sradicati dalle loro terre e i poveri delle città». È su questo scenario sullo sfondo che l’Unione delle Corti Islamiche riesce a scacciare i signori della guerra da Mogadiscio e dall’intera parte centro-meridionale del paese ed insediare un governo di fatto riconosciuto e ben accettato dalla stragrandissima maggioranza dei somali.

 

  • USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. A questo punto Washington reagisce, assicurando protezione all’attuale “Presidente” del “Governo Federale di Transizione” (TFG), Abdullahi Yusuf e preparando mercenari etiopi per un’invasione della Somalia su larga scala, per terra e per via aerea. Yusuf è un “signore della guerra” «profondamente coinvolto nella corruzione e in tutti i saccheggi illegali che hanno caratterizzato la Somalia dal 1991 fino al 2006. Per tutti gli anni Novanta, Yusuf è stato Presidente del sedicente stato autonomo separatista del Puntland». Con l’avanzata delle Corti, Yusuf fu costretto a rifugiarsi in una città di provincia sul confine con l’Etiopia, privo del sostegno anche da parte di molti clan di signori della guerra. Significativo a questo punto il ruolo dell’ONU. «Washington si assicurava una risoluzione dal Consiglio di Sicurezza che riconosceva al signore della guerra Yusuf, nella minuscola enclave di Baidoa, il governo legittimo. Questo avveniva malgrado il fatto che l’esistenza del TFG dipendesse dalla presenza di un contingente di diverse centinaia di mercenari etiopi finanziati dagli Stati Uniti». Entra poi in scena il dittatore etiope Meles Zenawi. La forza del suo regime, fondato sul gruppo etnico Tigrayan, meno del 10% della popolazione multietnica dell’Etiopia, è appesa al filo degli armamenti USA per le forze di polizia e per l’esercito, dei prestiti finanziari e dei consiglieri statunitensi. Grazie al sostegno di Washington, Meles ha potuto affrontare l’opposizione armata di movimenti di liberazione interni come quello degli Oromo, l’ostilità di settori dell’esercito che gli rimproverano la guerra con l’Eritrea ed il disprezzo della popolazione degli Amhara, influente nella capitale, che lo accusa di aver truccato le elezioni nel maggio 2005, fatto uccidere, nell’ottobre 2006, 200 studenti che protestavano, e aver imprigionato decine di migliaia di persone.

 

  • USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. Meles, privo di qualsiasi sostegno popolare, è diventato il vassallo degli USA più leale e servile nella regione. «Imitando in modo imbarazzante come un pappagallo la retorica “anti-terroristica” imperiale di Washington per la sua aggressione contro la Somalia, Meles ha inviato più di 15.000 soldati, centinaia di veicoli corazzati, dozzine di elicotteri ed aerei da guerra. Conclamando che stava impegnandosi nella “guerra contro il terrorismo”, Meles