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Tehran gela gli Usa: «Via le truppe occupanti, causa della violenza a Baghdad»

di Fausto Della Porta - 06/05/2007

 
ll vertice di Sharm el-Sheikh sull'Iraq si chiude con l'attacco iraniano agli Stati uniti. «Via le truppe occupanti, causa della violenza a Baghdad»: per il ministro degli esteri Mottaki non esistono le condizioni per dialogare con Bush

La stretta di mano tra il grande Satana americano e la teocrazia sciita impedita da una violinista in abiti succinti? L'altra sera il ministro degli esteri iraniano, Mottaki, ha abbandonato il posto al quale era stato assegnato - di fronte al suo omologo statunitense Condoleezza Rice, prima che quest'ultima si sedesse a tavola per una cena a margine della conferenza di Sharm el Sheikh sul futuro dell'Iraq.

Con la «fuga» Mottaki avrebbe voluto evitare di replicare la brutta figura fatta a Tehran dal presidente Ahmadinejad, bersagliato dai suoi oppositori per aver baciato la mano (coperta da un guanto) di una sua anziana ex insegnante. Ieri nella località turistica egiziana, dove era in corso la seconda e ultima giornata del vertice sull'Iraq, il portavoce del dipartimento di stato, Sean McCormack, ha trovato il modo d'ironizzare: «Non so di quale donna abbia avuto più paura, se di quella in abito rosso o del segretario di stato».

Sta di fatto che non c'è stata alcuna replica del disgelo con la Siria andato in onda il giorno precedente e Mottaki - mentre il ministro degli esteri iracheno, Hoshyar Zebari, annunciava trionfalmente un incontro tra gli ambasciatori di Washington e Tehran che è durato soltanto tre minuti - ha attaccato l'Amministrazione Bush e chiesto il ritiro delle truppe occupanti, segnalando che la repubblica islamica ha ancora troppi contenziosi aperti per poter avviare un dialogo ad alto livello con Washington.
«Gli Stati Uniti - ha protestato Mottaki - devono accettare le responsabilità derivanti dall'occupazione dell'Iraq e non accusare o puntare il dito contro altri in un tentativo irresponsabile di rifiutare le proprie responsabilità». Proprio ieri l'esercito Usa ha annunciato di aver smantellato a Baghdad una cellula di miliziani sciiti che avrebbe importato armi dall'Iran, comprese le micidiali bombe a carica cava che dall'inizio del conflitto hanno ucciso centinaia di soldati statunitensi esplodendo al passaggio dei loro blindati leggeri (ieri almeno cinque soldati sono rimasti uccisi, 3.357 dall'inizio del conflitto). Cosa più importante, per Mottaki «il governo degli Stati Uniti deve presentare il suo piano per il ritiro dall'Iraq per permettere il ritorno di pace e stabilità nel Paese». Mottaki ha poi affrontato la questione dell'attacco al consolato iraniano con l'arresto, da parte degli Usa, di quelli che Teheran difende come diplomatici iraniani. «Indubbiamente l'attacco al consolato iraniano a Erbil colpisce la sovranità dell'Iraq e disonora lo stesso popolo iracheno - ha dichiarato -. Allo stesso modo non dovrebbero esserci dubbi che questo attacco mette a dura prova gli sforzi del governo di Baghdad per incoraggiare i governi esteri a riprendere relazioni diplomatiche e alle richieste di supporto materiale e morale nel mondo».

Se la questione dei diplomatici rapiti, come quella sul programma nucleare iraniano (che Tehran assicura essere a fini esclusivamente civili) non verranno risolte in maniera soddisfacente per il regime degli ayatollah, Tehran non avrà alcun interesse a fare concessioni a Washington sullo scacchiere iracheno, dove può contare su un governo amico (i due principali partiti al potere, lo Sciri e il Dawa, furono fondati in Iran) e su una situazione militare disastrosa per le truppe occupanti.
È probabilmente questo che intendeva Mottaki quando ieri ha affermato che «c'è bisogno di tempo per risolvere i problemi: un meeting tra due ministri degli Esteri necessita di condizioni» precise e si deve trattare «di incontri sostanziali e non teatrali».
Di tutt'altro avviso l'Europa, che ha visto segnali molto incoraggianti nella due giorni di Sharm.
«L'Ue - recita la nota - si compiace della conferenza». Secondo la presidenza, «la comunità internazionale, e in particolare gli stati della regione, hanno la responsabilità di sostenere e promuovere il difficile processo di riconciliazione nazionale e di stabilizzazione in Iraq, e di prevenire qualsiasi interferenza esterna che possa minarlo». In questo senso, «l'Ue esprime la speranza che la conferenza dia il via a un processo di lungo termine per ristabilire la fiducia nella regione».
Alla fine della giornata di ieri, la seconda e ultima di questa due giorni, più politica rispetto a quella del giorno precedente, dedicata alla raccolta di fondi per la ricostruzione del paese, è stato lo stesso ministro degli esteri iracheno, Hoshiyar Zebari, ad ammettere che «ci sono molti sospetti, molta diffidenza, ma è nell'interesse del mio paese vedere una reale diminuzione della tensione».