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Mosca risponde agli USA scaldando la "Guerra fredda"

di Carlo Benedetti - 08/05/2007

 
 

La guerra è guerra e questo vale anche per quella “fredda”. E così Putin – mentre va sempre più sviluppando un “contenzioso” con gli Usa di Bush – manda in prima linea il suo delfino Serghiei Ivanov (vice primo ministro) il quale annuncia il prossimo “silenzio stampa” del Cremlino. Vuol dire che - dopo la dichiarazione del presidente russo (26 aprile) su una moratoria nel rispetto dei Trattati sulle Forze convenzionali in Europa (Cfe) - ora la Russia e il suo Stato Maggiore non forniranno più alla Nato informazioni su eventuali spostamenti delle truppe russe. E la spiegazione di questa decisione suona così: “I Trattati – dice l’autorevole esponente che sembra destinato a salire sul trono del vertice - avevano senso quando esisteva il Patto di Varsavia. Ma ora osserveremo la moratoria, almeno fino a quando non li ratificheranno”. Posizione dura e chiara. Ma è anche vero che la Nato (Bush in prima fila, ovviamente) vuole, prima di sottoscriverli, il ritiro dei soldati russi dalla Moldavia e dalla Georgia. Come risposta la Russia considera una provocazione la decisione degli Stati Uniti di dispiegare in Polonia e Repubblica Ceca parte del suo sistema antimissile. Siamo alla prova dei muscoli.

“I Trattati in questione – continua Ivanov - erano nati nel 1990, quando esistevano due campi a confronto (Patto di Varsavia/Nato) e la Russia aveva aderito alla decisione bilaterale fin dal 1992 e, in seguito, aveva rinunciato alla contrapposizione”. L’accenno è preciso e riguarda l’eliminazione dalla scena politico-militare di quel Patto di Varsavia che legava a Mosca i paesi dell’area “socialista”. Ma oggi – rileva l’esponente della cordata di Putin – c’è chi opera per mantenere in piedi il clima del “confronto” e della “contrapposizione”. E così se il Patto di Varsavia è già una cosa da antiquariato politico-militare lo “scudo spaziale americano” è, invece, di grande e terribile attualità.

Pronte, ovviamente, le risposte d’oltreoceano che ispirano gli uomini della Nato. L’organizzazione atlantica si mostra “preoccupata” per l'annuncio di Mosca relativo al congelamento del Trattato sulle Forze convenzionali che resta – come hanno sostenuto a Bruxelles gli ambasciatori dei 26 paesi membri della Nato - la pietra angolare della sicurezza in Europa.

Su tutto domina il “silenzio” del Cremlino. Perché da oggi la macchina militare russa finge di mettersi in sonno. Nessuna informazione preventiva e si tornerà, quindi, a quella cortina di ferro dove non filtreranno i rumori dei cingoli dei carri armati. Ma Bush non intende seguire le linee del Cremlino. E così annuncia nuovi piani per lo sviluppo del progetto di un sistema di difesa antimissile da installare in Europa. E questo nonostante che il Congresso Usa, controllato dai democratici, abbia compiuto un primo passo per tagliare parte dei fondi destinati allo “scudo spaziale”.

In proposito, il Sottosegretario di Stato per la sicurezza e la non proliferazione, John Rood, informa la Camera dei Rappresentanti che entro la fìne di maggio guiderà un team di esperti che visiteranno Polonia e Repubblica Ceca, per definire i piani per l'installazione di 10 missili intercettori e del sistema radar per rilevare missili nemici.

Ma nella strategia statunitense non c’è solo l’Europa. John Rood estende il campo all'Iran accusato di disporre di un missile di lunga gittata, in grado di colpire gli Stati Uniti e l'Europa. Agli osservatori diplomatici non resta che constatare che vi è una precisa escalation caratterizzata da chiari segni di nervosismo sia a Mosca che a Washington. Con immediate domande che – superato il filtro del linguaggio verbale – vengono avanti con l’obiettivo di scoprire nuovi passi e comportamenti. Tenendo sempre conto che questa nuova guerra fredda nasce – come avvenne per quella precedente – nel segno della lotta per l'egemonia in un mondo che, anche oggi, si va sempre più caratterizzando con serie fratture politico-territoriali. Le quali scandiscono nuovamente quella contrapposizione strategica di un tempo tra i due principali vincitori della seconda guerra mondiale. Tornano di moda – nel linguaggio delle diplomazie mondiali - le espressioni più radicali del maccartismo e dello stalinismo. E sembra proprio che il mondo, in pratica, torni a dividersi.

In questo contesto le riflessioni che si fanno a Mosca e a Washington (ovviamente negli ambienti più sensibili alla distensione) si riferiscono ai rapporti tra conquista militare e conquista politica e, quindi, tra esercito, Stato e società. Si constata (lo scrive nella capitale russa l’autorevole quotidiano Izvestija) che la sedimentazione di una complessa mitologia bellica a tutt'oggi non è del tutto sopita e che la spinta tecnologica è soprattutto determinata dalla corsa agli armamenti. E mentre si cercano risposte adeguate sul piano sociale, politico e teorico, hanno il sopravvento le voci “militari”.

Putin e Bush, in tal senso, parlano la stessa lingua. Pur se a prevalere è quella congenita arroganza americana che considera l’Europa il suo cortile di casa pur sapendo che oltre il cancello c’è una Russia che non dimentica di essere stata partecipe di una grande potenza: l’Urss, come è noto. E il ricordo cade, non a caso, in questo mese di maggio che per i russi ha un significato storico da non sottovalutare. Putin, ovviamente, ne approfitta.

C’è appunto il 9 maggio, che per i “sovietici” è il giorno della Vittoria sul nazismo. E’ il momento più importante e significativo per chi non dimentica le battaglie vittoriose che, attraverso l’Europa, portarono i soldati dell’Armata Rossa sino a Berlino. Il tempo, comunque, macina la Storia, ridimensionando uomini, avvenimenti e leggende. E così questa giornata dell’anniversario – che ai tempi dell’Urss era l’occasione per mettere in primo piano la potenza militare – ha già perso quel significato di orgogliosa prova di forza e di sfida.

Ma Putin, che si trova a dover gestire questo ultimo periodo della sua presidenza, cerca di fare leva nuovamente sulla potenza russa. Tocca le corde del nazionalismo sincero e sa di fare anche un piacere a quei nazionalisti-sciovinisti che lo applaudono quando fa sventolare i vessilli dell’armata vittoriosa e quando attacca quei dirigenti del Baltico che rinnegano il passato e quando mostra i muscoli contro gli indipendentisti ceceni. Oppure quando manda sulla Piazza Rossa i suoi marines… Un Putin duro va di moda. E tutto avviene perché stanno accadendo “fatti” che non erano stati messi nel conto.

C’è stata, tra l’altro, una paurosa sottovalutazione del contesto internazionale e, soprattutto, dell’atteggiamento dell’Ovest nei confronti della nuova Russia. Il Cremlino, in proposito, ricorda che con la fine della Guerra fredda si era verificato un arretramento del sistema bipolare e si era poi avviato un processo multipolare. Ma successivamente le cose sono andate in modo ben diverso.

Perché la Russia post-sovietica, ad esempio, non aveva messo nel conto la pericolosità dell’esistenza e del rafforzamento della Nato nel momento in cui le truppe del Patto di Varsavia (e quindi quelle di Mosca) rientravano nelle caserme avendo accuratamente distrutto missili, cannoni e cingolati di varia natura. Tutto è avvenuto con un’escalation attutita dai cambiamenti di sistema avvenuti all’Est in seguito al crollo del muro di Berlino. E così la Nato, creata (ricordiamolo) al tempo della Guerra Fredda come organizzazione regionale, ha esteso a poco a poco la sua influenza su altre regioni. Ha già dispiegato le sue forze armate anche in Afghanistan. E nessuno sa come la situazione vada ad evolversi.

Non ci si può che allarmare quando, per esempio, si vedono certe cancellerie - aiutate dai media - studiare l'ipotesi di un intervento armato in Iran ed in Siria, che sarebbe condotto dalla Nato in “mancanza” degli Stati Uniti. Naturalmente, tra queste discussioni e la concretizzazione dell'idea la distanza è grande. Alcuni dei membri della Nato probabilmente non vorranno percorrere questa strada. Ma non occorre stare in guardia per vedere che i nuovi membri della Nato - ed i paesi che vogliono ad ogni costo integrare questa alleanza - sono spesso pronti a pagare un prezzo incredibilmente elevato in cambio della buona disposizione degli Stati Uniti al loro riguardo.

L'alleanza Nord-atlantica, che non cessa di inglobare nuovi paesi, si è ora avvicinata alle frontiere di Mosca. Ciò non può mancare di inquietare un presidente come Putin che ha fatto dell’orgoglio nazionale da "grande russo" – specialmente in questi ultimi tempi – il suo cavallo di battaglia. Approfittando, tra l’altro, del fatto che l'espansione della Nato è corredata da una retorica antirussa così come da un’offensiva politica degli Stati Uniti nelle ex-repubbliche sovietiche. Mosca, pertanto, non può fare a meno di constatare che certi ambienti occidentali mal digeriscono il fatto che la Russia sta ritrovando un promettente e grande potenziale, ritornando nella sua posizione di vera potenza militare.

Non è questo ciò che mostra la reazione isterica che ha provocato, in Occidente, il fatto che la Russia stia vendendo, in modo risoluto, i suoi prodotti energetici a prezzo di mercato? In queste condizioni il Cremlino di Putin si vede sempre più impegnato a consolidare il suo potenziale militare strategico e tattico per imporsi come una delle principali forze per la stabilizzazione della situazione internazionale. L’agenda russa, in proposito, è già densa di strette relazioni, talvolta anche strategiche, con numerosi paesi dell'Asia, in modo particolare con la Cina e l'India. Con la volontà di intrattenere legami stretti con i paesi europei e relazioni di partnership reciprocamente vantaggiose anche con gli Stati Uniti.

Putin, in sintesi, sta adottando una linea che coniuga la ferma difesa degli interessi nazionali con la volontà di evitare ogni scontro diretto. Sa però di giocare grosso in questa sorta di roulette russa mondiale. L’Occidente – si dice a Mosca nei commenti di quotidiani come Kommersant e Novaja gazeta - dovrebbe riflettere sul ruolo e sulla posizione della Russia nel mondo di oggi.

Non di una Russia fittizia nella quale la politica interna degenererebbe in minaccia per i suoi vicini. Non di una Russia immaginaria che utilizzerebbe ai fini imperiali le consegne di prodotti energetici negli altri paesi, ma della Russia reale, che non ha intenzione di restare nella scia politica di nessuno. Una Russia – si ribadisce - che non accetta la divisione del mondo in funzione delle civiltà e delle religioni e che cerca di adoperare le sue possibilità per mettere fine al conflitto del Vicino Oriente.

Intanto il calendario della storia corre avanti. E non a caso Putin – pronto a scendere nel 2008 dal colle del Cremlino – vuole prepararsi un futuro da oligarca sciolto dai vincoli politici e sicuro di aver messo in sella un suo uomo. Quell’Ivanov (classe 1953) che, guarda caso, come il suo Presidente, ha soggiornato a lungo nei piani alti del Kgb.