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Recensioni su Bauman

di Federico Oliveri, Lucia Re; Ilario Belloni - 05/12/2005

Fonte: Jura Jentium

Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002

Z. Bauman, Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari 2001

Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000


È raro ormai trovare in Italia una libreria che non dedichi un'intera sezione del suo spazio alla globalizzazione. Se non proprio d'una parola-feticcio, cui ricorrere di volta in volta per evocare benefici, disagi e rischiose novità della trasformazione in corso, di certo si tratta d'una parola che si sta logorando rapidamente, tanto che qualcuno già si affretta a scriverne la genealogia o persino il necrologio. Con ogni probabilità, una volta pubblicato in Inghilterra (2000) e tradotto in Italia (2002), Modernità liquida di Zygmund Bauman è apparso proprio alla voce "globalizzazione". Eppure questo saggio è un riuscito esempio di come si possa scrivere una storia del presente articolata e coerente senza incorrere nella parola sospetta e nel retrogusto ambiguo che essa lascia dietro di sé.

Come sempre, non è solo una questione di parole. Bauman concepisce la sociologia come una critica posta al servizio di un interesse, quello per l'emancipazione, che nella "società degli individui" non può mai venir meno. È quest'idea che assimila il sociologo al discorso della modernità più che a quello della globalizzazione. L'alternativa tra i due discorsi non è formulata esplicitamente ma emerge già dalla struttura del saggio: le cinque categorie che danno il titolo alle sezioni gravitano intorno al problema dell'autonomia ricostruendo, nell'ordine, le minacce cui essa è attualmente esposta (Emancipazione e Individualità), le radici di tali minacce (Tempo/spazio e Lavoro) e le sue correnti forme sostitutive (Comunità). Secondo Bauman la modernità di una forma di vita associata risiede innanzitutto nel fatto che i singoli e la società intera devono poter mettere in discussione, se lo ritengono necessario, le regole del gioco entro cui vivono. Ciò è richiesto dal modo, tipicamente moderno, di intendere l'individualità come compito di "individualizzazione" e non come qualcosa di già dato: il discorso della modernità si costituisce per sostenere tale compito, decostruendo costantemente i vigenti regimi di potere e di verità in rapporto alle esigenze individuali e collettive di autonomia. La globalizzazione e il suo discorso tendono invece a credere che le leggi dell'attuale sistema-mondo non possano esser riviste e che ogni azione (sia essa pro-, no- o new-global) debba innanzitutto assumere quest'orizzonte come intrascendibile.

Modernità liquida mette in luce le insidie di una prospettiva tutta interna alla costituzione economico-politica del presente. Si dà il caso, infatti, che il nomadismo con cui il capitale mondiale ricatta attualmente la stanzialità degli stati-nazione e della forza lavoro si riproduca, assoggettando le libertà (il plurale è d'obbligo) che gli individui hanno conquistato nelle lotte dei decenni passati; e che la pratica della flessibilità e la retorica dell'individuo self-made costituiscano i due volti della medesima strategia, ossia che l'attuale abbattimento dei costi di organizzazione e controllo sia stato ottenuto facendo delle soggettività stesse, dei loro desideri di consumo e del loro lavoro immateriale la principale fonte di ricchezza.

Bauman non poteva coniare metafora migliore della liquidità per rendere palpabile il paradosso di una simile società, in cui la rigidità dell'ordine è il prodotto e il sedimento della libertà degli agenti umani. È nell'elemento sfuggente di un potere che conosce "l'arte del vivere nel labirinto" ma pensa bene di non condividerla, veloce nel disimpegnarsi a livello sovranazionale e abile nel sedurre a livello intrasoggettivo, che si disputa la partita moderna dell'autonomia. Il problema di fondo è che l'attuale "economia politica dell'incertezza" non si limita a rendere poco più che formale il diritto di autoaffermazione: essa mira a rendere da subito il disagio del singolo non cumulabile in una causa comune. In questo modo scongiura la costruzione di alternative a se stessa, spingendo l'autonomia sul binario morto del "fai da te".

Chiunque voglia mettere in discussione il nuovo (dis)ordine globale deve partire da quest'impulso a "risolvere biograficamente le contraddizioni sistemiche", denunciandone l'inevitabile esito fallimentare e facendo i conti con le sue cause più profonde. In uno dei capitoli cruciali del saggio, Bauman mostra come sulla scorta delle tecnologie della rete sia stato rivoluzionato il nesso tempo/spazio affermatosi dalla società neolitica in poi. Per certi gruppi e in certe zone del mondo, le distanze spaziali e la resistenza del tempo sono state annullate: in potenza ogni punto dello spazio è rapidamente e ugualmente raggiungibile da ogni altro. In un simile contesto è l'istantaneità, e non più la durata, a orientare le nostre esperienze facendo paradossalmente diminuire la nostra "presa sul presente". La moderna ricerca dell'identità tende così ad assumere le sembianze degradate dello shopping ansiogeno, dei talk-show senza pudori, dell'ossessione per la cura del corpo, del bisogno di comunità e sicurezza, della paura e della criminalizzazione delle diversità.

Come si vede le analisi di Bauman attingono ampiamente a un lessico post-fordista ma con varianti significative, specialmente a livello di conclusioni. Indubbiamente l'impostazione da critica della cultura propria del sociologo polacco finisce per enfatizzare soprattutto i lati più cupi di questo paradigma e lascia programmaticamente senza risposta la domanda più urgente: non tanto "che cosa si deve fare?" ma "chi potrà farlo?". È anche vero, però, che la sociologia non può sostituire la politica, può solo avvertire tutti gli individui che vogliano esser tali de facto e non solo de jure di non fare il gioco della modernità liquida.

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La solitudine del cittadino globale è il titolo dato all'edizione italiana dell'ultimo libro di Zygmunt Bauman, il cui titolo originale è In search of politics. I due titoli, italiano e inglese, colgono gli aspetti principali del lavoro di Bauman: In search of politics. rinvia ai temi classici della filosofia politica (il rapporto individuo - società, la tensione fra libertà e sicurezza e quella fra liberalismo e democrazia); il titolo italiano indica invece il contesto dell'analisi di Bauman. La sua è infatti una riflessione sulla politica nell'era post-moderna o tardomoderna, caratterizzata dai fenomeni di globalizzazione. Bauman riprende alcuni temi ormai classici della critica alla globalizzazione, dall'individuo flessibile di Sennet alla Risikogesellschaft di Beck, e fornisce un'analisi dettagliata delle società occidentali post-moderne. I temi della sua riflessione possono apparire eterogenei (la crescente preoccupazione per la criminalità, la fine dell'ideologia, il reddito minimo garantito...) ma si inseriscono tutti in una riflessione unitaria sul ruolo della politica e dell'autonomia dei soggetti nel mondo contemporaneo. La conseguenza più grave della globalizzazione e dell'avvento dell'economia post-fordista è secondo Bauman la scomparsa dello spazio pubblico: l'agorà è stata invasa dall'oikos. La funzione di traduzione svolta dall'agorà non è più assicurata da nessuno e le nostre società sono dominate dalla Unsicherheit. Insicurezza esistenziale, incertezza circa il proprio destino, sensazione che la propria persona si trovi costantemente in pericolo costituiscono la cornice nella quale gli individui trascorrono le loro vite, incapaci di organizzarle e di costruirsi un'identità. Di fronte a questo quadro, che assomiglia molto alle cupe previsioni del Tocqueville della seconda Democrazia, Bauman non si scoraggia, né propone anacronistici ritorni al passato. L'epoca delle repubbliche - nazioni si è definitivamente conclusa, ma non per questo si deve rinunciare alla dimensione repubblicana: è necessario ricostruire l'agorà, dare alle istituzioni una dimensione extraterritoriale, che le renda di nuovo in grado di funzionare. Bauman non pensa però alla semplice trasposizione a livello globale delle istituzioni democratiche e repubblicane, ma alla costruzione di qualcosa di nuovo. Egli non dà alcuna descrizione della nuova repubblica, indica però alcune direzioni da seguire: combattere le disuguaglianze fra settori sempre più ricchi e settori sempre più poveri della popolazione mondiale, svincolare il reddito dal lavoro per liberare gli individui dall'incertezza, richiamare dall'esilio l'universalismo e recuperare la funzione di traduzione che è la precondizione di ogni comunicazione, per imparare a vivere insieme nel mondo delle differenze, senza costruire ghetti. Più che di un nuovo paradigma teorico - sembra dire Bauman - abbiamo bisogno di nuovi strumenti di azione che ci liberino dalla "economia politica dell'incertezza", perché possiamo tornare a sederci nell'agorà.

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In questi ultimi anni notevole è stata la partecipazione e il contributo teorico di Zygmunt Bauman al dibattito sulla globalizzazione. Dopo aver analizzato accuratamente l'era post-moderna e le conseguenze della globalizzazione sugli individui (su cui si veda il volume Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari 1999), in questo volume Bauman si concentra, in particolare, sulla dimensione collettiva di tale processo: sugli attuali limiti e le difficoltà realizzative cui va incontro la richiesta di una comunità vivibile tra gli uomini; una richiesta da considerare tuttavia come un'esigenza e un bisogno fondamentali. Bauman vuole mostrarci l'avvenuta dissoluzione delle "vere" comunità (contadine, artigianali, di commercianti, ecc.) e il tormento e supplizio (alla maniera di Tantalo) di dover vivere attanagliati dall'insicurezza, anelando però sempre, come i discendenti di Adamo ed Eva, alla comunità ideale, sognata. In questa ricerca, tuttavia, è come se fossimo condannati a creare sempre dei surrogati della comunità. Nel momento in cui le comunità non sono più naturali (il "cerchio caldo" di cui parla Rosenberg o la "reciproca comprensione" dei membri di Tönnies), nel momento, cioè, in cui delle comunità "se ne parla", esse diventano artificiali. La comunicazione passa da "interna" ad "esterna" alla comunità; svanisce l'identicità, soprattutto con l'avvento dell'informatica; e a questo punto l'omogeneità andrà ricreata, ovvero ricercata ed estratta a forza. Si inventa, a tal scopo, la categoria della identità, che per Bauman è appunto un surrogato della comunità, in quanto divide e separa. Contrariamente alle comunità naturali, poi, questi surrogati non riescono a risolvere la dicotomia libertà/sicurezza, anzi la acuiscono. È proprio questo rapporto che l'a. intende indagare: se è vero che la comunità dà sicurezza, essa richiede un certo sacrificio della libertà. Bauman, invece, vorrebbe tentare di conciliare proprio libertà e sicurezza, nell'ambito di un ripensamento del concetto e del senso stesso di comunità.

L'individualismo moderno ci rende sempre più insicuri, proprio perché offre (e non a tutti) libertà in cambio di sicurezza. E la stessa insicurezza di cui soffre l'individuo nell'era della globalizzazione genera assenza di comunità. Bauman ripercorre le tappe fondamentali degli "sradicamenti" degli individui dalle comunità naturali e dei "reimpiantamenti" in comunità fittizie che li privarono in tutto e per tutto della libertà (dalla rivoluzione industriale ai "villaggi modello" e alla "fabbrica fordista", ovvero tutte le tecniche di ingegneria sociale). L'epoca attuale, poi, ha fatto il resto: all'insegna del disimpegno, della flessibilità e dell'outsourcing (anche nella gestione del potere) ha distrutto completamente una seppur precaria sicurezza e un sistema minimo di certezze. Non ci sono più, infatti, punti di orientamento che indichino un ambiente sociale "stabile", e avanza così la tendenza a non mettere le radici in nessun dove: una strana forma moderna di "cosmopolitismo" che nega a priori la comunità e che produce l'"élite globale", un fenomeno generato a seguito di quella che Reich chiama la "secessione dell'uomo affermato". In realtà, secondo Bauman, anche i nuovi cosmopoliti avvertono l'esigenza di "comunità", solo che, ovviamente, tendono a ricreare comunità flessibili e "a tempo", che si possano smontare facilmente e che facciano leva unicamente sui loro sogni e desideri. Sono, queste, ad esempio le moderne comunità estetiche, create dall'industria dello spettacolo e fondate sugli idoli, ovvero quelle che Bauman chiama "comunità-gruccia", sulle quali la gente appende insieme le proprie preoccupazioni altrimenti vissute individualmente. Mai, però, figureranno, in tutte queste forme comunitarie, delle responsabilità etiche e degli impegni a lungo termine, necessari invece per un ripensamento del "discorso comunitario". Lo stesso slogan moderno dei "diritti umani", ovvero il diritto al riconoscimento, viene criticato da Bauman se inteso solo ed esclusivamente come "trasgressione emancipatrice". Il pericolo è infatti quello del "settarismo": creare le differenze, scavare trincee, moltiplicare i confini al fine di costruire comunità blindate. Per l'a. occorre, invece, legare la domanda di riconoscimento a quella di redistribuzione, di giustizia sociale; solo così si potrà creare vera integrazione, in quanto è garantita l'uguaglianza sociale.

In questo ambito Bauman esamina la questione delle "minoranze etniche" e del "multiculturalismo", mettendo i "particolaristi" in guardia dal pericolo di un eccessivo conservatorismo ed esclusivismo, a fronte del richiamo (che fa sempre comodo) al vecchio principio del divide et impera fatto dai governanti e dagli stessi ricchi che da sempre ottengono profitti dagli scontri intercomunitari (sovente intrapresi dai poveri). Accanto a ciò si situa la ricerca sfrenata di un ambiente sociale sicuro e iperprotetto, e la comunità diventa lo strumento preferito di quanti credono che "identicità" significhi solo esclusione dell'altro in quanto diverso. La "comunità sicura" diventa perciò un "ghetto volontario". Tutto questo non fa altro che alimentare meccanismi di segregazione e di esclusione che si autoperpetuano e si autoalimentano. Lo stesso "multiculturalismo" sembra essere, agli occhi di Bauman, una soluzione-non soluzione a tutti questi problemi; una sorta di rassegnazione e indifferenza che ha colpito soprattutto le classi colte che si sforzano solo di ridefinire in continuazione le ineguaglianze esplicando così una forza essenzialmente conservatrice. Gli intellettuali moderni hanno scelto la strada del disimpegno e hanno rinunciato a coadiuvare i legislatori e a "illuminare la gente" nell'opera di costruzione di una 'società ordinata'. E accanto a tale disimpegno, Bauman denuncia l'eccessiva deregolamentazione normativa e il trionfo dei poteri dell'eccesso: l'immagine, creata dall'a., di tanti sciami di api è emblematica in tal senso. La società si è ormai "ritirata" e il riconoscimento del diritto alla differenza rischia di degenerare nel riconoscimento del diritto all'indifferenza. A fronte di tutto ciò, Bauman esorta a considerare il riconoscimento di una varietà culturale come l'inizio, e non come la fine, della questione, come "il punto di partenza di un lungo e forse tortuoso, ma alla fine proficuo, processo politico". In tale processo bisognerà mediare tra diritti comunitari e diritti individuali, garantendo però preliminarmente l'individuo/cittadino sia dalle pressioni comunitarie sia da quelle anticomunitarie. L'universalità della condizione di cittadino e, contestualmente, il carattere universale dell'umanità vengono posti da Bauman come prerequisiti fondamentali per una politica del riconoscimento significativa. Solo così le comunità potranno aprirsi e comunicare tra loro evitando l'isolamento totale; e solo così si potrà davvero cominciare a produrre sicurezza.

Bauman ha in tal modo cercato di conciliare libertà e sicurezza senza dover negare lo spirito e la voglia di comunità. Il tutto, anzi, è trasformato in una esigenza che traspare da ogni pagina del libro. I riferimenti storici, mitologici e uno stile di scrittura accattivante completano la buona riuscita di un saggio che ha cercato soprattutto di porsi al di sopra di posizioni radicali che non vengono negate ma solo riconciliate ad un livello più alto.