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Il libro e la rivista della settimana: M. Cochi, L’ultimo mondo. L'Africa

di Carlo Gambescia - 14/06/2007

Il libro e la rivista della settimana: M. Cochi, L’ultimo mondo. L'Africa, Edizioni Kappa 2006; "Imperi" (Se l'Africa ci dice addio), n.10 - 2007

Il pregio fondamentale del libro di Marco Cochi, L’ultimo mondo. L’Africa fra guerre tribali e saccheggio energetico, Edizioni Kappa, Roma 2006, pp. 180, euro 14,50 (http://www.edizionikappa.com/ - tel. (+39) 06273903) è quello di fornire in poche pagine, un quadro esauriente della situazione africana. E soprattutto senza pietismo. Come, del resto, notano nelle loro prefazioni Aldo Di Lello e Germano Dottori. Ma lasciamo la parola a Marco Cochi, giornalista professionista, esperto di cooperazione internazionale e docente presso la Libera Università San Pio V di Roma.
“Quando si parla di Africa, spesso si fa riferimento ad un luogo comune che la descrive come un continente in preda all’autodistruzione, pieno di gente di pelle scura sofferente e indifesa che abita un universo parallelo. In questo libro, che ha l’unico intento di essere una piccola guida per capire i problemi che affliggono il continente e sensibilizzare l’attenzione sui conflitti che l’hanno devastato, invece tratteremo la questione cominciando con una diversa impostazione. L’Africa ha bisogno del resto del mondo quanto il resto del mondo ha bisogno di lei. Da ciò, ne conviene che la principale difficoltà dell’Africa è entrare a far parte di un ordine economico mondiale costruito sul rispetto reciproco e non sullo sfruttamento, quanto, per troppo tempo, i suoi abitanti sono stati costretti a vivere in paesi la cui ragion d’essere non era il benessere dei loro cittadini ma il trasferimento di risorse all’estero. Come verrà spiegato nelle pagine che seguiranno, gran parte del continente africano sta cambiando senza l’aiuto del mondo ricco. Forse adesso possiamo anche spingerci ad affermare che l’ Africa non va ‘salvata’, ha solo bisogno che le sia concesso di esprimere il suo enorme potenziale” (p. 21).
Il che, ora, sarebbe possibile, perché rispetto al 1999, “la situazione è molto cambiata”. Oggi “è inequivocabile che (…) in Liberia, Sierra Leone, Repubblica democratica del Congo, Burundi, Angola, Mozabico è tornata la pace (p. 23). Mentre “gli unici conflitti ancora in corso sembrano essere quello del Sudan (…) e quello che si combatte in Uganda del nord” (p. 24), Di qui, a parere dell’autore, la possibilità, una volta domati, anche questi ultimi conflitti, dell’apertura di un periodo di pace e di crescita economica. Una nuova fase che però non potrà non fondarsi su tre fattori: a) sviluppo economico, secondo le esigenze locali; b) aiuti esterni, ma privi di condizionamenti politici ed economici; c) espansione della pratica democratica.
Per farla breve: la vera questione è di non ricadere nel ciclo dei conflitti politici. Infatti, come osserva Cochi, “gli studi dimostrano che le guerre civili hanno maggiori probabilità di scoppiare in paese che hanno pessimi regimi politici, economie stagnanti e ingenti quantità di minerali preziosi: la tirannia offre al popolo validi motivi per insorgere, la povertà rende il servizio sotto le armi un’allettante prospettiva di lavoro e la ricchezza che i minerali assicurano rende remunerativo il potere per chi lo detiene”. Secondo le Nazioni Unite “un paese che esce da un conflitto è destinato a ricadervi entro cinque anni, se non viene correttamente e attivamente assistito” (p. 26). Per questa ragione, l’Occidente e l’Europa (in particolare) dovrebbero fornire aiuti, vincolandoli, come dire, al “tasso di democraticità” dei paesi africani ai quali sono diretti. Ricetta molto difficile da applicare, anche per lo stesso Cochi, vista la natura, spesso aleatoria, del concetto di democrazia, la cui interpretazione è subordinata alle convenienze politiche del momento… Ma su questo punto l’autore non cede, tentando così di coniugare volontarismo (e volontariato) e realismo politico: una preziosa miscela tra psicologia e politica, dalla quale, a suo avviso, potrà scaturire la salvezza dell’Africa. A questo proposito va ricordato il post scriptum di Matteo Guidoni (pp. 171-175), volontario dell’Associazione perugina Amici del Malawi, che descrive in modo toccante la sua esperienza, indicando un modello psicosociale di intervento, basato sull’ascolto e il rispetto dell’altro. E dunque non solo politico. Che l'autore di questa recensione, da sociologo, non può non apprezzare.
Insomma, un libro da non perdere. Tra l’altro, Cochi dedica pagine interessantissime ai “mali endemici dell’Africa” (pp. 29-51), al “Conflitto nel Darfur (pp. 65-87); all’espansionismo cinese, che invece non va troppo per il sottile, sul tasso di democraticità di cui sopra (pp. 134-152); sulla “Sharia in Somalia” (pp. 153-169). Correda il tutto, un’ essenziale ma aggiornata bibliografia (pp. 177-179).
Sempre in argomento, si segnala l’uscita dell’ultimo fascicolo di “Imperi” , n. 10, Anno 4°, 2007 (Nuove Idee - tel. 06/45468600 - fax 06/39738771), rivista di geopolitica diretta da Aldo Di Lello, con un ricchissimo dossier, da leggere tutto d’un fiato, intitolato Se l’Africa ci dice addio (pp. 11-128), con articoli di Alfredo Mantica, Marco Cochi, Giovanni Armillotta, Antonio Pannullo, Marco Gaudesi, Eleonora Venturi, Jean-Léonard Touadi, Federica Frangi, Andrea Marcigliano, Francesco Tajani, Gabriele Natalizia, Giovanna Sfracasso, Raffaele Cazzola Hofmann e altri.