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Riflessioni: appunti sul colore

di Lidia Sella - 12/07/2007

 


Una vita al buio, una vita cieca come una lunga notte scura, ove non sia possibile distinguere né volti, né paesaggi, né amori; oppure un mondo tutto in bianco e nero, impigliato senza scampo in un’eterna bicromia. Difficile immaginare simili scenari per un cervello, come quello umano, abituato a cogliere i colori in sette milioni di sfumature differenti. Benché poi - nel vocabolario corrente - le tonalità cromatiche vengano definite al massimo con una trentina di termini. Una ricerca condotta su ben 98 lingue diverse, ha dimostrato che non risultano essere più di undici, in effetti, i colori fondamentali per i quali sono stati coniati nomi specifici. Il colore, tuttavia, può comparire nei vocaboli anche in maniera mediata, celandosi dietro la maschera erudita di una radice etimologica: la parola “malinconia”, ad esempio, in greco significa “umor nero”.
Territorio linguistico a parte, il colore ha lasciato tracce del suo passaggio praticamente ovunque. In ragione del suo elevato potere di comunicazione, ha assunto precise simbologie in ambito sia politico e militare che morale e religioso. Ha attirato l’interesse degli alchimisti, influenzato il corso del pensiero esoterico, ispirato il linguaggio dei fiori e delle pietre preziose.
Protagonista indiscusso sulla scena della moda, dell’arredamento, e ora anche della pubblicità, è capace di pilotare gli amori, le simpatie, gli stati d’animo e persino gli acquisti. Con la sua energia, è in grado di curare corpo e psiche e, quando entra nei nostri sogni, offre un appiglio in più per orientarsi nei meandri dell’interpretazione onirica.
Fin dai tempi di Pitagora, scienziati e filosofi si sono accaniti nel tentativo di spiegare il colore, illuminati talvolta dalle geniali intuizioni dell’arte. L’iter plurimillenario percorso dall’umanità per svelare il mistero del colore, ha appassionato anche Goethe, che ha affrontato tale argomento ne “La storia del colore”, testo pubblicato per la prima volta in Italia, dalla Luni editrice.
Ma è più che altro nella pittura che il colore ha potuto dare il meglio di sé, realizzando appieno la sua innata inclinazione a trasmettere emozioni. Il tragitto in cui si è cimentato è stato tutto entusiasmante, ciononostante, noi ci soffermeremo solo su alcune tappe principali.
Con Tiziano e la pittura veneziana del ‘500, il colore si è imposto con una tale enfasi e un tale pathos da finire quasi per prevalere sul segno. In Rembrandt, il colore viene bruciato dal fuoco interiore e si trasforma in una luce crepitante, che contrasta con la densità dell’ombra. Turner ha tratteggiato vedute di pura dissolvenza, in cui la forma sembra tramutarsi in colore, e la luce si carica d’intensità visionaria.
Con gli impressionisti, le immagini vengono definite esclusivamente dalle pennellate di colore, in una luminosità atmosferica asaltata dal dipingere “en plain air”. Per i futuristi, la pittura doveva essere un’esplosione di colore e Carrà ha addirittura teorizzato la possibilità di udire i colori: “I rossi, roooosssi, rooooosssissssimi che griiiiiiiidano; i verdi, veeeeeeeeeerdiiiiiiiiiisssssssssssssimi che striiiiidono”.
Cezanne ha sostenuto che: “Esiste una logica colorata e il pittore non deve obbedire che a lei”. Van Gogh, famoso soprattutto per i suoi gialli dalla vitalità prorompente, in una lettera al fratello Theo, così si confida: “Ho cercato di esprimere col rosso e il verde le terribili passioni umane”. Gli espressionisti – facendo ricorso a colori accesi e vivissimi – hanno dato voce alle più tormentate esperienze dell’io. Matisse ha affermato che: “Un papavero può essere grigio, una foglia nera, i verdi non sono sempre erba, né i blu cielo”. Kandinsky ha rilevato come, nei rapporti dinamici tra i colori, si trovino racchiuse le tensioni spirituali che regolano l’universo.
In Picasso, al monocromatismo del blu, più malinconico, è seguito il periodo del rosa, meno cupo. Chagal, apriva le finestre della sua camera, e si vedeva entrare “l’aria color blu…”.
Il colore, però, è penetrato anche in letteratura e nella poesia, e si è lasciato alle spalle una scia variopinta, che proveremo a ricostruire con l’aiuto di qualche piccolo flash, rinunciando dunque scientemente a qualunque pretesa di riuscire esaustivi o imparziali. Detto ciò, partiamo dai poemi omerici, dove l’azzurro è del tutto assente, mentre la tinta porpora vi si risalta in abbondanza.
Quanto a Dante, per descrivere le varietà cromatiche, si è spesso avvalso di metonimie e, nel Purgatorio, già parlava dei sette colori dell’arcobaleno. Rabelais, nel “Gargantua”, fa scattare inatteso il gong ipnotico del bianco. Schiller, nei suoi versi, regala al colore le sembianze delle “sei sorelle” eternamente giovani che, amando la magia della vita, fuggono dalla casa dei morti. “Il rosso e il nero” nel noto romanzo di Stendhal, configurano l’antitesi tra vocazione clericale e destino guerresco. Melville, in “Moby Dick”, ravvisa nel bianco “un incolore ateismo di tutti i colori, che fa rabbrividire”. Rimbaud, nella poesia delle “Vocali”, si trastulla col ritmo istintivo dei colori: “A nera, E bianca, I rossa, O blu, U verde”. Ne “La nube purpurea” di Shiel, il colore uccide e rigenera, in un gioco enigmatico e rapinoso, sottilmente sospeso fra delirio e metafora.
Gide, ne “La sinfonia pastorale”, per spiegare il colore a Gertrude – priva della vista sin dalla nascita – ricorre allo stratagemma dell’analogia fra le sfumature cromatiche e le sonorità emesse dagli strumenti musicali. Il colore che, per D’Annunzio, è “lo sforzo della materia per divenir luce”, dilaga – immaginifico e sensuale – in tutta la sua opera, persino nel “Notturno”, da lui vergato a occhi bendati. “Viola” è una poesia di Papini e inizia così: “Viola vestita di limpido giallo…”. Kafka, ne “Il Processo”, insiste sui toni grigi, lividi e scialbi, come per sottolineare l’incubo burocratico e l’anonimato esistenziale cui il protagonista è condannato.
Il colore sembra colare dai paesaggi di Pavese e le sue parole hanno il dono di creare la visione della luce, come accade ne “La luna e i falò”. “Autobiografia del blu di Prussica”, è un’opera postuma di Flaiano, ma il titolo l’aveva escogitato lui, poiché in quel colore aveva intravisto un miscuglio di “dissoluzione morale e intellettuale”. In “Nero su nero”, Sciascia ci ha offerto “la nera scrittura sulla nera pagina della realtà”. Calvino, nelle “Lezioni americane”, mette in guardia l’umanità dal pericolo di perdere quella facoltà fondamentale che è “il potere di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca…”.