Parola di un senza famiglia
di Stenio Solinas - 31/07/2007
M
i sono sposato tardi, sonorimasto vedovo presto,
non ho figli, avevo un fratello...
L’ultimo legame familiare
diretto, quello materno, la vita, ovvero
la morte, l’ha sciolto qualche anno
fa e da allora ho la sensazione di
essere l’avanguardia di me stesso, il
deserto alle spalle, il nulla di fronte.
Si è soli per scelta...
Per quello che ricordo, sono sempre
stato un solitario e credo ci siano
caratteri per i quali la solitudine non
è una condizione o una punizione,
ma una vocazione. Naturalmente, ho
degli amici, una vita sentimentale,
dei parenti, acquisiti e non, ma il
quadro d’insieme non cambia e
rispetto alla società costituita la definizione
che più mi appartiene è in
fondo quella di asociale. Non ho nulla
contro la famiglia, ne riconosco
l’importanza e, pur non nascondendomi
le difficoltà che attraversa, non
me ne auguro la distruzione.
Che cos’è la famiglia
Come tutte le istituzioni umane è
riformabile, come tutte le cose umane
è perfettibile eppure imperfetta.
Egoisticamente la trovo necessaria
perché consente a quelli come me di
farne a meno...
Il più abusato e il più celebre dei gridi
letterari contro di lei è il “Famiglie,
vi odio” di André Gide, ma
anche il “Nido di vipere” dell’omonimo
romanzo di François Mauriac
ha avuto il suo momento di gloria.
Nel Novecento romanzieri, poeti e
filosofi si misero d’impegno a picconare
un’istituzione che era sì, in fondo,
vecchia quasi quanto il genere
umano, ma che solo con il XIX secolo
borghese era divenuta quel qualcosa
che ancora adesso ci portiamo dietro:
il vincolo di un’unione, l’educazione
dei figli, l’ereditarietà dei patrimoni,
il rispetto dei coniugi, il prestigio
sociale, il decoro domestico.
Senza andare troppo lontano nel tempo,
ancora nell’Ancien Régime che la
Rivoluzione francese spazzerà via, la
famiglia era qualcosa di radicalmente
diverso, un unico signore
e padrone, un patrimonio da
conservare e non da distribuire,
i figli come merce
di scambio o come
strumento di
miglioramento
sociale...
È l’entrata
in scena
della
borghesia,
della modernità e della democrazia
a segnare lo spartiacque fra il
mondo di prima e quello di dopo, fra
la famiglia com’era e la famiglia
come sarà.... Al giro di boa dei due
secoli, l’istituzione è uno di quei
cadaveri in buona salute di cui non si
può fare a meno. È venuta a mancare
l’idea, come dire, della sua eternità
e/o unicità: i genitori possono divorziare,
si possono risposare e avere
figli di primo e di secondo letto, i
figli li possono contestare, restare e/o
andarsene, e quella che era una volta
l’indiscussa autorità paterna sembra
un racconto da età dell’oro o da età
del ferro, a seconda se la si rimpianga
o la si compianga...
E poi la confusione
Si può essere una famiglia di fatto,
non registrata formalmente in quanto
tale, e nella confusione dei generi
può anche capitare che lui e lei
abbiano lo stesso sesso... Quanto alle
conquiste della scienza, la procreazione
artificiale permette figli “per
corrispondenza”...
Sempre e comunque in una logica
familiare.
Famiglia all’italiana
In Italia siamo più familisti che in
altri Paesi europei. Le ragioni sono
molteplici, ma quella che si porta
dietro tutte le altre è la convinzione
che lì dove non c’è il senso dello Stato,
con le sue istituzioni e le sue leggi,
occorre una forma di organizzazione
sociale privata in grado di
fronteggiare la minaccia della vita
pubblica. È per questo che abbiamo
sempre un parente in grado di risolvere
i nostri problemi, è per questo
che consideriamo la raccomandazione
uno strumento lecito di promozione
sociale. Siamo sempre padri di,
figli di e fratelli di e, in fondo, mandiamo
avanti la nostra famiglia come
fosse un’impresa...
Tra le due guerre
Fino ancora a mezzo secolo fa, era
una famiglia-impresa numerosa. La
generazione di quelli nati fra le due
guerre aveva un numero di fratelli
imponente, non meno di tre e un
massimo affidato alla provvidenza,
alla gagliardia del padre-stallone, alla
pazienza e alla salute della madrefattrice.
I figli unici erano considerati
un dramma intimo, averne almeno
due l’obiettivo minimo. Nel giro di
cinquant’anni, il passaggio da un
mondo rurale a uno industriale e
post-industriale ha spazzato via quell’immagine
e quella realtà, ma non
per questo ha eliminato il familismo.
Ridotto nei numeri, lo ha in un certo
qual modo radicalizzato.
Ora il mononucleare
Se prima era un familismo tribale, in
grado di stendere le sue radici, adesso
abbiamo un familismo mononucleare
in cui tutti fanno Stato a sé, ci
si chiude, si recinta e si pattuglia il
proprio piccolo campo di appartenenza.
Le istituzioni rimangono rigorosamente
fuori, il vivere civile si fa
sempre più accidentato.
L’odio di Gide e il nido di vipere di
Mauriac letterariamente rendono
bene l’idea, ma è nel loro intreccio
con “la roba” di verghiana memoria
che l’istituto della famiglia assurge a
una sua tragica grandezza. C’è sempre
qualche figlio che si sente
defraudato, c’è sempre qualche fratello
o qualche sorella che si ritengono
in credito, c’è sempre qualche
patrimonio contestato, sperperato,
agognato.
In un brutto film di Mario Monicelli,
che di bello aveva tuttavia il titolo,
“Parenti serpenti”, per non correre il
rischio di ritrovarsi in casa i vecchi
genitori, lui arteriosclerotico, lei
malandata in salute, figli, generi e
cognate li fanno saltare in aria.
Gay è bello?
L’idea delle famiglie
omosessuali fa capire
l’importanza della
famiglia in sé e
la borghesizzazione
di una
preferenza
sessuale
che un
tempo
era un vizio, una diversità, una
colpa o una sfida. Nel mimare l’eterosessualità
si va alla ricerca di una
moralizzazione e, in fondo, di un’accettazione.
Nessuno si vuole sentire
unico, l’unicità consiste nell’essere
come gli altri, come tutti.
Modi di dire
Si dice di un amico che è “come un
fratello”, si può volere al bambino di
un altro “bene come a un figlio”... È
molto di più di semplici
formule verbali: è
una sorta di cartina di
tornasole che spiega
l’istituzione familiare
meglio dello stesso
diritto di famiglia, ne
indica l’artificio nel
momento stesso in cui
la codifica.
La consanguineità è un
accidente trasformato
in valore. Se tu sei mio
fratello non significa
che andremo necessariamente
d’accordo,
che ci vorremo bene,
che ci aiuteremo. Il
mettere al mondo un
figlio non ti mette al
riparo dal trattarlo male
o dall’essere trattato
male, dal non volergli
bene e dall’essere
ricambiato allo stesso
modo. Ma, per sussistere,
la famiglia ha
bisogno di negare l’evidenza,
di non ammetterla,
ovvero di considerarla, se è il
caso, un’eccezione o una devianza.
Se non fosse così, verrebbe minata
già alle fondamenta, sarebbe il luogo
deputato dell’arbitrio, un territorio
senza regole.
È anche per questo che così a lungo
ha retto l’idea della indissolubilità
del matrimonio, ed è anche per questo
che il suo venir meno ha aperto le
porte non al dissolvimento della
famiglia, ma alla sua evoluzioneinvoluzione,
a una modifica di cui
non conosciamo ancora il risultato
finale, se un risultato finale ci sarà e
non un continuo
work in progress,una sorta di eterno “lavori in corso”...
Work in progress
L’illogicità che ne era alla base non
ha bisogno di essere chiarita, tanto è
evidente, e non è un caso che essa si
legasse alla sacralità del legame: era
un atto di fede, un credo
quiaabsurdum
, ma aveva il suo sensonell’essere funzionale a un qualcosa
che aveva la sua ragion d’essere nella
durata, nella costruzione, nella
trasmissione.
Un tempo si metteva su famiglia
relativamente giovani, oggi non è più
così e anche questo è un segno dei
tempi. Paradossalmente, quello che
ieri era una sorta di privilegio e di
scelta delle classi cosiddette alte,
adesso, casomai, è un fenomeno che
riguarda di più i ceti mediobassi, la
cosidddetta “socialità”, e anche questo
è significativo.
Ostacolo o aiuto?
È avvenuto per la famiglia quello che
è successo a certe professioni, una
volta considerate importanti e poi
decadute per status, ruolo, potere
economico. I professori hanno ceduto
il posto alle professoresse, non
perché il sesso femminile sia più portato
all’insegnamento, ma perché
l’insegnamento non è più considerato
un campo d’azione professionalmente
interessante... Per certi versi avviene
così anche nel giornalismo, in
molte delle cosiddette professioni
liberali, nel pubblico impiego. Allo
stesso modo, in quella che dovrebbe
essere la classe dirigente, la famiglia
è sentita più come un ostacolo che
come un aiuto.
Un corollario sociale
Tranne le doverose eccezioni che
confermano la regola, arriva dopo il
successo nella professione, ne è il
corollario sociale e il retaggio di un
tempo passato, mentre nella realtà
sociale intermedia è ancora vissuto
come un elemento di affermazione,
di scalata. In pratica, è un fenomeno
imitativo di una condizione che nel
frattempo si è modificata.
La società complessa
Il discorso può apparire confuso, ma
non è per colpa nostra: è che le classi
sociali non esistono più e con esse
la semplicità degli esempi di un tempo.
Non c’è più l’operaio che vorrebbe
essere il piccolo borghese,
questi che aspira a far parte della
borghesia, la borghesia che anela a
farsi aristocrazia... C’è un gigantesco
ceto medio, che è un’altra cosa,
radicalmente e irrimediabilmente. In
esso, certo, esitono ancora delle differenze,
ma di altro genere: non
sono più il prodotto di una società,
di un’educazione, di una tradizione,
ma sono attinenti alla pura e semplice
sfera dell’economia.
Regina economia
È anche per questo che la famiglia
vacilla: essendo, in fondo, una creazione
della borghesia, non ha più la
classe giusta per farla stare bene ritta
in piedi. Digressioni, appunti, provocazioni...
Del resto, visto come questo
articolo è cominciato, non poteva
essere altrimenti.
Non mi è mai piaciuto Gide, ho sempre
trovato il cattolicesimo di Mauriac
ambiguo e, se posso usare un
termine forte, ripugnante. Più semplicemente,
sono un “senza famiglia”.
Mi sono reso conto che è così
per scelta, non sono così stupido da
non poter pensare che sia anche frutto
di una necessità.