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Il flop del Doha Round

di Marzio Paolo Rotondò - 18/12/2005

Fonte: Rinascita




Quarto giorno di vertice ed ancora nulla di consistente è stato fatto. È questo il ritornello che giorno dopo giorno assilla i Paesi partecipanti ai lavori dell’assemblea ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Per l’attuale Doha Round di Hong Kong si prospetta sempre più probabilmente un nulla di fatto, tanto che lo sgomento e la delusione fra i partecipanti iniziano ad essere palesati. I più delusi i Paesi poveri.
Per andare in contro alle speranze di Paesi sempre più scettici sull’utilità di questo vertice e di conseguenza verso il commercio globale, gli Stati Uniti hanno deciso di intraprendere un piccolo passo avanti. Molto piccolo. Anzi più che un passo, si è appena voluto alzare il tallone da terra.
Ciò che la delegazione a stelle e strisce ha deciso di concedere consiste nella cancellazione dei dazi che gravano sulle importazioni di cotone dai Paesi dell’Africa occidentale. Lo ha annunciato in una conferenza stampa Rob Portman, il rappresentante del Commercio degli Stati Uniti e capo della delegazione nordamericana in occasione del Doha Round. Egli stesso ha esortato gli altri Paesi importatori di cotone, tra cui Cina e India, a prendere anch’essi in considerazione una simile ipotesi. Ma per i Paesi che andrebbero ad usufruire di questa concessione, non si tratta di un cambiamento significativo. Il gruppo degli Stati africani che comprende Mali, Burkina Faso, Benin, Senegal e Chad, e rappresentato da Fracois Traore, il presidente dei produttori africani di cotone, ha addirittura respinto l’offerta statunitense. Secondo Traore, per fare reali passi avanti verso un commercio più equo e solidale gli Stati Uniti devono eliminare la politica di sussidi alle esportazioni e non le quote alle importazioni, quasi ininfluente per risolvere i problemi africani nel settore. La richiesta avanzata dagli Stati in questione consiste sulla riduzione dei sussidi all’export nell’ordine dell’80% entro la fine del 2006. Una richiesta che crea un baratro se confrontata a quella Usa.
A ragion del vero, gli Stati Uniti stanziano più di 4 miliardi di dollari l’anno per circa 25.000 produttori di cotone cotone, senza dimenticare che attualmente esistono anche i dazi doganali che proteggono ulteriormente il settore. Per renderci conto del danno che questo meccanismo provoca ai Paesi poveri esportatori di cotone, pensiamo che a fronte dei 4 miliardi di aiuti stanziati dagli Stati Uniti, il reddito complessivo di circa 300 milioni di africani non arriva nemmeno al miliardo. Per questo i Paesi africani si sono detti molto delusi sulle misere concessioni nordamericane. Lo sgomento è stato tale che i rappresentanti degli Stati in questione hanno riferito che “è inutile a questo punto che gli Stati Africani continuino ad aderire all’Omc”. Ed in effetti, a questo punto, ne avrebbero poco da rimettere e molto da guadagnare.
Accanto alle discussioni con i Paesi poveri, il vertice va ancora più a rilento.
Accantonato l’ambizioso piano di arrivare a un accordo sui dazi, i delegati giunti a Hong Kong speravano che si potesse risolvere per lo meno la questione del sussidi alle esportazioni su cui la Ue si è detta in linea di principio disponibile a trattare. I rappresentanti di Bruxelles hanno però escluso “mosse unilaterali” rigettando la richiesta Usa di fissare una ‘deadline’ per la cancellazione dei sussidi all’agricoltura. L’Ue in particolare punta il dito sui programmi d’aiuti in favore dei Paesi del Terzo Mondo varati da Usa e Australia che favorirebbero i ‘farmer’ locali alla stregua di quanto fa Bruxelles attraverso i sussidi. Un’altra accusa è quella di evitare il confronto sulla questione, spostando le attenzioni dei media sulla politica agricola della Ue.
Da parte degli agricoltori europei ed italiani non vengono risparmiate le critiche sullo svolgimento delle trattative. La Cia, la Confederazione italiana agricoltori, ha affermato che “l’agricoltura non deve essere assolutamente merce di scambio a favore dell’industria e dei servizi. Da parte dell’Unione europea non può esserci alcun cedimento. La posizione negoziale deve essere assolutamente ferma” ha ribadito il presidente della Confederazione Giuseppe Politi. “Il dossier agricolo deve essere discusso nella sua interezza. Il mandato negoziale dell’Ue è preciso e non possono verificarsi frammentazioni o scollamenti. Gli agricoltori italiani, che già vivono una crisi strutturale preoccupante, non possono essere penalizzati ulteriormente”.
Negli incontri con i rappresentanti del governo italiano, il presidente della Cia ha sottolineato che dalla trattativa sull’agricoltura non deve essere separato il problema dei sussidi all’export. “Il negoziato - ha detto - deve essere globale. Bisogna battersi con fermezza per difendere la nostra agricoltura e quella europea. È quindi indispensabile che l’accesso e le regole del mercato, la tutela delle produzioni tipiche a denominazione d’origine, le restituzioni all’export e gli aiuti interni vengano affrontati congiuntamente. Altrimenti, si rischia di provocare nuovi e gravi problemi, accentuando gli squilibri a danno dei produttori agricoli”. D’altronde la tattica statunitense è ormai nota: far mettere d’accordo gli altri Paesi di fronte al tavolo delle trattative ma non concedere nulla, o poco.
Le trattative in corso ad Hong Kong si incagliano sempre di più. Possiamo definire questo vertice come il vertice delle tante polemiche e dei pochi fatti concreti. Lo stesso rappresentante del Commercio statunitense ha ammesso già da adesso il flop del Doha Round.“Se non riusciamo ad andare avanti come avevano sperato, ho paura che non ce la faremo neppure nei prossimi giorni” ha affermato Rob Portman, il rappresentante del Commercio degli Stati Uniti e capo della delegazione nordamericana ad Hong Kong. “Ritengo fermamente che dovremo fissare una data per incontrarci ancora prima di concludere questo vertice”, ha affermato Portman.
Accordo ormai saltato quindi. Ora tocca solo decidere in questi ultimi giorni dove e quando organizzare un altro vertice. Se si rimandasse a data futura sarebbe la quarta vola consecutiva. Una duro colpo per la credibilità dei lavori dell’istituzione che regola i commercio globale in modo discutibile per molti, che si trova ormai a dover lottare contro la crescente sfiducia degli Stati membri.