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Arroganza imperiale per nuove carneficine

di Roberto Zavaglia - 20/12/2005

Fonte: lineaquotidiano.it

 

Gli occidentali dovrebbero sforzarsi di comprendere la mentalità, la cultura e la memoria storica degli altri da sé

Israele dispone di bombe atomiche per attuare una ulteriore, terribile ritorsione contro l’Iran


Bisogna evitare una
nuova Monaco, proclama
il “Foglio” e
con esso tutti i rappresentanti
dell’oltranzismo occidentalista,
riferendosi alle dichiarazioni
del presidente iraniano
Ahmadinejad sulla “leggenda”
dell’Olocausto e contro l’esistenza
dello Stato di Israele. Il
tentativo di Neville Chamberlain,
durante i colloqui svoltisi
nella città bavarese, di salvare
la pace, rinunciando a una
testarda difesa dello status quo
contro le pretese di Hitler,
però, non è, di per sé, sinonimo
di codarda arrendevolezza.
Lasciando perdere la storia,
cosa significa, in concreto, la
rinuncia alle trattative diplomatiche
con Teheran per adottare
una linea di intransigenza?
Quando la politica, in un
contenzioso internazionale,
abbandona il campo, sono le
armi a prenderne il posto. Si
auspica, dunque, per il prossimo
anno, un nuovo conflitto
contro l’Iran e, magari, anche
uno contro la Siria?
La commissione internazionale
guidata dal giudice tedesco
Detlev Mehlis, che indaga sull’assassinio
dell’ex premier
libanese Rafic Hariri, punta il
dito contro le alte sfere di
Damasco. I suoi metodi investigativi
suscitano diverse perplessità
su cui la stampa occidentale,
ovviamente, tace.
Contemporaneamente, gli statunitensi
denunciano presunti
appoggi del regime di Bachar
Al-Assad alla guerriglia irachena,
mentre le loro truppe
spesso sconfinano in Siria.
È possibile che, nonostante le
difficoltà in Iraq, Washington
pensi di potere sbarazzarsi
facilmente della Siria, la cui
dirigenza attraversa una forte
crisi di credibilità all’interno
del Paese. L’Iran, però, sarebbe
un boccone ben altrimenti
indigesto. Le parole di Ahmadinejad
non paiono, per il
momento, sufficienti a convincere
gli Usa a imbarcarsi in
un’operazione tanto rischiosa.
I discorsi del presidente iraniano,
che tanta indignazione
hanno suscitato in Occidente,
non hanno minimamente scosso
il mondo islamico, come se,
almeno in parte, si trattasse di
ovvietà.
Gli occidentali dovrebbero
sforzarsi di comprendere
almeno un poco la mentalità,
la cultura e la memoria storica
degli altri da sé, in questo caso
l’Iran e il mondo arabo. Quando
Ahmadinejad dice che se
europei e statunitensi sentono
davvero un enorme senso di
colpa nei confronti degli ebrei,
dovrebbero essere loro a donare
dei propri territori allo Stato
di Israele, il mondo musulmano
non ci trova nulla di male,
ma pensa che sia una riflessione
sensata. I musulmani vedono
gli ebrei come degli usurpatori
impostisi grazie all’appoggio
delle potenze vincitrici
della Seconda guerra mondiale.
Se gli occidentali considerano
lo stato di Israele un
risarcimento per l’Olocausto,
gli islamici scorgono nella sua
esistenza una doppia tragica
beffa: la perdita di una terra
considerata santa per colpe
commesse non da loro, ma da
una parte degli europei.
La vera questione iraniana è,
comunque, quella nucleare. Le
ambizioni di Teheran, in questo
ambito, risalgono ai tempi
dello scià. La costruzione di
centrali nucleari e il tentativo
di arricchimento dell’uranio
furono, al tempo, sostenute
proprio dagli Usa che consideravano
Reza Pahlavi il loro
migliore alleato nella regione.
Quello che si desiderava per
gli amici non lo si volle riconoscere
al regime degli ayatollah
che, dopo la guerra contro
l’Iraq, riprese il programma
atomico, dichiarando di volerlo
confinare al campo dell’applicazione
civile. La vera e
propria “crisi” iniziò nel 2.002,
quando gli iraniani, grazie al
ben retribuito aiuto russo, portarono
a termine la centrale di
Bushehr. Le pressioni internazionali
convinsero Teheran ad
accettare la mediazione di
Gran Bretagna, Francia e Germania
che portò all’accordo di
Parigi del novembre 2004 per
una “temporanea” sospensione
dell’arricchimento dell’uranio,
con la contropartita di ricompense
economiche e politiche.
Gli Stati Uniti, però, si opposero,
pretendendo la perenne
rinuncia dell’Iran e lo smantellamento
di tutte le strutture,
rifiutando anche la controproposta
iraniana della continuazione
degli esperimenti in un
limitato numero di centrifughe,
sotto lo stretto controllo
dell’Agenzia atomica internazionale.
Il nuovo presidente
iraniano, eletto con il 61,69%
di voti in una consultazione
non totalmente libera, ma molto
più credibile di quelle irachene
sotto occupazione militare,
ha immediatamente
annunciato di volere riavviare
il programma atomico a scopo
civile.
 In assenza di nuove trattative,
l’ipotesi più probabile
è quella di bombardamenti
israeliani sui siti nucleari e su
altre infrastrutture del Paese.
C’è il pericolo di una tremenda
escalation: gli iraniani possiedono
i missili Shahab 3 in
grado di colpire lo Stato di
Israele, il quale, come è noto
senza che ciò provochi alcuno
scandalo, ha illegalmente a
disposizione le bombe atomiche
per una ulteriore terribile
ritorsione.
Di fronte a scenari di questo
genere, la ricerca di una soluzione
politica da parte dell’Europa
e degli Usa non
sarebbe certamente il sintomo
di viltà d’animo, ma di ragionevolezza
e senso di responsabilità.
Il regime iraniano
non è un monolite che desidera
la distruzione dell’Occidente,
ma possiede sfaccettature
ideologiche e strategiche sulle
quali i futuri mediatori potrebbero
operare. Lo stesso
Ahmadinejad è un “radicale”
di tipo nuovo, con forti venature
populiste e nazionaliste.
Invece di umiliarlo con imposizioni,
occorrerebbe convincerlo
con rassicurazioni,
offrendogli magari un trattato
di non aggressione e alcune
concessioni politiche, in cambio
delle rinuncia agli aspetti
“pericolosi” del piano nucleare.
È il riconoscimento della
pari dignità e non l’arroganza
imperiale che può scongiurare
una nuova carneficina.