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La casa urbana nella pianificazione urbanistica della città

di Nicola Piro - 20/12/2005

Fonte: Rinascita




Le domande che ci poniamo non senza una nota di preoccupazione sono: il concetto della città europea, come forma specifica della città contemporanea e come modello per una città auspicabile, appartiene già ad un’era passata ? Nella sua specificità è ceduta la città europea alla pressione di convergenza verso un tipo globale di città sollecitato dalle spinte generali della globalizzazione mondiale, da una parte, e dalla dominanza crescente del modello specificamente US-americano, dall’altra ?
Prima di rispondere a queste domande occorre formulare chiare ed inequivocabili precisazioni che si devono porre (e, si pongono) in alternativa sia alle visioni programmatiche dei Ds (che, in ultima analisi, verranno recepite in toto da tutta l’Unione) in ordine alle linee di sviluppo delle politiche urbane che alla assunzione di modellli politici che nulla che vedere hanno con la cultura e la tradizione europee e italiana, in particolare.
Il solco che ci separa dalle indicazioni diessine emerse dalla recente conferenza programmatica di Firenze, ha connotazioni precise in termini di cultura e di metodo. Noi poniamo l’uomo tra le due invartuiabili indipendenti, polisi e civitas, e la variabile dipendente abitare (la città); le prime vissute come espressione di cultura, in senso lato; la seconda nelle sue articolabili valenze funzionali dentro l’ambito, però, della città compatta che, oggi, in assonanza con il credo ecologico, viene definita a sviluppo sostenibile.
Le nostre posizioni, inoltre, non fanno distinzione di rapporti di scala, sia che si tratti di città a macroebene, o di centri minori alla microebene; dimodoché non si può parlare delle due scale senza coinvolgere la terza dimensione: il paesaggio (naturale), percepito come simbolo di armonia fra l’uomo e la natura. L’idea di paesaggio, quindi, come pensiero politico e filosofico ? Non v’è dubbio, sì; se consideriamo l’ampiezza dei ruoli che gli vengono assegnati in quanto correlato della società moderna: da surrogato (Marxismo) a compensazione (Scuola-Ritter, fondata da Carl Ritter, geografo, 1779-1859, professore a Berlino e co-fondatore della geografia scientifica).
Come istanza riflessiva l’idea di paesaggio viene assunta sia per l’autogenerazione del soggetto (Kant) che, parimenti, come visione della totalità naturale (Ritter) e, infine, per il contatto con il non-identico (Adorno).
Prima di esprimerci in ordine al nuovo modello (o soggetto) politico dei Ds è opportuno un riferimento oggettivante, speriamo non polemico, al pianeta delle architetture e infrastrutture per lo sviluppo a napoli e in campania. Non sta a noi esprimere giudizi di qualità sulle tante opere realizzate. Una qualità che c’è, che deve essere sottolineata e che potrebbe essere elevata ad agone se l’incarico professionale per simpatia, amicizia o clientelare-politico fosse sostituito dall’altro conseguente al concorso di progetto.
Poiché se, come scrive il presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino, fare architettura e arte contemporanea è fare cultura, noi aggiungiamo che indire i concorsi è segno di igiene politica, prima, e rispetto delle risorse pubbliche, poi. Dovrebbe essere questo, dunque, lo stile-Ds del dopo-Berlusconi ? Comparanze di partito contra eugenetica ? ? Evoè, la gioia bacchica come invocazione o acclamazione al dio-partito ? Dove restano i buoni propositi per la città; questa volta sì nea-polis, in termini di una quanto mai improrogabile renovatio urbis e di riconsegna dei luoghi ai cittadini e alla legalità ?
Nei riguardi delle scelte politiche altrui, noi siamo tolleranti. Anzi, non ci riguardano. Lo siamo di meno, però, quando tali scelte, il modelllo del Partito Democratico US-americano, coinvolge il destino dell’Italia, in quanto rispondenti a basse strategie trasformiste senza alcun assunto politico. Anche per il fatto che per noi si tratta di conflitti di culture, l’europea e quella US-americana, che, proprio sui temi della città, rappresentano interessi inconciliabili.
Le caratteristiche morfologiche della città europea comprendono un centro storico caratterizzato dalla presenza di edifici relativamente bassi (una eccezione costituiscono gli edifici per il culto e quelli pubblici); piazze centrali ad uso pubblico; quartieri di abitazione misti per reddito e uso; delimitazioni urbane marcate; edificazione ad alta densità edilizia e un sistema di trasporto pubblico a maglia stretta.
In contrasto con la città europea, la forma della Global City d’ispirazione US-americana, si può definire come: concentrazione di edifici alti nel Central Business District; marginalizzazione dei quartieri più vecchi; quartierizzazione di tutta la città e formazione di una configurazione di razza e di classe (nuova, in quanto con la crescita del peso del Professional Managerial Class aumenta la polarizzazione tra i gruppi di reddito alto e gli altri di reddito basso).
Queste spaccature (sociali) vengono potenziate dalla separazione fisica dei gruppi sino a dar luogo alla costituzione di cittadelle, enclavi o ghetti. Inoltre la Global City è caratterizzata dalla suburbanizzazione dei luoghi destinati al commercio e allo svago all’interno del centro urbano; dalla obsolenza o dal cambio della destinazione d’uso di ex aree industriali e la perdita di abitanti che così vanno a sovraffollare le periferie più lontane.
Le forze trainanti che stanno dietro queste trasformazioni sono sia di natura tecnologica (edifici in rovina e nuovi bisogni) che sociali (trasformazione dei rapporti di forza tra gruppi e classi e, conseguentemente, trasformazioni nelle strutture decisionali a livello politico che influenzano (negativamente) la morfologia urbana a favore del settore della finanza e dell’industria immobiliare.
La pressione della globalizzazione sulla città è notevole e si articola in due correnti: una corrente che nasce all’interno di ogni Paese, di ogni Regione, di ogni città spinge le istituzioni comunali a muoversi in direzione della città globalizzata; una corrente esterna da parte delle probabili o presunte città, Regioni o Paesi in grado di esercitare la concorrenza che richiede l’adattamento alle pressioni o alle spinte sollecitate da tale concorrenza.
La pressione interna è più evidente: dal punto di vista tecnologico a causa dell’invecchiamento o/e obsolescenza dei luoghi centrali della produzione, degli scali-merci e degli impianti portuali; dall’espansione delle infrastrutture di comunicazione, della mutata struttura delle attività nel settore terziario (servizi); dell’importanza degli aereoporti e del tramonto degli scali marittimi. Dal punto di vista sociale: la concentrazione della proprietà e di tutte le altre forme di attività economiche, il ruolo strategico del settore F.I.R.E ( Finanze, Assicurazioni, Immobiliari) con il suo fabbisogno di spazio di rappresentanza, la polarizzazione fra rendita e patrimonio, l’importanza crescente della speculazione immobiliare e, infine, il volume dei capitali disponibili.
Allo stesso modo fattori esterni spingono in direzione di una certa convergenza nel senso che la concorrenza fra le città viene vieppiù recepita come stimolo e incentivo quasi sempre sollecitati dagli sforzi per un maggior successo nell’emulare quelle città a più alto grado di globalizzazione. Lo status (o il successo) da conseguire viene riferito dapertutto a queste città, in guisa che – per esmpio – la costruzione di edifici alti viene interpetrata come potenza economica e successo.
Nei Paesi europei la tradizione politica si fonda su un ruolo storico dello Stato che è tutto l’opposto dell’altro nelle città globalizzate. Già dalle epoche del feudalismo e dell’assolutismo è del tutto normale la presenza dello Stato nel cui ambito vengono prese, per esempio, decisioni inerenti lo sviluppo urbano; le stesse (decisioni) riguardanti la partecipazione dei cittadini o la ricerca di un consenso democratico generalizzato, sono di una fase successiva e non costituiscono, di conseguenza, il fondamento di questa tradizione.
Al contrario, l’elevato grado di indipendenza, specifico degli Stati Uniti d’America così come di altre Regioni ad eleveto grado di globalizzazione, scaturisce proprio dal rifiuto dell’autorità dello Stato. Quì è il mercato privato ad essere identificato come luogo dove vengono prese le decisioni. Nel migliore dei modi allo Stato viene riconosciuto un ruolo – anche se rispettabile – di coordinazione. Di conseguenza in Europa la programmazione pubblica è più idonea che altrove a conservare le qualità tipiche delle sue città.
Contemporaneamente il ruolo del mercato privato, al confronto della mano pubblica, nelle città europee, per quanto attiene la fornitura dei servizi, è del tutto marginale e, corrispondentemente, le incidenze del settore privato più deboli.
La forza dei sindacati e l’importanza dei partiti popolari di massa – per quanto la disponibilità al compromesso politico che nell’Europa postbellica ha reso possibile la nascita e la conservazione dello Stato sociale – hanno avuto come risultato limitate forme di polarizzazione e segregazione al confronto con le altre nazioni e città con predilezione al privato. Questa costellazione politica si differenzia in maniera evidente da quella degli Stati Uniti d’America, anche se anche lì si sono delineate tendenze di convergenza.
In queto contesto, una eccezione anomala è rappresentata dall’Italia dove, l’assenza di una classe politica avveduta e responsabile, da una parte, il ruolo di partito-Stato assunto dall’ex Dc con le sue connivenze illegali legate a certe forme di criminalità organizzata e l’altro rinunciatario o accomodante dell’ex Pci, hanno bloccato ogni tentativo di rinnovamento morale, economico e sociale, sino alla crisi istituzionale dei nostri giorni.
Se la suburbanizzazione delle periferie urbane in alcuni Paesi europei è stata relativamente contenuta, ha assunto in Italia aspetti di grande anomalia proprio per l’assenza di ogni forma di convivenza civile di legalità. Questo fenomeno è, d’altra parte, riconducibile ad un modello storico – quello europeo – fortemente caratterizzato dall’esistenza di cinte murarie urbane e, di contro, alla maggiore disponibilità di suoli relativamente meno costosi in un Paese così esteso come gli Stati Uniti d’America.
Nelle città globalizzate e, senza dubbio, anche negli USA, certe tipologie di modelli razziali hanno giuocato un ruolo decisivo. Tali modellli – a parte le recenti rivolte nelle periferie di alcune città francesi e le altre possibili in Italia (dobbiamo essere un tantino realisti ed evitare di nascondere il sole con un dito) – sono venuti meno alle città europee nelle quali l’immigrazione ha svolto un ruolo marginale nella formazione di certe strutture spaziali.
Quelle tendenze di ghettizzazione o di enclavizzazione che si sono manifestate in maniera evidente negli USA, si evidenziano anche in Europa. In altri Paesi europei e della stessa EU sono già oggetto di apprensione e tali da richiedere contromisure politiche.
In sintesi possiamo affermare che la città tradizionale europea è quanto mai esposta alle spinte della globalizzazione e mostra già i primi e allarmanti sintomi di tali effetti. Nell’immediato futuro, però, essa potrà conservare i suoi caratteri e le sue diversità rispetto alle città ad elevato grado di globalizzazione americane nella misura in cui il loro modello politico e di sviluppo resta lontano (o viene respinto) dall’Europa.
Il modello-USA non potrà e non dovrà mai costituire un modello di esportazione nei Paesi arabi. Mai, e, più che mai, in un Paese come l’Iraq dove la civiltà mesopotamica è imprescindibile dal destino della civiltà europea occidentale e, di conseguenza, della sua (e nostra) cultura urbana.
Di questi aspetti gli scimmiottamenti dei Ds e della Margherita devono tener conto.
Ecco perché i discorsi dei primi sulla città sono per noi incoerenti, inconcludenti e irresponsabili. Noi abbiamo più volte indicato i nostri percorsi che, in primo luogo, esprimono istanze sociali e di cultura.
Ma quali sono le radici e il fascino della città compatta europea ? Perché dobbiamo recuperarne certi caratteri perduti e tutelarne l’identità ? Quando parliamo della città europea il riferimento ai reticoli umani, alle tessiture sociali, alle relazioni di gruppo, ai luoghi della socializzazione (il vicinato, la strada, la piazza) è inevitabile. Ecco, allora, le polarità: la citta globale dissacrante e la città compatta edificante; la città senza storia (e senza futuro) e la città del passato e del futuro. Cosa di più per definire i contorni di due realtà inconciliabili ?
Seguendo il pensiero di Max Weber, una città si può tentare di definire in diversi modi. Tutte le definizioni hanno però soltanto in comune il fatto che la città (almeno relativamente) è un insediamento chiuso; un luogo inteso come porzione di spazio idealmente o materialmente delimitato; non una o più singole dimore.
Al contrario nelle città le case hanno cura di stare l’una accanto all’altra; oggi, di regola, muro a muro.
Volgendo l’attenzione alle due vedute aeree che ritraggono rispettivamente le città di Gerico e di Pompei, ci rendiamo subito ragione che la caratteristica della città compatta, della città storica, della città europea, è proprio la densità edilizia, il cui grado altro non è che il rapporto tra la superficie utile abitabile e la superficie del terreno sul quale si erge un immobile . Un esempio: il rapporto tra la superficie utile di una casa unifamiliare, 130 mq., e la superficie del lotto di terreno, 650 mq., esprime il coefficiente o indice di superficie che, in questo esempio, è uguale a 0,2)
È evidente, allora, che il valore dell’indice di superficie esprime, sulla base degli interessi urbanistici e commerciali, il grado di densità edilizia che può essere bassa (0,3-0,5), media (0,5-1,0) e alta (> di 1,0), laddove quella bassa rappresenta la risposta alla polverizzazione del territorio e nei centri minori e quella alta, invece, l’opposto ai modelli di edificazione urbana come la tipologia a blocco e la tipologia in linea.
Nella trattazione della città compatta, in generale, sono due forme distinte di densità edilizia da considerare: la struttura lineare che prevede l’allineamento o la disposizione in fila della tipologia edilizia della casa a schiera e la struttura piatta che prevede la disposizione a scacchiera della tipologia edilizia della casa ad atrio . In entrambi i casi i criteri qualitativi delle due tipologie comprendono la flessibilità, la variabilità, la qualità dei percorsi e della organizzazione spaziale così come gli aspetti della privacy per gli ambienti all’aperto e i criteri del risparmio energetico.
Le forme della densità orizzontale (quella verticale riguarda gli edifici multipiani) non sono definite soltanto dalle tipologie casa a schiera/casa ad atrio, bensì dai principi di insediamento e sviluppo urbani. Uno sguardo ai diversi insediamenti di Vienna ubicati nella sua periferia, mostrano i diversi principi urbanistici e offrono l’occasione per tematizzare quella parte della città. Uno sguardo verso gli USA e alla corrente del New Urbanism deve richiamare l’attenzione sui diversi sistemi di sviluppo e scandagliare gli effetti possibili sulle città europee.
Per dare risposte concrete alle complesse richieste sulla soglia del 3. Millennio è necessaria la ricerca di nuove strategie che inglobino concetti come paesaggio e natura così come una reinterpetrazione delle tipologie edilizie e planimetriche.
Per quanto attiene la casa ad atrio non possiamo tralasciare un riferimento ai tipi edilizi greco e romano, al tipo islamico e al tipo iberico a patio. Le case ad atrio più antiche sono state costruite ca. 3000 anni a.C. in Cina e in India. A Ur, nell’Iraq, nel 2000 a.C. sono stati costruiti tipi edilizi a due piani . Ma il tipo classico con ambienti per il soggiorno al piano terra e notte al primo piano, trae le sue origini dagli Etruschi e dai Greci per trovare la sua forma canonica nel tipo romano di Pompei. Dall’Asia al Sud-Europa, dal Nord-Africa al Sud-America e, in special modo, nella cultura islamica, la casa ad atrio resta il tipo edilizio più ricorrente.
Ma è nella Mitteleuropa degli anni Venti e Trenta che il tipo edilizio della casa ad atrio si pone come un nuovo modello urbano. Gli architetti della Germania Hugo Haering, Ludwig Hilbersheimer e Mies van der Rohe, dopo i primi anni di una intensa attività di ricerca e di realizzazione, furono costretti, purtroppo, dall’avvento del Nazionalsocialismo, alla emigrazione. In Gran Bretagna, invece, l’attività di ricerca sulla casa ad atrio viene continuata da Walter Segal che lascia ottimi esempi a tutt’oggi molto apprezzati.
Ma è la casa unifamiliare urbana a schiera a creare il mito della città compatta europea nel quadro delle due componenti essenziali dell’urbanistica: la strada e l’edificio. Nella sapiente combinazione di questi due elementi, nei pretenziosi statuti edilizi delle città dell’Italia dei Comuni, dalla mente e dalla mano di un capomastro-architetto (ancora oggi in Germania un bravo architetto viene chiamato baumeister) - capace di coniugare forma, materiale e costruzione in un compendio di sublimazione artistica – i prospetti delle case a due piani diventano le pareti del vano-strada, che è soggiorno della città: un luogo di socializzazione nel quale tutto diventa movimento, operosità con le finestre in verticale delle facciate degli edifici a disegnare campiture di precisa armonia.
Inconsapevolmente lo spazio urbano diventa l’espressione di un kunstwollen e la città un gesamtkunstwerk. Italia, Italia ! Lasciaci ancora una volta sognare ! Svelaci i segreti delle tue pietre ! Aprici all’‘incanto del mistero della città ! Spiegaci il perché di quel profilo curvilineo delle tue strade amorevolmente proporzionate !
Vi è un modo più bello per scrivere la storia di una città oltre che attraverso le sue vicende politiche, il suo sviluppo economico o il suo regresso, la vita culturale e artistica, quella spirituale o materiale. Un’altro modo di scrivere la storia è attraverso la casa, la casa che l’uomo ha costruito per sé e per gli altri uomini, leggiamo nel retrocoperta del bellissimo testo La casa fiorentina nella storia della città di Gian Luigi Maffei. Un testo veramente eccezionale che nasce da una ricerca promossa da Gianfranco Caniggia e che raccoglie le documentazioni sull’edilizia esistenti negli archivi pubblici fiorentini.
Senz’altro le stesse motivazioni che hanno sollecitato Jacques Le Goff a donarci un testo magnificamente illustrato: L’amore per la città.
Qual’è, allora, il mistero che avvolge l’affresco di Ambrogio Lorenzetti Gli effetti del Buon Governo sulla città, il messaggio di quelle prospettive in maniera quasi cubista, le case, le torri, i vicoli, quei personaggi tutti indaffarati quasi a dirsi: noi costruiamo la nostra città; noi lavorariamo nella nostra città? A guardare attentamente l’affresco, ci si accorge che la vita(lità) urbana non spinge verso le case: le penetra. Nella strada c’è animazione mentre l’architettura concede spazio al movimento. L’atmosfera è gaia e operosa, colorata e ottimistica, proprio come si addice ad un Buon Governo.
Ma l’avventura della città europea con le sue strade modulate dal tipo edilizio della casa urbana a schiera prosegue il suo percorso inerrestabile. Nel 1519 lascia un segno nella Fuggerei di Augusta, in Germania, e così via nel Vicolo della Equità, 15.-18. sec., a Berna; nei Palazzi della Via Nuova, 1558, a Genova; nei Palazzi del Canal Grande, 16.-18. sec., a Venezia; nelle case del Quartiere Olandese di J. Boumann d.Ä., 1737-1742, a Potsdam; nelle case unifamiliari di K.F. Schinkel, 1826, a Berlino; nelle case alla Piazza del Mercato di F. Weinbrenner, 1812, a Karlsruhe; nel Royal Crescent di J. Wood, 1767-1775, a Bath; negli edifici in via Assirotti di C. Barabino, 1825, a Genova. E, così via.
Ma c’è anche la Città europea di un Movimento Moderno inquieto, che vuole mettere in discussione la tradizione, che s’interroga sul come deve essere la Cucina nella casa moderna (Schette-Lihotzky sviluppa la Frankfurter Kueche), che parte dalla Vienna rossa del primo dopoguerra con le prime Siedlungen. Poi Antonio Sant’Elia con le sue visioni e, più tardi, negli anni Venti Ernst May a Francoforte. Si continua con il quartiere operaio Kiefhoek a Rotterdam di J.J.P. Oud con l’abitazione per lo Existenzminimum e la casa a schiera della larghezza di 4, 10 m. e della superficie, 1. e 2. piano, di 60 mq.; Il Quartier Moderne Frugés, 1926, di Le Corbusier a Pessac, in Francia; le Siedlungen a Dessau-Toerten e a Karlsruhe-Dammerstock, 1926-1928, di Walter Gropius; la fondazione del Deutscher Werkbund per iniziativa di Muthesius, Riemerschmid e Schumacher che s’ispirano ai principi di W. Morris; la Weissenhofsiedlung e l’Esposizione Die Wohnung, 1927-1929, a Stoccarda sotto la direzione artistica di Mies v.d. Rohe con gli edifici di Oud, Stam, Le Corbusier e i suoi Cinque punti dell’architettura moderna; la Casa della Meridiana, primo quarto del 20. sec. di Giuseppe De Finetti, a Milano; l’edilizia residenziale del Gruppo-Novecento (De Finetti, Muzio, Fiocchi, Lancia) e l’attività del Club degli Urbanisti, anni Venti e Trenta, a Milano. E, così, sino alle interessanti esperienze dell’austriaco Roland Rainer e del Gruppo svizzero Atelier 5, di Hertzberger, di Vittorio Gregotti con il quartiere Canaregio, 1986-1989, a Venezia; delle Case a schiera di Brenner, 2000, a Berlino; di Renzo Piano e Giorgio Grassi con il loro rigore progettuale nel Quartiere del Potsdamer Platz a Berlino.
La domanda che oggi i responsabili delle politiche urbane, gli architetti e gli urbanisti si devono porre è quella sul futuro della Città europea. Se il suo complesso percorso storico può servire a garantirne la continuità in uno spirito nuovo di rinnovamento per dare risposte concrete alla cogente realtà delle città metropolitane europee ponendole lontane dalle tentazioni di una globalizzazione invadente che non conosce confini.
Chi si è posto il problema della ricerca sul futuro della Città europea, come ha fatto il gruppo di studio Civitas 9-0-1 della Germania, ha potuto rendersi conto che non siamo in presenza di una Science Fiction. Il Team composto da scienziati, ingegneri, architetti, urbanisti, geografi, sociologi, antropologi, ha indagato i principi che hanno ispirato la città europea nel suo divenire e concentrata l’analisi sugli aspetti riguardanti sviluppo demografico, lavoro, tecnica e energia, lavoro e mobilità, tecnologia, educazione, sapere e tempo libero, coesione sociale e strutture politiche governative.
Indicato come punto di partenza il fatto che nel 21. secolo più della metà della popolazione mondiale abiterà nelle città, la sfida non potrà che essere altro che quella relativa alla difesa dell’ambiente conseguente al fabbisogno energetico e al riscaldamento dell’atmosfera. In tal senso l’Unione delle Industrie del Gas (IGU) ha bandito un concorso internazionale sul Sustainable Urban Design e invitato team di sette regioni del mondo ad elaborare proposte sul futuro della città sostenibile del 2100. Dal 2001 al 2003 i gruppi di lavoro del Nord-America (Canada, USA), Sud-America (Argentina), Asia (Cina, India, Giappone, Corea del Sud) e dell’Europa (Russia, Germania, Francia, Olanda) hanno elaborato i loro progetti e contributi che nel giugno del 2003 sono stati presentati ad una giuria di esperti e discussi alla 22. IGU-Conferenza di Tokio.
Interessanti sono state le analisi e le proposte elaborate dal gruppo di studio Civitas della Germania per quanto riguarda la città compatta europea. All’insegna del principio che le città sono il motore e lo specchio della sociatà del loro tempo, i ricercatori tedeschi hanno potuto accertare che negli ultimi cinquant’anni la città europea non è stata sottoposta a trasformazioni radicali. Con la sua struttura spaziale compatta e la sua tradizione, la città europea simboleggia un processo urbano con carattere di durevolezza nel senso di un efficiente uso di aree e di una straordinaria capacità di adattamento alle continue trasformazioni economiche, tecniche e sociali.
Le sfide per il futuro consisteranno nella ricerca di permanenti miglioramenti strutturali e di un adattamento creativo e continuo alle permanenti trasformazioni spaziali. In altri termini:
Creazione di nuove prospettive di lavoro e tutela della molteplicità d’usi nella città compatta costruita.
Conservazione degli spazi di vita privati e difesa delle risorse naturali esistenti.
Rispetto dei caratteri della società multi-etnica.
Considerazione degli aspetti di una società pluri-generazionale.
Garanzia di servizi adeguati ai bisogni della società.
Trasparenza e partecipazione ai processi decisionali.
Consolidamento delle istituzioni comunali.
Ricerca di prodotti ad Emissione-Nulla e cicli di produzione chiusi.
Management intelligente delle diverse infrastrutture urbane.

È così, allora, che noi concludiamo il nostro ciclo di indagini nella convinzione che l’avvenire della storia della città e della casa appartiene alla ricerca e alla riflessione interdisciplinare. Bisogna restaurare per il presente e l’avvenire, ma rispettando il passato.
Tradizione culturale, quindi. Lì troverà, chi saprà scoprirla, quella ispirazione da coniugare con i sentimenti del popolo, capace di ridare vitalità e fiducia nelle Istituzioni. Chi non ne è capace, che si tiri indietro, evitando di rifugiarsi, scopiazzando, nelle nicchie nebulose delle teorie politiche di Paesi ai quali la vecchia Europa tanto ha dato e nulla ha ricevuto (talvolta distruzioni).
Proprio perché, come dice Jacques Le Goff, gli uomini vivranno meglio in quelle città e in quelle case in cui potranno vedere e percepire la storia che le ha fatte.