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I pesticidi preoccupano la Francia

di Le Monde - 24/12/2005

Fonte: greenplanet.net


Allarme dall'Inra. Primi in Europa per consumo di fitofarmaci, in cerca di prodotti sempre più forti e con acque sotterranee e di superficie già quasi tutte contaminate.

Changer l'agriculture pour réduire les pesticides

La Francia è, per quantità, il terzo consumatore mondiale di antiparassitari e, con 76.100 tonnellate vendute nel 2004, il primo consumatore  in Europa anche se, per ettaro coltivato (5 kg/anno), il suo consumo la colloca al quarto posto.
Il sistema agroindustriale francese, orientato alla produttività, spiega questo stato di fatto.
Ma l'impiego dei prodotti fitosanitari, se garantisce rese elevate, non è privo da danni collaterali, tanto per l'ambiente che, teme, per la salute umana.
Come ridurre l'utilizzo e l'impatto di questi antiparassitari?
Mentre il contesto regolamentare europeo sta irrigidendosi, questa è stata la  domanda posta dai ministeri dell'ambiente e dell'agricoltura all'Istituto nazionale della ricerca agronomica (Inra) e all'Istituto di ricerca per l'ingegneria industriale dell'agricoltura e dell'ambiente (Cemagref).

La risposta è stato un rapporto che ha coinvolto tutte le competenze scientifiche sull’argomento, le cui conclusioni sono stato oggetto di un congresso a Parigi giovedì 15 dicembre.

Questo studio di 700 pagine fa il punto, in primo luogo, delle lacune nella conoscenza sugli antiparassitari e sul loro utilizzo.
Anche se dal 2001 si è assistito a un calo delle quantità vendute pari al 24%, ciò non significa automaticamente che gli agricoltori abbiano modificato  le loro  pratiche.
Oppure sì, se s’intende come modifica la  tendenza constatata dai ricercatori, verso l’uso di principi attivi sempre più…attivi.

Lo studio si concentra sul mix delle prescrizioni di fitofarmaci (in Francia è obbligatoria la ricetta di un professionista, non basta il patentino) "perlopiù rilasciate dai tecnici commerciali delle cooperative che vendono gli antiparassitari e sono interessati contemporaneamente  a vendere quanti più possibile  e ricevere un volume di conferimenti massimo, cioè a mantenere sistemi molto intensivi", come sottolinea impietosamente il rapporto.

La condizione dei diversi siti presi in esame mostra una contaminazione diffusa dell’ambiente: l'Istituto francese dell'ambiente (Ifen) ha già constatato che è quasi generalizzata per le acque sotterranee e di superficie.
Sono interessati anche l'aria e il suolo, ma mancano strumenti per la raccolta dei dati, e la loro interpretazione è delicata.
Anche le trasformazioni di questi prodotti nell'ambiente è poco conosciuta.

Quanto al loro impatto sanitario, è attualmente oggetto di uno studio collettivo coordinato dall’Inserm.
Quello dell'INRA e del Cemagref mette in evidenza il fatto che l'agricoltura intensiva aumenta i rischi connessi ai fitosanitari.

L'alta efficacia dei prodotti non è poi così duratura: i parassiti sviluppano resistenza, mentre le prospettive d'innovazione si riducono, a causa degli alti costo necessari per sviluppare, testare e autorizzare un nuovo prodotto (circa 200 milioni di euro).
Per gli OGM, la promessa riduzione dell’uso degli antiparassitari non è sempre dimostrata dai fatti, e dev’essere valutata caso per caso.

L'utilizzo "ragionato" dei prodotti fitosanitari (la lotta integrata) raccomandato dagli istituti tecnici e dai maggiori sindacati agricoli presenta un interesse limitato, ammettono gli esperti.

E, aggiungono, l’alternativa rappresentata dall'agricoltura biologica, non sembra la soluzione, soprattutto in chiave di occupazione.

Grani rustici
Una situazione scoraggiante?
Non inevitabilmente, come mostra l'esempio danese, dove una politica lanciata venti anni per incoraggiare la volontaria riduzione degli antiparassitari, porta i suoi frutti.
L'Inra ha anche dimostrato che l'utilizzo dei grani rustici, che garantiscono minori rese, ma richiedono meno antiparassitari, può essere redditizio quanto gli ibridi più produttivi (ma più soggetti a problemi fitosanitari).
L'adattamento ai diversi ambienti locali, la rotazione delle culture, lo sfruttamento della biodiversità varietale, ciò che l'Inra e Cemagref chiamano "produzione integrata", offre dunque una strada percorribile.I margini di progresso sono alti: le produzioni integrate e biologiche rappresentano rispettivamente lo 0,4% e l'1,2% della superficie agricola utilizzata.
La Danimarca, più volte citata, non ha esitato a prevedere una forte tassazione sull'utilizzo degli antiparassitari.
Ma incentivi più positivi, come i contributi per l’adozione di  buone pratiche agricole, sono del tutto possibili, come il rafforzamento della legislazione e i divieti d'impiego.Il congresso ha permesso alle varie figure coinvolte nell’agroalimentare di confrontarsi faccia a faccia sui risultati dello studio: agricoltori biologici, consumatori e ambientalisti l’hanno salutato con entusiasmo.

Gli agricoltori tradizionali, le cooperative e il settore agrochimico si sono mostrari meno entusiasti, e hanno tirato un sospiro di sollievo quando il Ministero dell’agricoltura ha assicurato che l'aumento delle tasse sugli antiparassitari "non costituisce il principale asse di lavoro".

Traduzione di Bianca Crivello

Le Monde, 16 dicembre 2005