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Il prossimo olocausto

di Ziauddin Sardar - 25/12/2005

Fonte: Comedonchisciotte

 
 
   

La fobia dell’Islam non è soltanto una malattia inglese: in ogni parte d’Europa, i liberali manifestano apertamente pregiudizi contro i musulmani. Si prospettano nuovi massacri?
Ziauddin Sardar riferisce dalla Germania, dai Paesi Bassi, dal Belgio e dalla Francia.


E’ una fredda e rigida notte e il centro di Dortmund è deserto. Nei giorni lavorativi, tutto chiude alle 22 in punto – racconta il nostro tassista-. Non è facile trovare un posto dove mangiare. Alla fine, ci molla al ristorante “la Cava” in Lindemannstrabe. C’è solo una coppia in questo bistrot post-moderno ultra-chic. Ci sediamo vicino a questa coppia e ordiniamo. Dortmund, in Germania, è il primo scalo del mio viaggio attraverso il cuore industriale dell’Europa settentrionale. Dopo gli attacchi terroristici a Londra e i disordini nei quartieri francesi, voglio valutare lo spartiacque razziale, la paura e l’odio che pervadono così tanto il nostro continente europeo.

Christoph Simmons è un agente assicurativo quarantenne; la sua ragazza, Baneta Lisiecka, è un’immigrante polacca. I due giovani ci invitano adunirci a loro per far un giro di notte nella “città verde”. Noi ci dirigiamo con la macchina sportiva di Christoph verso Limette, “l’unico pub che resta aperto fino alle 6 del mattino a Dortmund”. Dortmund è una città multiculturale ben integrata nell’economia globale –spiega Christoph; una città un tempo mineraria che oggi è una base florida per la ricerca di tecnologie avanzate.
“Le nostre comunità di immigranti sono bene integrate”-afferma Christoph. Greci, Italiani, Spagnoli, Polacchi vivono in perfetta armonia con i tedeschi. C’è solo un problema: i Turchi. “Loro non si integrano”. Baneta sostiene che sono “per la maggior parte criminali” e lei ha paura di loro. Christoph poi aggiunge: “I Turchi sono conservativi; le donne coprono la loro testa. Il Corano dice loro di uccidere i Cristiani”. Gli domando se ha mai incontrato un uomo turco. Christoph risponde di no. “Loro stanno sempre tra loro e non frequentano i nostri pub”. Parlo con altre persone che si trovano nel pub Limette. Jasmine, una donna cattolica che viene dalla Corsica, riassume il sentimento generale. “Non mi piacciono i Turchi. Non so perché: So però che non mi piacciono”.

E tuttavia scopro che queste aperte manifestazioni di razzismo non sembrano essere contraccambiate dai Turchi tedeschi. Nel bar “Orhan Narghilé Grill”, nella parte turca di Dortmund, incontro Suniye Ozdemir, una mamma single nata in Germania. “Non so perché i Tedeschi ci odino così tanto. Non so perché siano spaventati dalla gente turca. Forse sono gelosi. Forse temono che noi rubiamo loro il lavoro” afferma la donna con meraviglia. Lei mi presenta a un gruppo di ragazze che frequentano la “Helmholtz Grammar School”. Queste ragazze dell’età tra i 16 e i 18 anni, sono sicure di sé e distinte, e parlano bene inglese. Vogliono diventare professioniste ed avere successo. Gulsum, che porta la hijab, sostiene che loro si confrontano col razzismo ogni giorno: a scuola con gli insegnanti, nei bus, per le strade. La sua amica, che non porta la hijad, afferma:“Noi siamo nate in Germania e siamo tedesche. Noi stiamo tutte insieme per tutelarci, per evitare ostilità”.

Per tutta la durata del viaggio, dalla Germania ai Paesi Bassi, oltre il Belgio e infine in Francia –oggetto di molta attenzione- incontro persone pronte a descrivere i musulmani usando le tinte dell’oscurità. La fobia dell’Islam non è una malattia inglese: essa è un comune, seppur differente, fenomeno europeo. È uno scoglio particolare contro il quale si infrange la marea del liberalismo europeo.

Ci sono temi comuni ma anche sottili differenze nel modo in cui la storia di ogni nazione influenza l’attuale atteggiamento della gente nei confronti delle comunità di immigrati. Parte di quest’atteggiamento è radicata nelle varie storie coloniali. In Germania il nazionalismo e il colonialismo giunsero in ritardo ma furono entrambi vissuti come avvenimenti negativi. Nel 1880 si lottò duramente per comprovare l’importanza della nazione. Le radici dei problemi etnici affondano, tuttavia, nella storia e nella cultura. Molti dei precedenti principati e degli staterelli che formavano la Germania erano parti del Sacro Romano Impero di Carlo Magno, un’unità costruita sotto assedio e in reazione della reale minaccia rappresentata dalla civiltà musulmana. I Tedeschi abbracciarono le Crociate con gran forza: la prima infame crociata cominciò a casa con i massacri contro gli Ebrei. La causa scatenante le Crociate fu l’affermazione dell’importanza della Germania; l’odio nei confronti dei Turchi era spesso espresso attraverso un linguaggio crociato –anche se espresso in termini liberali.

La popolazione dell’attuale minoranza etnica in Germania è l’eredità dell’alleanza militare in tempo di guerra con la Turchia. Sotto la politica del gastarbeiter (“il lavoratore ospite”), i Turchi erano buoni abbastanza per essere importati in massa per ricostruire la Germania lacerata dalla guerra ma non abbastanza buoni per ottenere la nazionalità tedesca. Essi esistevano al di fuori dei confini dell’identità tedesca. Ciò rappresentava la continuazione della purezza razziale in una forma diversa. Ora che essi possiedono la carta di identità nazionale –mi chiedo- è ancora il problema di ein Volk –un popolo- la nozione nazista della purezza razziale?

“Mi spiace ma è così”-afferma Wolfram Richter, professore di economia all’Università di Dortmund. Ci sono molti motivi per i quali i Turchi sono odiati –sostiene Richter. Fattori sociali per i quali, ad esempio, i Turchi comprano solo nei negozi turchi; ragioni culturali per cui le donne turche si coprono il viso; problemi linguistici per cui le generazioni più vecchie non parlano ancora tedesco. Sono considerati infedeli. C’è inoltre la sindrome “della sposa”: i Turchi che vivono in Germania sono soliti tornare in Anatolia per sposarsi e portare le loro spose in Germania. Ma il motivo principale che determina la paura e l’odio verso i Turchi –sostiene Richter- è il razzismo di un tempo. “Mi spiace ma non abbiamo imparato nulla dalla nostra storia. La mia paura più grande è che noi facemmo agli Ebrei quello che oggi facciamo ai Musulmani. Il prossimo olocausto sarebbe contro i Musulmani”.

Attraversando i confini nei Paesi Bassi, giungiamo a Eindhoven, una vivace città culturale con una popolazione giovane, dove la paura dei musulmani è ugualmente evidente. Ci sono meno di 5 mila musulmani a Eindhoven e vivono tutti nascosti in un quartiere chiamato Woensel. Ma prova a chiedere ad un tassista di portarti lì. La nostra tassista, Kim de Peuyssenaece, è decisa: “E’ una zona pericolosa dove potresti anche essere ucciso”- ci dice. Kim ha il ragazzo marocchino; ci mostra la sua foto sul display del telefonino; nonostante ciò afferma che “la maggior parte dei marocchini è criminale” ed aggiunge che “stanno rovinando il nostro Paese”. Ci lascia di fronte a un bar marocchino che si trova a fianco del nuovo quartiere, una specie di “John Lewis-meets-porn”. All’interno del Bar Safrak, l’atmosfera è pesante a causa del fumo. Gli uomini giocano a backgammon, a scacchi e a domino. “Noi non facciamo parte della comunità olandese”-afferma il proprietario del bar, un uomo marocchino alto, aggressivo che non vuole dirci il suo nome. “Loro non ci trattano con rispetto e dignità. Loro pensano che noi siamo separati da loro, allora noi ci appartiamo”.
br> Che gli Olandesi considerino i musulmani una comunità separata da loro non è una novità. L’Olanda ha alle spalle una storia coloniale brutale così come l’Inghilterra, e il gioiello nella sua corona era la nazione più popolosa esistente sulla terra:l’Indonesia. La rivolta islamica ad Aceh è l’eredità di una lunga guerra con l’Olanda, una guerra che i colonizzatori mai vinsero e che mai terminò. La schiavitù ed il lavoro forzato nelle piantagioni olandesi appoggiarono un severo sistema che separava i padroni da coloro i quali venivano governati. Gli olandesi erano interessati a categorizzare e ad organizzare bene le diversità dei popoli su cui governavano; facevano il meglio che potevano per mantenersi distinti e indipendenti. La politica coloniale ora riecheggia a casa.
In un’altra parte di Eindhoven incontriamo Jamal Tushi, una consulente IT di 30 anni. “Ci trattano come soggetti coloniali”- ci dice. “Secondo loro, tutti i musulmani sono terroristi”. Tushi è nato ed è stato educato ad Eindhoven e parla benissimo olandese, ma pensa che sia difficile trovare un lavoro. “Se sei un giovane marocchino, dimentica l’idea di trovare un lavoro”- ci dice. Nei colloqui di lavoro, il liberalismo olandese più volte acclamato sparisce. “Vogliono sapere che tipo di musulmano sei. Preghi? Frequenti la moschea?”.

Il liberalismo olandese aveva significato solo per l’Olanda. Oggi si estende alla prostituzione e alla droga, ma non agli immigranti musulmani. E’ come la “politica etica” che l’Olanda ha sviluppato per le sue colonie. La politica riguardava la superiorità olandese; ha poco a che vedere con la realtà quotidiana della gente che essi governano, e fa poca differenza alle loro condizione. Le colonie servivano la città, senza tener conto di come loro parlavano e discutevano. Il linguaggio dell’etica concerneva sempre il “Ci” del colonizzatore e mai il “Loro” del popolo colonizzato, così come tutte le discussioni sul multi-culturalismo in Olanda è alla base di che tipo di Nazione “Noi siamo”, ora che abbiamo sorpassato il “Loro”. Includere l’altro, ieri ed oggi, non era il problema. Il liberalismo olandese riguarda quanto buoni e aperti “Noi” siamo –non si tratta di una negoziazione aperta su cosa il liberalismo in realtà significhi per le minoranze.
Noi prendiamo il treno per Antwerp. Il Belgio rappresenta un esempio interessante di multi-culturalismo, diviso come è tra gli Olandesi/Fiamminghi che parlano fiammingo e i Valloni che parlano francese. Esiste anche una divisione religiosa, tra Cattolici e Protestanti. Nel 1994 una revisione della costituzione introdusse il decentramento nel tentativo di affrontare la divisione tra le comunità, esistente da molto tempo e riconobbe tre regioni e tre gruppi linguistici. Tuttavia, affrontare la questione del multi-culturalismo in tutte le sue fratture interne, non significa aprirsi del tutto alle comunità di immigranti.

Nel centro di Antwerp ci imbattiamo in Noor Huda e la sua amica Fatimah Zanuti. Huda, appena ventenne, è un tecnico medico nell’ospedale della città. Ci dice: “Il multi-culturalismo in Belgio ha senso per i Belgi”, ed aggiunge: “Noi non veniamo considerati Belgi”. Huda è nata ad Antwerp,come i suoi genitori. “Appartenere alla terza generazione belga non è importante. Noi siamo ancora soggetti coloniali”. Ci racconta che il razzismo e l’odio nei confronti dei musulmani sono così endemici in Belgio che “tu devi sempre stare attento a cosa dici. Noi abbiamo paura a manifestare i nostri pensieri. Tu non hai il diritto di dire cosa in realtà vorresti dire”.

Le barriere in Belgio, come in ogni parte d’Europa, sono nate con la storia coloniale e gli atteggiamenti che ne sono scaturiti. E il Belgio ha alle spalle una delle storie coloniali più immorali e disumane. Cuore di tenebra di Conrad e il suo ritratto di Kurtz nella sua prigione circondato da capi severi è basato sulla realtà, non è un’allegoria o la metafora di una finzione. Nelle colonie belghe come ad esempio il Congo, i nativi rappresentavano un problema – e il problema esisteva perché non lavoravano abbastanza duramente, non producevano abbastanza gomma per la città. Ecco perché la polizia armata avrebbe invaso i villaggi, catturato donne e bambini, li avrebbe imprigionati, e avrebbe ucciso alcuni di loro fino a che la quantità di gomma richiesta non sarebbe stata consegnata dagli uomini.

La polizia armata è bene in vista nella stazione in Lange Nieuwstraat. Un agente non perde tempo nel farci notare che i musulmani rappresentano un problema. Dice: “E’ una strada a senso unico. Stiamo aspettando che si avvicinino a noi”. Chiedo se “dovrebbero anche loro avvicinarsi”. Senza esitare, l’agente risponde “No! Noi non rappresentiamo un problema. E’l’Islam il problema. Se l’Islam è coinvolto, non è possibile fare nulla”. L’agente si aspetta che avvenga una rivolta, prima o poi.

Una rivolta, o meglio una serie di rivolte, avvennero a Lille, l’ultima fermata del nostro viaggio. Lille, una città industriale nella Francia settentrionale, sperimentò alcune tra le peggiori agitazioni recenti. Emmanuel Peronne, un disegnatore di moda nel quartiere Roubaix, non ha alcun dubbio sulla causa delle rivolte. Egli afferma: “Si tratta di ingiustizie economiche e disuguaglianze che per generazioni musulmani marocchini e algerini hanno sofferto nel trovare lavoro, casa e nella possibilità di avere un’educazione, anche se il razzismo vero e proprio dipende dalla società francese”. “Non hanno nessun mezzo per sopravvivere. Tutto è sopravvivenza”. Roubaix, sfondo delle più violente rivolte, è una zona agiata in rovina. “Loro ci chiamano immigrati” –dice un macellaio piuttosto arrabbiato- “ma noi siamo nati qui. Noi non abbiamo nessuna legittimazione per gli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza”.

Davvero! I caratteri della rivoluzione francese non erano mai stati tradotti come pluralistici. Piuttosto si fondavano principalmente su una uniformità totalitaria – il flagello che inflisse quasi fosse un sostegno alla modernità e al nazionalismo europeo. Rappresentava anche la base del colonialismo francese, il quale creò diversi mondi paralleli: l’universo francese superiore e gli altri mondi ad esso inferiori. L’assimilazione nell’essere francesi e il compito indiretto sulle differenze erano le tracce gemelle del colonialismo francese. Quindi, ufficialmente, perché la Francia riconosca soltanto l’essere francese, essa pretende di essere neutrale e anti-razzista, sebbene sia altamente razzista e in sintonia con tutti i divieti rivolti a persone di colore.

A Lille così come a Parigi e in altre parti della Francia, esiste un netto parallelo che dimostra la continuità dell’etica coloniale. Nel Nord Africa, da dove proviene la maggior parte degli immigranti francesi, le medine, città antiche a cultura musulmana, sono rinchiuse nella loro diversità. Le medine sono considerate caotiche, confuse e non adatte alla modernità –esse rappresentano nella loro fisicità cosa i francesi pensano degli abitanti delle medine e della loro cultura. Intorno a questi vecchi inaccettabili centri venivano costruite moderne città secondo il modello francese, e lì i colonizzatori vivevano e da lì governavano. Oggi, Lille ha il suo centro tradizionale, è una città legata i cui confini sono gelosamente protetti. Intorno a questo centro inviolabile ci sono i deprimenti banlieues: moderni quartieri di baracche grigie, inospitali e in condizioni disumane costruite per alloggiare i lavoratori immigrati. L’aspetto razionale della colonia è nettamente invertito e riportato alla città. E’ una metafora per tutto quello che non è cambiato.

Durante il nostro viaggio, noi ci stupivamo di quanti pregiudizi manifesti la gente avesse nei confronti dei musulmani. Ogni paese ha il proprio partito di estrema destra, guidato da esponenti come Jean-Marie Le Pen in Francia o Pim Fortuyn, che venne ucciso in Olanda nel 2002. In Belgio, la destra draconiana è rappresentata dal Vlaams Blok, un partito nazionalista fiammingo fondato nel 1977. Philippe Van der Sande, il suo portavoce ad Antwerp, sostiene che “gli immigranti non si adattano. Non vogliono imparare la lingua. Non mostrano alcun interesse a conoscere la nostra cultura; vogliono solo guadagnare denaro facile”. La gente con cui abbiamo parlato era gente comune che considerano sé stessi liberali e individui illuminati.

Il liberalismo europeo oggi rappresenterebbe una conseguenza della decolonizzazione. Sembra però più un rifiuto dei caratteri più scomodi e non-analizzati che un vero superamento del passato. L’Europa è sì post-coloniale ma è anche ambivalente. Persino tra la gente che ha degli atteggiamenti più aperti ai rapporti interrazziali, il razzismo è spudorato e di ampie vedute. In pratica, oggi come in passato, alcune relazioni non fanno differenza perché comunque richiedono subordinazione da parte del partner che fa parte di una minoranza etnica. Essi possono quindi lavorare per accrescere il senso di superiorità e di divisione. Questo significa meno enfasi sulla razza, ma più sulla cultura come fosse la quinta essenza della linea separatrice.

Ovunque andassi, mancava nel pensiero comune della gente il presupposto di accogliere le minoranze. Le minoranze sono buone come lavoratori servili, sono una classe subordinata. E’ quando le minoranze cercano di elevarsi socialmente, provano a vivere il moderno governo liberale come essi credono giusto –e questo era il desiderio più grande che i musulmani giovani che ho conosciuto avevano- che cominciano i problemi e i pregiudizi latenti divengono attuali.

La moschea centrale di Lille si trova nella zona Wazemmes. E’ una struttura piuttosto irrilevante: sembra di aver messo insieme tre case alla meglio e di aver aggiunto una piccola cupola e un minareto in modo piuttosto crudo. La moschea serve anche come scuola musulmana in Francia. E’ stata nominata dopo Averroes, il grande filosofo razionalista ed umanista spagnolo del secolo XII. E’ un peccato che l’Europa si appropriò del suo razionalismo ma si liberò del suo umanismo pluralistico. Ibn Rushd, per usare il suo nome musulmano, chiederebbe che l’ordine stabilito che definisce onorevole e etico, liberale e tollerante, offrisse una giusta spiegazione a quelli che esso continua a discriminare, disumanizzare e avvilire.



Fonte: www.newstatesman.com

Link:http://www.newstatesman.com/200512050006
5.12.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LORY & STEFY