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Verso una società solare

di Giorgio Nebbia - 09/01/2006

Fonte: ecologiapolitica.it

 

LA PROFEZIA DI GIACOMO CIAMICIAN

Nella prolusione all’anno accademico 1903-1904 dell’Università di Bologna,
Giacomo Ciamician (1857-1922), professore di chimica in quella Università, disse:
«Il problema dell’impiego dell’energia raggiante del Sole si impone e s’imporrà
anche maggiormente in seguito. Quando un tale sogno fosse realizzato, le industrie
sarebbero ricondotte ad un ciclo perfetto, a macchine che produrrebbero lavoro
colla forza della luce del giorno, che non costa niente e non paga tasse!». E, vorrei
aggiungere, non ha padrone! Pochi anni dopo, nel 1912, in una conferenza tenuta
negli Stati Uniti, lo stesso professore affermava: «Se la nostra nera e nervosa
civiltà, basata sul carbone, sarà seguita da una civiltà più quieta, basata
sull’utilizzazione dell’energia solare, non ne verrà certo un danno al progresso e alla
felicità umana!».
Quando sono state pronunciate queste parole il consumo totale mondiale annuo di
energia era di poco più di 40 EJ (40 exajoule è l’energia equivalente a quella
«contenuta» in circa un miliardo di tonnellate di petrolio, cioè a circa un miliardo
di tep); esso era salito a circa 80 EJ/anno nel 1950 ed è oggi all’inizio del XXI
secolo, di circa 380 EJ/anno! L’odierno consumo di energia – e la produzione e il
consumo delle macchine che divorano questa energia e delle merci fabbricate
trasformando le risorse naturali con questa energia – sono accompagnati da
conseguenze che si riconoscono non più soltanto a livello locale – la «nera e
nervosa civiltà» – ma che si fanno sentire a livello planetario. L’impoverimento
delle riserve di fonti di energia, di minerali, di foreste, l’usura delle terre coltivabili,
l’inquinamento dell’aria e delle acque, inducono a chiederci se è possibile continuare
su questa strada senza compromettere le condizioni di vita e di salute delle
generazioni future. Sempre più spesso ci si interroga sulla possibilità di realizzare
una società, uno sviluppo, capaci di soddisfare i bisogni di alimenti, abitazioni,
energia, beni materiali, ma anche salute, libertà, dignità, indipendenza, bellezza,
della nostra generazione attraverso un uso delle risorse naturali – minerali,
combustibili fossili, acqua, foreste, terreno coltivabile, ecc. – che lasci alle
generazioni future condizioni tali da assicurare loro una vita dignitosa e
soddisfacente.
Benché molti auspichino l’avvento di un’organizzazione sociale capace di
svilupparsi in modo meno insostenibile dell’attuale, le attuali tendenze dei consumi
di risorse naturali sono tali da far pensare che le generazioni future dovranno far
fronte a un impoverimento dei «beni ambientali» e addirittura a disastri ecologici di
dimensioni non immaginabili.
Al fianco delle possibili crisi ambientali se ne prospettano altre, di carattere
politico e sociale, dovute alla maniera ineguale e ingiusta con cui l’energia è usata
nel mondo. Circa 1.500 milioni di terrestri consumano circa una metà dell’energia
commerciale mondiale; ai restanti circa 4.500 milioni di abitanti della Terra
rimangono a disposizione circa 190 EJ/anno. Sembra quindi abbastanza ragionevole
che i paesi che finora hanno avuto a disposizione pochissima energia reclamino una
proporzione maggiore dell’energia consumata complessivamente nel mondo.
È possibile tracciare vari scenari di tale più giusta distribuzione, ma tutti
inevitabilmente portano a un aumento dei consumi totali di energia attraverso l’uso
di crescenti quantità di combustibili fossili: carbone, petrolio, gas naturale. Ma il
∗ pubblicato su CNS n.3, 1991 (anno I); ristampa aggiornata in Giorgio Nebbia, Risorse,
merci, ambiente. Saggi raccolti per il 75 compleanno dell'autore a cura di Elsa M.Pizzoli, Luigi
Notarnicola, Ottilia De Marco e Gigliola Camaggio", Quaderno n.25, Dipartimento di
Scienze Geografiche e Merceologiche, Uniersità degli Studi, Bari 2001.
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consumo di combustibili fossili produce gravi effetti ambientali, in parte locali
(inquinamento dovuto a varie sostanze nocive, piogge acide con danni alla salute e
alla vegetazione, inquinamento termico, ecc.), in parte planetari, soprattutto
mutamenti climatici dovuti all’aumento della concentrazione dell’anidride
carbonica atmosferica, all’«effetto serra».
Ci sono tutti i segni che il pianeta Terra non può sopportare le alterazioni
climatiche ed ecologiche corrispondenti a un sensibile aumento (per esempio a un
raddoppio) dell’uso di combustibili fossili. Tanto più che tale aumento porterebbe a
un rapido impoverimento delle riserve di idrocarburi con conseguenti crisi
economiche e politiche e comunque in contrasto con gli interessi delle generazioni
future. E non è proponibile neanche un rilancio dell’energia nucleare.
Uno sviluppo umano può essere meno insostenibile dell’attuale soltanto ricorrendo
in maniera crescente e determinante alle fonti di energia rinnovabili che tutte
dipendono dal Sole. Dal punto di vista energetico e tecnico-scientifico l’avvento di
una società solare è del tutto possibile, come mostrano poche cifre.
La costante solare, cioè la frazione dell’energia solare intercettata dalla Terra,
ammonta a circa 1,4 kilowatt per metro quadrato, corrispondente, fatte le debite
moltiplicazioni, a circa 44 GJ/anno.m2. La superficie della Terra è, come è ben
noto, di circa 500 milioni di km2, ma l’insolazione media per ogni m2 della
superficie esterna dell’atmosfera terrestre ammonta a circa un quarto del valore di
intercettazione relativo a una circonferenza dello stesso raggio (si può utilmente
vedere, fra l’altro, il libro di G. Righini e G. Nebbia, L’energia solare e le sue
applicazioni, Feltrinelli, Milano 1966).
Della precedente frazione circa la metà viene filtrata dall’atmosfera e circa la metà
arriva sulla superficie dei continenti e degli oceani: circa 3.500.000 EJ/anno. Tale
energia è circa 9.000 volte superiore a quella consumata ogni anno nel mondo e
superiore anche a tutte le riserve di carbone, petrolio, gas naturale e uranio messe
insieme. Di questi 3.500.000 EJ/anni circa 1.000.000 raggiungono le terre emerse e
circa 2.500.000, sempre EJ/anno, raggiungono gli oceani.
L’energia solare tiene in moto il grande ciclo dell’acqua: il calore solare fa
evaporare e condensare ogni anno 500.000 miliardi di tonnellate di acqua dalla, e
sulla, superficie dei mari e dalle terre emerse. 100.000 miliardi di tonnellate
ricadono sulle terre emerse e circa 40.000 miliardi di metri cubi scorrono sulla
superficie dei continenti nel loro ritorno al mare superando talvolta grandi dislivelli
(se ne parla nel capitolo dell’acqua).
Questo flusso ha un «contenuto» potenziale medio di energia di circa 55.000
miliardi di kilowattore all’anno, anche se, di tale energia solo una parte limitata può
essere ricuperata come energia idroelettrica e solo una parte minima (circa 6
EJ/anno, pari a circa 1.500 miliardi di kilowattore/anno) è attualmente in effetti
ricuperata come tale.
La seconda grande funzione «naturale» dell’energia solare è la «fabbricazione» per
fotosintesi di biomassa vegetale: circa 50 miliardi di tonnellate di biomassa secca
all’anno negli oceani e circa 100 miliardi di t di biomassa secca all’anno sulle terre
emerse a spese di circa 300 miliardi di t/anno di anidride carbonica tratta
dall’atmosfera; tale anidride carbonica quasi totalmente ritorna nell’atmosfera in
breve tempo, nel corso del ciclo del carbonio. Ai fini dell’utilizzazione «umana»
dell’energia solare va notato subito che l’intensità della radiazione solare è
maggiore nei paesi meno abitati e in quelli del Sud del mondo e arretrati che
sarebbero quindi favoriti da un crescente ricorso a questa fonte di energia: una
società solare contribuirebbe quindi a ristabilire una forma di giustizia distributiva
energetica fra i diversi paesi della Terra. Come affermò già nel 1912, nella
conferenza già ricordata, il prof. Ciamician, «i paesi tropicali ospiterebbero di
nuovo la civiltà che in questo modo tornerebbe ai suoi luoghi di origine». È
possibile e ragionevole immaginare di progettare una società tutta solare con gli
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attuali consumi di energia? Calcolando un’intensità media della radiazione solare di
circa 6.000 gigajoule all’anno per km2 di superficie delle terre emerse, l’attuale
consumo globale di energia commerciale, circa 380 EJ/anno, equivale all’energia
solare raccolta da una superficie terrestre di circa 60.000 km2. La superficie
effettiva di raccolta dovrebbe essere almeno dieci volte superiore perché
l’efficienza di trasformazione di molti dispositivi solari è abbastanza basso. A prima
vista si tratta di superfici enormi, ma non è così.
Prendiamo il caso dell’Italia, con la sua superficie di 300.000 km2. Il fabbisogno
energetico italiano in questo inizio del XXI secolo, poco più di 190 milioni di
tep/anno (circa 8 EJ/anno), corrisponde all’energia solare che raggiunge circa 1.200
km2. La superficie di raccolta, calcolando una resa di trasformazione del 10%,
dovrebbe essere circa 12.000 km2; la sola superficie delle terre coltivate in passato
e ora abbandonate ammonta a circa 40.000 km2. Per ottenere mediante celle
fotovoltaiche – i sistemi che trasformano direttamente l’energia solare in
elettricità con un rendimento di circa 100 kilowattore all’anno per ogni m2 di
superficie esposta di fotocelle (che occupano circa 2 m2 di spazio) – tutta
l’elettricità usata attualmente (nel 2000) in Italia (circa 300 miliardi di
kilowattore/anno, di cui però 40 di origine idroelettrica) occorrerebbero circa 6.000
km2 di campi di fotocelle, il doppio della superficie della Murgia in Puglia.
Non si tratta di superfici enormi neanche per un paese industrializzato e ad alta
densità di popolazione come l’Italia. Più in generale si vede che esistono sul pianeta
ampi spazi disabitati, con alto irraggiamento solare, che potrebbero essere utilizzati
per la trasformazione della radiazione solare nelle forme di energia utili per fini
umani e trasportabile nelle zone di utilizzazione. La radiazione solare, e le fonti di
energia da essa derivate, si prestano a fornire energia in tutte le forme a cui siamo
abituati: si può ottenere calore a bassa, media e alta temperatura direttamente dal
Sole; con questo calore è possibile scaldare l’acqua, le abitazioni, è possibile
azionare frigoriferi e condizionatori d’aria, è possibile distillare l’acqua di mare per
ottenere acqua dolce, con un contributo decisivo, così, del Sole alla sconfitta della
sete che affligge molte zone tropicali e equatoriali costiere.
Ancora l’energia solare, mettendo in moto il ciclo dell’acqua e scaldando
diversamente le varie parti del pianeta, crea le condizioni per cui è possibile
ottenere energia meccanica e elettrica utilizzando lo scorrere delle acque sulla
superficie terrestre; o utilizzando le differenze di temperatura fra gli strati
superficiali caldi e quelli profondi freddi dei mari tropicali; o utilizzando la forza del
vento o il conseguente moto ondoso, anch’essi alimentati dalle differenze di
temperatura provocate dal Sole sulle varie parti della Terra.
È possibile con i sistemi fotovoltaici già ricordati, ottenere energia elettrica
direttamente dalla radiazione solare; è possibile trasformare l’energia elettrica di
origine solare in altre forme, per esempio in idrogeno utilizzabile come
combustibile o come materia prima per prodotti chimici. La radiazione solare,
attraverso la fotosintesi, produce nella biomassa sostanze chimiche utili come
materie prime o carburanti. Molte invenzioni risalgono a decenni fa e vanno
dissepolte dall’oblio e sperimentate di nuovo alla luce dei progressi nei materiali e
nelle tecniche. Se il Sole è davvero il nostro grande amico e alleato verso uno
sviluppo meno insostenibile, i nemici della transizione stanno nella pigrizia delle
idee correnti. L’energia solare ha comunque vari limiti; è distribuita irregolarmente
nelle varie parti della Terra, nelle varie parti del giorno e dell’anno, è molto diluita
rispetto alla concentrazione delle attuali società industriali. Ma proprio qui
potrebbe stare anche la sua forza: è ormai chiaro che molti squilibri ecologici
derivano proprio dalla concentrazione in spazi ristretti delle attività umane, dal
superamento violento, in molti territori, della carrying capacity, per cui una
società solare offrirebbe l’occasione per una ridistribuzione e diffusione delle
attività umane, per un uso più razionale dei grandi spazi che pure il pianeta Terra
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ancora offre.
Calore e acqua dolce dal Sole
La più facile fra le forme di utilizzazione dell’energia solare è sotto forma di calore
e la produzione di calore col Sole è stata la prima e la più sperimentata
applicazione. Una piastra metallica di colore nero, coperta con una lastra di vetro
ed esposta al Sole raccoglie la parte visibile della radiazione solare e la trasforma in
radiazione infrarossa che resta «intrappolata» al di sotto del vetro, sulla piastra.
Questo «effetto serra» consente di portare la piastra, d’estate, a temperatura fino a
80 o 90 gradi Celsius; con particolari accorgimenti è possibile scaldare un collettore
solare anche a temperatura un po’ superiore a 100 gradi Celsius. Se il calore della
piastra nera viene trasferito a una massa di acqua, che, per esempio, viene fatta
circolare entro tubi appoggiati sulla piastra stessa, d’estate è possibile, con ogni
metro quadrato di superficie del collettore solare, scaldare 100 litri di acqua da 20 a
45 gradi, oppure 50 litri di acqua da 20 a 70 gradi Celsius. D’inverno il
riscaldamento ottenibile è molto più modesto. L’acqua può essere scaldata a circa
80 gradi Celsius anche entro vasche o «stagni» poco profondi, contenenti sul fondo
uno strato di acqua ad alta salinità. Stagni solari di questo tipo funzionano da anni e
sono stati sperimentati anche in Italia, sia pure con grande ritardo e poco
entusiasmo, tanto da essere ben presto abbandonati. Ci sono sempre delle resistenze
psicologiche all’innovazione! Per il riscaldamento dell’aria all’interno degli edifici
più che i sistemi «attivi» come quelli basati su collettori solari, si prestano bene i
sistemi «passivi» realizzati progettando gli edifici in modo da massimizzare la
quantità di radiazione solare che, anche d’inverno, entra nell’edificio, facendola
eventualmente assorbire da speciali materiali capaci di immagazzinare calore anche
a bassa temperatura. Una società solare dovrà inventare nuovi modi di
progettazione degli edifici; con un’appropriata esposizione al Sole, con la creazione
di spazi esposti al Sole e di spazi in ombra, è possibile ottenere spazi ventilati
d’estate e caldi d’inverno, è possibile migliorare molto l’illuminazione dei locali. Gli
alti sprechi di elettricità per l’illuminazione e di elettricità e di combustibili per il
riscaldamento sono il risultato di una scadente progettazione. Il passaggio ad una
società solare si traduce quindi anche in una diminuzione degli sprechi di energia, a
parità di servizi, e comporta una revisione della diffusione nel territorio e della
tipologia degli spazi di abitazione e di lavoro. Con la radiazione solare è possibile
trasformare per distillazione l’acqua del mare in acqua potabile. Milioni di kilometri
di coste sono toccate dall’acqua dei mari e non hanno acqua dolce e in generale la
situazione è tanto peggiore quanto più ci si trova nella fascia centrale della Terra
dove è maggiore l’energia solare disponibile. I distillatori solari sono dispositivi
relativamente semplici nei quali, in uno spazio chiuso coperto da lastre trasparenti,
l’acqua marina viene esposta alla radiazione solare ed evapora, condensandosi poi
sotto forma di acqua priva di sali che viene ricuperata. I distillatori solari hanno il
vantaggio di utilizzare il calore solare a mano a mano che diventa disponibile e, nei
dispositivi più efficienti, è possibile utilizzare il 50% di tale calore per far evaporare
l’acqua. Con un distillatore solare della superficie di un metro quadrato è possibile
ottenere circa 1.000 litri di acqua dolce all’anno. Meno favorevole si presenta,
invece, la possibilità di ottenere calore ad alta temperatura con sistemi a specchi
per la concentrazione del calore solare; i tentativi di far funzionare delle centrali
termoelettriche con collettori a specchi non hanno finora avuto successo; il Sole dà
il massimo di sé se gli si fanno fare su scala umana le cose che sa già fare bene su
larga scala e male si adatta alle dimensioni e ai caratteri delle macchine (per
esempio le centrali termoelettriche) sviluppate per forme più concentrate di
energia, come sono i combustibili fossili.
Elettricità dal Sole
La maniera migliore per ottenere elettricità dal Sole è quella basata sulle celle
fotovoltaiche che consentono di produrre, come si è ricordato, circa 100
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kilowattore di elettricità all’anno per ogni metro quadrato di superficie di fotocelle
esposte al Sole; ogni anno nel mondo aumenta il numero di impianti fotovoltaici e
la loro potenza. Sono ormai normali centrali di decine di migliaia di kilowatt di
potenza e il costo di tali centrali sta continuamente diminuendo, avvicinandosi al
costo della centrali elettriche tradizionali. E, a differenza di queste ultime, le
centrali fotovoltaiche solari non hanno bisogno di combustibili e non producono
effetto serra o scorie radioattive.
Una piccola centrale, però da appena 600 kilowatt, è in funzione da alcuni anni
anche in Italia, in Puglia, vicino a Foggia. Altri piccoli impianti sono installati in
varie parti del nostro paese, ma siamo ancora molto arretrati rispetto ad altri paesi,
fra cui gli Stati Uniti, dove addirittura le società elettriche «solari» (come del resto
quelle che gestiscono impianti eolici) vendono elettricità alle grandi reti di
distribuzione. Il governo americano ha di recente lanciato un grande piano per «un
milione di tetti solari». Un milione di abitazioni potrà dotarsi di sistemi
fotovoltaici che le rende autonome dall’acquisto di elettricità; le compagnie
elettriche e petrolifere, invece di lamentarsi per la conseguente diminuzione delle
vendite di combustibili e di elettricità, si sono impegnate nella produzione
industriale di celle fotovoltaiche e dei relativi sistemi ausiliari, creando nuovi posti
di lavoro e nuove fabbriche localizzate nelle zone meno congestionate del paese.
Il vento rappresenta un’altra delle fonti di energia derivate dal Sole. L’energia
solare riscalda le varie parti delle terre emerse e dei mari in maniera disuguale che
dipende dalle stagioni, dalla latitudine, dalle condizioni della superficie del terreno.
Le masse d’aria che sovrastano territori a differenti temperature scorrono da una
zona all’altra e generano i venti che si possono così considerare l’effetto
meccanico del funzionamento di giganteschi collettori solari naturali.
Un’elica o un sistema di pale rotanti esposti al vento si mettono in moto quando la
velocità del vento supera un valore minimo, in genere di una decina di kilometri
all’ora. Da questa velocità in avanti un motore a vento ricupera l’energia del vento
con un rendimento che dipende dalla superficie delle pale e dalla terza potenza della
velocità del vento. I motori eolici possono andare da delicate macchine con eliche
di grande diametro, a piccoli rotori fabbricabili con tecnologie intermedie. A titolo
di esempio si producono e sono installate, anche in Italia, motori eolici con pale del
diametro di 30 o 60 metri e con una potenza, rispettivamente, di 300 e 3.000
kilowatt, con una produzione di elettricità di circa 1.200-1.400 kilowattore
all’anno per ogni kilowatt di potenza ottenibile, nelle condizioni di vento esistenti
in Italia, con una superficie di rotazione della parte offerta al vento di circa 2-2,5
m2. I motori eolici sono diffusissimi in varie zone degli Stati Uniti e dell’Europa e
rappresentano oggi una delle forme più concrete di utilizzazione delle fonti
energetiche rinnovabili e continuamente disponibili, derivate dal Sole.
La forza del vento si manifesta non soltanto come moto di grandi masse d’aria, ma
anche come moto di grandi masse d’acqua superficiali sotto forma di onde derivanti
anch’esse, quindi, dall’energia solare. La quantità di energia ricuperabile dipende
dalla differenza di altezza fra la cresta e l’avvallamento dell’onda: nelle coste di
fronte ai grandi oceani si ha un moto ondoso ampio e regolare la cui forza può
essere «catturata» con vari dispositivi, alcuni dei quali stanno già superando il
collaudo dell’applicazione industriale. Si è già detto che il più grande collettore
solare è costituito dagli oceani; in molte zone della Terra la radiazione solare scalda
la superficie dei mari al punto da determinare una differenza di temperatura, che
può arrivare anche a 20 gradi Celsius, fra gli strati superficiali caldi e quelli freddi
profondi. Sono già stati costruiti dispositivi nei quali l’acqua fredda viene sollevata
dagli strati profondi degli oceani e portata a contatto con l’acqua superficiale più
calda in una macchina termica capace di trasformare, con un rendimento del 2-3%,
questo piccolo salto termico in energia elettrica.
Più volte si è pensato di ricuperare una parte dell’energia meccanica incorporata
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nel moto delle acque sulla superficie terrestre sotto forma di energia idroelettrica,
rinnovabile, più di quanto si faccia attualmente. In genere i grandi fiumi e le grandi
montagne sono nelle zone disabitate come le zone tropicali ed equatoriali, la
Groenlandia, l’Asia centrale. Una parte dell’energia di queste risorse potrebbe essere
trasformata in energia elettrica che potrebbe essere trasportata nelle zone dove è
maggiore la richiesta, o potrebbe essere trasformata per elettrolisi in idrogeno da
trasportare con condotte, o che potrebbe essere utilizzata sul posto attraendo
nuove attività dai paesi già oggi congestionati.
Anche in questo caso si può andare da grandi impianti idroelettrici al ricupero
dell’energia da piccoli salti di acqua con turbine idrauliche relativamente semplici.
Finora spesso l’energia idroelettrica è stata ricuperata con interventi sul territorio –
dighe, laghi artificiali – sconsiderati dal punto di vista ecologico. Le proposte dalla
società solare presuppongono di utilizzare il Sole in maniera compatibile con i suoi
caratteri e con le grandi leggi della natura. Il Sole per il XXI secolo La cosa
comunque che il Sole sa già fare bene, senza macchine, su larga scala e con notevole
efficienza, è «fabbricare» materia organica attraverso i processi di fotosintesi: la
materia organica è costituita da zuccheri, amido, cellulosa, lignina, sostanze
proteiche, grassi, ecc., una straordinaria varietà di molecole su molte delle quali
abbiamo ancora conoscenze appena approssimative e quasi nulle per quanto
riguarda le potenziali applicazioni umane.
La biomassa vegetale ha dentro di sé, «incorporata», l’energia che il Sole ha messo
a disposizione per la sua sintesi e tale energia restituisce bruciando. Nei climi
temperati da un ettaro di foresta o di terreno coltivato è possibile ricavare ogni
anno l’equivalente di circa 10.000 kg di idrocarburi sotto forma di sostanza
organica – e senza alcuna macchina.
Ciascuna delle sostanze presenti nella biomassa è utilizzabile direttamente come
combustibile o trasformabile in fonti di energia commerciali (come gas o liquidi
combustibili) e sempre più spesso si parla di coltivazioni o piantagione energetiche,
progettate proprio per ottenere combustibili o materie alternative a quelle ricavate
dal petrolio, anche se questi progetti vanno sottoposti ad attento scrutinio per
verificarne la compatibilità ecologica.
Per la maggior parte dei problemi tecnico-scientifici associati alla transizione ad
una società solare esiste già una risposta: altre possono essere pensate e inventate.
Alle proposte di costruzione di una società solare viene obiettato sempre che il
calore, o l’elettricità, o i combustibili ottenuti dal Sole e dalle fonti rinnovabili
hanno un costo eccessivo rispetto a quello delle corrispondenti forme di energia
ricavate dalle fonti non rinnovabili, scarse, esauribili. Secondo le regole della
contabilità tradizionale ciò in genere è oggi vero, ma dipende dal fatto che
nell’analisi dei costi delle fonti energetiche attuali non viene contabilizzato né il
costo dell’inquinamento per la nostra generazione, né il costo, per le generazioni
future, dell’impoverimento delle riserve di combustibili fossili. Inoltre non si tiene
conto che quanto maggiore sarà la diffusione delle tecnologie solari, tanto minore
sarà, per effetto di scala, il loro costo e il costo dell’energia.
L’avvento di una nuova economia capace di integrare la contabilità monetaria con
quella «naturale» mostrerà che esiste una convenienza anche in termini contabili a
ricorrere alle fonti di energia derivate dal Sole. La transizione a una società solare,
inoltre, è la grande occasione per razionalizzare macchinari, processi, mezzi di
trasporto, strutture urbane, in modo che siano meno consumatori e distruttori di
energia, a parità di servizio «umano» fornito. Vi è una sola osservazione
importante che deve guidare i progettisti di una futura società solare: proprio per il
carattere diffuso e diluito della fonte di energia, le opere di raccolta dell’energia in
forma utile su scala umana per forza richiedono superfici molto grandi e possono
provocare anch’esse effetti ambientali negativi.
Molti sostenitori dell’energia solare pensano alla possibilità di regolare il corso dei
grandi fiumi con la creazione di laghi artificiali, dighe, centrali idroelettriche; tali
opere, coerenti con il progetto solare, possono peraltro avere effetti disastrosi –
come è già avvenuto – sugli equilibri delle foreste pluviali o delle valli montane, o
sull’afflusso dell’acqua a valle, se non sono progettate in maniera del tutto diversa
da quella finora seguita per le grandi centrali idroelettriche.
È possibile utilizzare la forza del moto ondoso con opere di captazione negli estuari
o lungo le coste, ma tali opere possono provocare effetti erosivi e alterazioni
ambientali quando la loro dimensione diventa molto grande ed estesa, come è
richiesto dalla bassa densità dell’energia del moto ondoso per kilometro di costa. È
possibile trarre carburanti e materie prime per l’industria chimica dalla biomassa e
da colture «energetiche», ma sarebbe un errore pensare a tali colture con i criteri
della agricoltura intensiva che richiede un uso intensivo e inquinante di concimi e
antiparassitari, o a spese delle foreste, come si propone oggi; è possibile coltivare i
deserti, dove è elevata la radiazione solare, ma occorre evitare gli effetti ecologici
negativi che si sono già osservati nell’introduzione di monocolture «economiche»
al margine dei deserti. Distruggere le foreste per creare coltivazioni di canna da
zucchero da cui trarre alcol etilico carburante sarebbe una vera follia!
Se da una parte occorre preparare l’avvento di uno sviluppo umano basato sul
crescente ricorso all’energia solare, attraverso perfezionamenti e innovazioni
tecnico-scientifici sui processi e sui materiali, occorre far crescere una cultura
ecologica e territoriale capace di verificare e anticipare i danni che alcuni di tali
processi possono arrecare al pianeta nel suo complesso.
Anche nel caso del Sole e delle fonti energetiche non rinnovabili, il criterio della
corsa al minore costo monetario o al successo tecnico- commerciale o
consumistico può far cadere in trappole che vanificano il progetto guida che deve
essere quello del carattere umano dello sviluppo. E uno sviluppo umano sarà
possibile soltanto adottando nuovi rivoluzionari tipi e forme di energie, di merci, di
consumi, di città, di regole economiche, attingendo a piene mani alle grandissime
risorse del Sole, del vento, delle acque, della biomassa, realizzando quella società
neotecnica e biotecnica auspicata da Lewis Mumford (1895-1990), inascoltato,
oltre settant’anni fa.