Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Maria tra femminismo e gnosi nella riflessione teologica cristiana

Maria tra femminismo e gnosi nella riflessione teologica cristiana

di Francesco Lamendola - 18/02/2008

 

 

Undici anni fa, nel 1997, Giovanni Paolo II indirizzava alla Chiesa l'enciclica Redemptoris mater, nella quale faceva il punto sulla mariologia cattolica e, più in generale, sul ruolo della presenza femminile nel processo salvifico avviato dal Vangelo.

A quel documento faceva prontamente eco una riflessione dell'allora cardinale Joseph Ratzinger, (considerato uno dei teologi più colti e raffinati della Chiesa cattolica), intitolato Maria tra femminismo e gnosi; che, muovendo dal terreno dell'esegesi biblica, spaziava a tutto campo sul significato dell'elemento femminile nelle Sacre Scritture e, in ultima analisi, nella cultura  cristiana  contemporanea.

Ratzinger è poi tornato sull'argomento, in maniera più approfondita, in due saggi mariologici intitolati, rispettivamente, La figlia di Sion. La devozione a Maria nella Chiesa e Maria. Chiesa nascente.

Tuttavia il commento alla Redemptoris Mater si segnala per una concisione e una chiarezza espositiva che lo raccomandano quale lettura privilegiata per comprendere il pensiero di papa Benedetto XVI sul ruolo, storico e teologico, svolto dalla figura di Maria nel delineare i caratteri della Chiesa cristiana dei primi secoli; e anche, indirettamente, sul ruolo che esso può e deve svolgere, al giorno d'oggi.

Pertanto ne riportiamo alcuni passaggi.-chiave, tratti dall'articolo di Bruno Simonetto Un antidoto all'«eresia eterna», sul numero di novembre 2007 della rivista cattolica Il Rosario, edita a Firenze; per poi svolgere una nostra riflessione in proposito.

 

"Il cosiddetto Vangelo degli Egiziani (risalente al secolo II) attribuisce queste parole a Gesù: «Sono venuto ad annullare le opere della realtà femminile». Tali parole esprimono un motivo fondamentale dell'interpretazione gnostica del cristianesimo, motivo che - in una formulazione un po' diversa - ricorre anche nel cosiddetto Vangelo di Tommaso: «Allorché di due ne farete uno, allorché farete […] la parte superiore come l'inferiore, allorché del maschio e della femmina farete un unico essere, sicché non vi sia più né maschio né femmina […], allora entrerete nel regno» (loghion 15, p. 486) Similmente ivi leggiamo, in chiara contrapposizione a Galati, 4, 4: «Quando vedrete colui che non è nato da donna, prostratevi bocconi e adoratelo: egli è il vostro padre».

"In questo contesto è interessante osservare come Romano Guardini vede un segno del superamento dello schema fondamentale gnostico da parte degli scritti giovannei [Vangelo e lettere di Giovanni, più Apocalisse, ndr] nel fatto che «nel complesso dell'Apocalisse, il femminile gode di quella pari dignità del maschile, che Cristo gli ha conferito. È vero che il momento del male, della sensualità e del femminile confluiscono nella figura della prostituta babilonese; ciò però sarebbe pensato in termini gnostici se se dall'altra parte il bene comparisse solo in figura maschile. In verità esso trova un'espressione radiosa nella comparsa della donna cinta di stelle. Se proprio volessimo parlare di una prevalenza, dovremmo piuttosto assegnarla al femminile; infatti, la figura in cui il mondo redento si struttura in maniera definitiva è quella della 'sposa'.

"Con questa osservazione Guardini ha messo il dito su una questione fondamentale di una giusta interpretazione della Bibbia. L'esegesi gnostica è caratterizzata dal fatto di identificare il femminile con la materia, con il negativo e con il nulla, cose che non possono far parte dell'affermazione salvifica della Bibbia: naturalmente, simili posizioni radicali possono anche capovolgersi nel loro opposto, nella rivolta contro valutazioni del genere e nel loro completo rovesciamento.

"Nell'evo moderno, a partire dal messaggio biblico, ha preso piede per altri motivi una esclusione meno radicale, ma non meno efficace del femminile; un solus Christus esagerato indusse a rifiutare ogni cooperazione della creatura, ogni significato autonomo della sua risposta e a vedervi un tradimento della grandezza della grazia. Perciò da Eva fino a Maria, lungo la linea femminile della Bibbia, non poteva esserci nulla di teologicamente rilevante: quanto i Padri e il Medioevo avevano detto al riguardo fu inesorabilmente bollato come ritorno al paganesimo e tradimento dell'unicità del Redentore.

"I femminismi radicali odierni - argomenta Ratzinger - vanno senza dubbio interpretati solo come lo sfogo dello sdegno per una simile unilateralità, sfogo a lungo represso e che ora assume naturalmente posizioni davvero pagane o neo-gnostiche: la rinuncia al Padre e al Figlio, che ivi si verifica, colpisce al cuore la testimonianza biblica.

"Tanto più importante diventa leggere la Bibbia stessa e leggerla tutta. Allora si vede che, nell'Antico Testamento, accanto e con la linea che va da Adamo ai patriarchi e al Servo di Dio, corre la linea che va da Eva, alle donne dei patriarchi, a figure come Debora, Ester e Rut e infine alla Sophia: un cammino che non si può teologicamente minimizzare, per quanto esso sia inconcluso e quindi aperto nella sua affermazione, per quanto esso sia incompiuto come tutto l'Antico Testamento, che rimane in atesa del Nuovo e della sua risposta. Ma come la linea adamitica riceve il suo senso da Cristo, così alla luce della figura di Maria e nella posizione della ecclesia diventa chiaro il significato della linea femminile, nella sua unione inseparabile col mistero cristologico.

"La scomparsa di Maria e della ecclesia in una corrente importante della teologia contemporanea è indice della sua incapacità di leggere la Bibbia nella sua totalità. L'allontanamento dalla ecclesia fa anzitutto scomparire il luogo esperienziale in cui tale unità diventa visibile. Tutto il resto segue poi da solo. Viceversa, per poter percepire il tutto, si presuppone l'accettazione del luogo fondamentale ecclesiale e quindi anche la rinuncia a una selezione storicistica all'interno del Nuovo Testamento, selezione secondo la quale ciò che è presuntamente più antico viene dichiarato l'unico valido, con conseguente deprezzamento di Luca e di Giovanni. Invece, solo nel tutto troviamo il tutto." (…)

"La comparsa di tendenze femministe ha naturalmente introdotto un elemento nuovo e inatteso, che minaccia di scompigliare un poco i fronti. Da un lato, l'immagine che la Chiesa traccia di Maria viene presentata come la canonizzazione della dipendenza della donna e come la consacrazione  della sua oppressione: la glorificazione della Vergine e Madre servizievole, obbediente e umile avrebbe fissato per secoli il ruolo della donna;  una glorificazione tesa a tenerla soggetta. Dall'altro lato, la figura di Maria offre lo spunto per un'interpretazione nuova e rivoluzionaria della Bibbia: i 'teologi della liberazione' si richiamano al Magnificat che annuncia la caduta dei potenti e l'elevazione degli umili; così il Magnificat diventa il faro di una teologia che considera suo compito incitare all'abbattimento degli ordinamenti esistenti. (…)

"La lettura femminista della Bibbia vede in Maria la donna emancipata che, libera e consapevole del proprio compito, si oppone a una cultura dominata dai maschi. La sua figura, insieme ad altri indizi speciosi, diventa una chiave ermeneutica che alluderebbe a un cristianesimo originariamente del tutto diverso, il cui slancio liberatore  sarebbe poi stato di nuovo presto attutito e neutralizzato dalla struttura del potere maschile.

"Il carattere tendenzioso e forzato di simili interpretazioni è facile da riconoscere; comunque, esse potrebbero avere il vantaggio di renderci di nuovo più attenti a quel che la Bibbia ha effettivamente da dire su Maria. Questo potrebbe essere perciò anche il momento di prestare più attenzione del solito a un'enciclica mariana, che da parte sua si preoccupa unicamente di far parlare la Bibbia."

 

Bruno Simonetto, allora, così sintetizza  i due punti centrali del commento di Ratzinger alla Redemptoris Mater di papa Wojtyla:

 

"Proprio per questo, «al fine di rendere più accessibile e comprensibile il documento papale e per facilitarne la lettura» - precisa Ratzinger - va posto in luce il modo di procedere dell'enciclica che invita:

"- A leggere la Bibbia come un tutto: «il Papa [in Redemptois Mater] parla con la Bibbia in questo atteggiamento: egli prende le sue parole così come esse risultano dal suo significato totale, come verità, come informazione su ciò che Dio e l'uomo sono realmente».

"- La linea femminile nella Bibbia. Applicando questo criterio alla Redemptoris Mater, osserva infine Ratzinger: «A mio giudizio, l'importanza e l'attualità  dell'Enciclica consistono non da ultimo sul fatto che essa ci guida a riscoprire la linea femminile della Bibbia, con il suo specifico contenuto salvifico, e a imparare che né la cristologia elimina il femminile o lo riduce a una realtà insignificante, né, viceversa, il riconoscimento del femminile pregiudica la cristologia. Solo nella loro giusta relazione e unione si manifesta la verità su Dio e su noi stessi.»

 

Dalla concezione di Ratzinger emerge che una lettura contestualizzata e obiettiva della Bibbia consente di evitare sia il rischio di cadere in una interpretazione neo-gnostica dell'elemento  femminile, che non solo tenderebbe a sottovalutarlo ma, al limite, addirittura a eliminarlo o a identificarlo con il negativo (come appare nel brano del Vangelo degli Egiziani), sia quello di cadere nell'eccesso contrario, ossia di ipostatizzare la "linea femminile" della Bibbia come intrinsecamente "superiore" o, comunque, indipendente da quella maschile.

Bisogna osservare che la posizione adottata da Joseph Ratzinger nel suo commento alla Redemptoris Mater  è coerente con la linea da lui sempre tenuta sulla questione generale dell'identità di genere.

Nel suo ponderoso volume Il mondo come creazione (titolo originale: Kleine Katholische Dogmatik die Welt-Gottes Schöpfung; traduzione italiana di Armando Rizzi, Assisi, Cittadella Editrice, 1977, P. 322), ben trenta anni fa, egli aveva affermato:

 

"La peculiarità di uomo e donna non può essere determinata in sé e per sé, ma dischiude nell'incontro dei due con il loro mondo. la comprensione maschile del mondo è determinata dal lavoro, dall'attività creatrice, che assume il mondo già esistente come strumento per i mondi progettati. La donna sta invece nel suo mondo in atteggiamento di cura e di attenzione: il suo mondo è un mondo di valori che vanno custoditi e dispiegati. (…) L'animale non conosce né il lavoro né l'essere-nel-mondo-come-cura. (…) Dunque, l'insieme dei rapporti sociali in una società umana determina non solo la relazione tra uomo e donna ma anche l'immagine di ognuno di loro. (…) Presso i popoli primitivi la differenza tra uomo e donna la differenza è quindi molto minore che presso i popoli di alta cultura."

 

A parte quest'ultima affermazione, che ci sembra opinabile per la grandissima varietà di contesti culturali tra i popoli che, un po' disinvoltamente, vengono definiti tout court come "primitivi" (ben altra è la posizione della donna presso i miti Zuñi del Nuovo Messico, o gli aggressivi Kwakiutl della Columbia Britannica o, ancora, presso i feroci e spietati Dobu dell'arcipelago d'Entrecasteaux), ci sembra che Ratzinger concepisca le due polarità, maschile e femminile, come dinamiche e reciprocamente necessarie per il proprio completamento.

Si tratta di un filone di pensiero teologico che, oggi, culmina nella riscoperta del "femminile" che è presente, accanto al maschile, nella stessa realtà divina, e che oggi viene - giustamente, a nostro avviso - evidenziata e rivalutata, dopo secoli di misconoscimento; e che è equiparabile, per certi aspetti, alla "scoperta" del femminile nella personalità maschile, e del maschile nella personalità femminile, da parte della psicologia occidentale moderna, da Jung in avanti.

Perciò la distinzione dei ruoli, così come la prospetta Ratzinger (e che sicuramente farà arrabbiare le femministe), con un principio maschile orientato verso l'attività creatrice ed uno femminile orientato verso la "cura" del mondo, nell'ottica di una loro fruttuosa e necessaria armonizzazione, crediamo si possa equiparare ad altre visioni sostanzialmente dialettiche e dinamiche dei due principi, basate non sulla loro tendenziale commistione e confusione, ma sulla loro identità e distinzione: per citarne una sola fra le tante, quella della filosofia taoista e del concetto di yin e yang come forze cosmiche complementari.

Ma il passaggio più importante del ragionamento di Ratzinger è quello in cui sostiene che "l'insieme dei rapporti sociali in una società umana determina non solo la relazione tra uomo e donna ma anche l'immagine di ognuno di loro"; affermazione che, tra l'altro, esorbita di molto la problematica di genere e investe l'intero campo della psicologia. Io sono quello che sono, e le mie immagini del mondo e di me stesso sono quelle che sono, perché mi trovo in situazione, ossia perché sono calato, storicamente, in un certo contesto sociale e culturale. E questo vale, ovviamente, anche per l'immagine del mondo al maschile o al femminile.

Tuttavia, si badi, Ratzinger non si spinge oltre la soglia-limite della dialettica di genere. Per lui, pur essendo complementari e pur influenzandosi e determinandosi reciprocamente, polarità maschile e polarità femminile restano irriducibili l'una all'altra.

D'altra parte, nel pensiero occidentale - osserva Ratzinger - vi sono stati almeno tre tentativi rilevanti per sostenere che l'essere umano, nella sua integrità, si possa considerare completo solo allorquando riunisca in se stesso i tratti maschili e femminili. Il primo risale al mito dell'ermafrodito, narrato da Aristofane nel Simposio di Platone; il secondo risale al mito romantico della natura ed è stato ripreso, nell'epoca contemporanea, soprattutto da J. J. Bachofen; il terzo ha trovato una fondazione teologica nella speculazione di Karl Barth.

Ratzinger li respinge tutti - citando l'autorità di Buytendijk -, perché, a suo giudizio (Il mondo come creazione, cit., p. 319-320):

 

"Ogni singolo uomo è come tale immagine di Dio. Perciò anche la fondazione della «solidarietà umana» attraverso l'indicazione della dualità sessuale - sempre in Barth - è fuorviante. (…)

"Il vero rapporto dell'uomo con il mondo esterno, visto nell'ottica della sua coscienza, viene descritto così da Buytendijk (…): «L'uomo come coscienza (essere-nel-mondo-consapevolmente) conosce l'essere non soltanto da fuori, ma si rivolge a ciò che appare, è con lui e presso di lui e può essere coinvolto - spontaneamente o in maniera riflessa - nel mondo così progettato. Ma ciò che appare, e a cui la coscienza si orienta, è insieme l'essente in cui la coscienza è ancorata. L'uomo si trova dunque sempre come compagno d'esistenza insieme a ciò di cui la sua coscienza è consapevole».

 

E l'uomo è consapevole d'essere maschio o femmina, precisamente a causa della sua corporalità; Come altrove Ratzinger sottolinea con forza (p. 315):

 

"L'uomo esiste, ma sempre soltanto come maschio o come femmina. Va detto allora che la tipizzazione sessuale concerne tutto l'uomo, non solo determinati organi del suo corpo, ma l'intero corpo fino alla costituzione delle cellule e dei tessuti, e tutte le attività degli organi; ma non meno la peculiarità della vita spirituale e psichica dell'uomo. Se nel corso della storia è comparsa spesso l'idea che la donna è un uomo a metà, questo fenomeno ha motivi di carattere culturale.  Rimane preoccupante il fatto che posizioni del genere abbiano trovato un appoggio in una scienza della natura aberrante o in un'esegesi unilaterale."

 

Si comprende, quindi, tornando al nostro assunto iniziale, che tanto una lettura neo-gnostica della Bibbia, quanto una lettura femminista, hanno il difetto di decontestualizzare il ruolo che i due principi, il maschile e il femminile, svolgono sia nell'Antico sia, soprattutto, nel Nuovo Testamento. In questo senso, ci sembra che la posizione di Ratzinger nasca da un corretto atteggiamento ermeneutico, nonché da un principio metodologico fondamentale, sia in campo teologico e filosofico, che in campo storico: quello secondo il quale non è operazione accettabile quella di estrapolare temi e situazioni da un determinato contesto, per forzare il significato complessivo di quest'ultimo alla luce di una scelta ideologica pregiudiziale. E ciò è tanto più necessario oggi, allorché vediamo proliferare superficiali semplificazioni ad effetto, come quelle contenute nel libro di Dan Brown Il codice Da Vinci, le quali tendono ad accreditare l'idea che il cristianesimo contenesse un nucleo originario basato sul privilegio dell'elemento femminile; e che, in seguito, una Chiesa dominata da spietati teologi maschilisti ne avrebbe soffocato le istanze, snaturando l'intero messaggio evangelico.

In questo senso, si può anche dire che la teologia cattolica (nonostante certe apparenze) si collochi  in un'ottica più "progressista" di quella protestante, per lo spazio di riguardo che riserva alla mariologia; e quindi, contrapponendo la "donna vestita di sole" con la grande prostituta di Babilonia dell'Apocalisse, per il ruolo importante che assegna al principio femminile nel mistero della redenzione del genere umano. E ciò è incontestabile, anche se teologi di tendenza "liberale" o anti-cattolica cercano di presentare questo posto di riguardo, riservato alla Madonna, come funzionale a un'ottica di dominio o, quanto meno, di prevaricazione, da parte del principio maschile ai danni di quello femminile.

E tuttavia, va anche detto che noi, uomini del terzo millennio,  ne abbiamo viste veramente troppe e abbiamo perduto molte delle illusioni degli storici dell'età positivista circa la pretesa infallibilità del "metodo obiettivo". Molta acqua è passata sotto i ponti da quando lo storico tedesco Leopold von Ranke, campione di tale indirizzo storiografico, tuonava: «I fatti, dateci soltanto i fatti!». Ahimé, noi sappiamo bene che ottemperare a questa massima è impossibile, perché ogni "fatto" reca con sé, inevitabilmente, tutta una serie di interpretazioni; così come un vascello non può navigare in mare aperto, senza che alla sua carena si abbarbichino una infinità di organismi viventi e di incrostazioni d'ogni genere.

Di più: noi siamo, ormai, perfettamente consapevoli che la stessa selezione dei fatti è già, essa medesima, una operazione d'ordine ermeneutico, giacché presuppone un criterio in base al quale discriminare, in via preliminare, i fatti giudicati rilevanti da quelli ritenuti irrilevanti per la storia e per la sua corretta comprensione.

Ebbene, lo stesso principio vale per il pensiero filosofico e teologico. Il filosofo e il teologo, esattamente come lo storico, allorché sviluppano una propria concezione del reale, lo fanno a partire da una selezione dei fatti che costituiscono la realtà medesima. Ad esempio, non ci risulta che Hegel si sia mai chiesto se il suo concetto del dispiegamento dello Spirito del mondo nella storia "universale" tenesse conto, oltre che del mondo umano, di quello animale, vegetale o minerale; né, in generale, si può dire che filosofi o teologi siano soliti fermarsi a domandarsi se i loro concetti di libertà, volontà, bene e male siano estensibili a un alveare, a uno stormo di uccelli migratori, ai  funghi che crescono sulla corteccia degli alberi. Eppure è chiaro, per fare un semplice esempio, che se un campo di battaglia cosparso di cadaveri è "male" dal punti di vista dell'etica umana, certamente è "bene" dal punto di vista degli uccelli, dei mammiferi, degli insetti e dei micro-organismi demolitori, i quali avranno occasione di farvi un lauto banchetto.

Ci sembra pertanto di poter concludere queste riflessioni ricordano che l'essere umano, proprio per il fatto di vivere in situazione, è letteralmente condannato all'ermeneutica, anche quando non se ne rende conto, ossia alla selezione più o meno soggettiva, più o meno opinabile dei fatti che, per lui, costituiscono la realtà.

Esistono alternative a questa sudditanza nei confronti dell'ermeneutica? In altre parole, il dato coscienziale può consentirgli di superare le proprie limitazioni e dargli accesso a una realtà più ampia, universale? Il misero abitatore delle pozzanghere e degli stagni potrà mai spingersi al largo e diventare un superbo scorridore degli oceani?

Noi crediamo di sì, ma a patto di forgiarsi altri strumenti che non siano quelli dello storico, del filosofo o del teologo. Accedere alla realtà in sé non è impresa alla portata dell'homo rationalis; ci vuole, semmai, un salto di qualità non fuori della ragione, ma al di sopra di essa. E qui il mistico, lo yogin, il saggio che non fonda sui libri la sua conoscenza e l'io che ha il coraggio di fare il vuoto in sé stesso, sono certo in grado d'insegnare qualcosa di grande a tutti i "sapienti" e a tutti gli "intelligenti" di questo mondo.