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La «Vita di Virgilio» di Elio Donato e la nascita del culto virgiliano

di Francesco Lamendola - 03/03/2008

 

 

 

A suo tempo ci siamo occupati di un aspetto particolarmente interessante dell'influsso esercitato dalla grande poesia virgiliana sulla letteratura e sulla cultura occidentali, nel saggio Il culto di Virgilio nel Medio Evo, pubblicato negli Atti della Società "Dante Alighieri" di Treviso e disponibile anche sul sito Internet di Arianna Editrice.

Adesso vogliamo dire qualcosa a proposito di uno dei maggiori artefici della nascita della "leggenda" di Virgilio, quell'Elio Donato che ebbe, fra l'altro, il merito di introdurre i testi di Virgilio come testi scolastici e, in tal modo, di contribuire potentemente alla codificazione dell'autore dell'Eneide come il poeta latino per eccellenza, non solo maestro sommo di poesia, ma anche modello di umanità, di sapere, di morale.

Inoltre, la biografia di Virgilio cui maggiormente hanno attinto gli studiosi del sommo poeta latino, già a partire dal IV secolo d. C., e, poi, per tutto il Medioevo,  è proprio quella di Elio Donato; che, in realtà, è a sua volta una trascrizione, o un compendio, di una perduta Vita Vergilii dello storico Caio Svetonio Tranquillo (75-150), avvocato e segretario privato dell'imperatore Adriano, universalmente noto per la sua Vita dei dodici Cesari, raccolta di biografie di dodici imperatori romani, da Giulio Cesare a Domiziano.

Pertanto, sia attraverso il culto della poesia di Virgilio, sia attraverso i suoi ammiratissimi manuali di grammatica, che avrebbero fatto scuola per secoli e secoli, a Donato lo studioso tedesco Michael von Albrecht attribuisce niente meno che il lusinghiero appellativo di paeceptor Europae, educatore dell'Europa.

Ma chi era Elio Donato?

In realtà, non sappiamo molto di lui, tranne il fatto che visse intorno alla metà del IV secolo e che fu, oltre che grande studioso di Terenzio e di Virgilio, un importante codificatore dell'arte grammatica.

Scrive Natalino Palermo nel suo Disegno storico della letteratura latina, Firenze, Cremonese Editore, 1968, p. 568:

 

"Era di Roma e fu maestro di S. Girolamo: null'altro sappiamo della sua vita. Come grammatico, occupa un grandissimo posto ella generale rinascita del sec. IV: commentò tutto Terenzio e tutto Virgilio, contribuendo così moltissimo alla tendenza di fare studiare gli antichi non su compendi, ma sulle loro opere originali; del Commento a Terenzio, resta una redazione abbreviata, che riguarda tutte le commedie, eccetto l'Heautontimorùmenos, e a cui è preposta la vita che del grande commediografo aveva scritto Svetonio nel De poëtis; del Commento a Virgilio restano alcune parti introduttive ed una specie di studio sulle Bucoliche: anche qui precede la vita di Virgilio scritta da Svetonio. Ma l'opera per cui Donato fu famoso , tanto che il suo nome diventò poi sinonimo di "grammatica", è la celebre Ars grammatica, divisa in due parti: ars prima, composta per i principianti e scritta sotto forma di domande e risposte; ars secunda, scritta per tutti e contenente anche norme di stilistica."

 

E il filologo tedesco Michael von Albrecht, nella sua Storia della letteratura latina (Torino, Einaudi, 1996, vol. III, pp. 1.491-92):

 

"Elio Donato (Roma, metà del IV secolo) è probabilmente il più famoso tra i grammatici latini. È divenuto, tra l'altro attraverso il suo discepolo Gerolamo, al quale ha inoculato con successo il bacillo della cultura classica, un praeceptor Europae.

"Il primo libro dell'Ard Donati (la cosiddetta Ars minor) è un corso elementare sulle otto parti del discorso  (categorie grammaticali) in forma di domanda e risposta. Gli altri tre libri (2-4: Ars maior) sono più dettagliati: trattano fonologia, parti del discorso (qui esistono sovrapposizioni con l'Ars minor) come pure difetti e bellezze del discorso.

"Corrispondenze con Diomede e Carisio indicano comunanza di fonti.

"L'Ars, che è il libro di scuola per antonomasia della tarda antichità e del medioevo, deve il suo successo soprattutto alla propria perfezione formale. Nessuna parola di essa è casuale. La lingua si mantiene immune dalla pomposità corrente dell'epoca. La brevità si coniuga con la sensibilità per l'essenziale. Prisciano, Cassiodoro e Isidoro fanno parte dei suoi riconoscenti utilizzatori. Commenti vengono composti da Servio, Cledonio, Pompeo, Giuliano da Toledo (VII secolo) e dall'autore dei Commenta Einsidlensia (IX o X secolo).

"Altra opera classica è il commento a Terenzio di Donato, conservato in due recensioni di diseguale valore (manca solo l'Hautontimorumenos). Si appoggi alle fonti migliori (Probo, Aspro), offre utili sussidi per la recitazione e la rappresentazione e istituisce confronti coi modelli.

"Del commento a Virgilio possediamo la dedica, la Vita virgiliana e l'introduzione alle Egloghe; materiale di questo commento sembra confluito negli Scholia Danielina. Gerolamo tramanda una battuta spiritosa del grande grammatico: «pereant qui ante nos nostra dixerunt» («vadano in malora quelli che hanno formulato le nostre idee prima di noi»: Hier. In eccles. 1, 9).

 

Riportiamo, infine, il brano dedicato a Donato da A. Ronconi, M. R. Posani e V. Tandoi in Storia e antologia della letteratura latina (Firenze, 1970, vol. 3, pp. 236-37):

 

"Il grammatico Elio Donato viveva e insegnava a Roma nel 353, fra pubblici riconoscimenti, come si ricava da una notizia del suo discepolo S. Girolamo; ma nient'altro sappiamo di sicuro sulla sua biografia, che sarà intessuta poi di aneddoti nel Medioevo.

"Quello svolto da Donato nella rinascita dello spirito classico a Roma fu certo un ruolo di primaria importanza. Mentre doveva svanire presto il sogno, caro a Giuliano l'Apostata, di restaurare contro e al di fuori del cristianesimo l'ideologia imperiale classica, avevano preso vigore, a metà del IV secolo, spinte di pensiero anche da parte pagana verso una conciliazione fra la classicità, per quel che di valido recava seco, e il mondo cristiano. Se appena si avranno risultati politici con Teodosio il Grande, più duraturo frutto ne verrà sul piano culturale (,,,), quando con i padri ecclesiastici si completa la sintesi delle due culture.

"Di questa imponente, meravigliosa sintesi, Donato impersona l'aspetto, anzi il presupposto ideologico. La sua scuola, ridestando l'interesse per i classici attraverso amorevoli letture e trascrizioni critiche, non solo favorì l'innesto delle nuove idee sul migliore retaggio di Roma pagana (e tra gli autori emendati da lui o dai suoi diretti scolari furono Terenzio, Sallustio, Livio, Virgilio, Persio, Marziale, Apuleio) ma affinò anche la preparazione di chi, come Girolamo, doveva assumere analoghe e più impegnative cure sui testi sacri. Al suo ambiente si riconnette per svariati tramiti una vasta erudizione antiquaria, che sarà poi trasmessa ai secoli successivi da Servio, Macrobio, Marziano Capella ecc., anche se rimarrà una dottrina un po' sterile, dapprima, per certe cerchie contemporanee troppo irretite nel culto del passato.

"Elio Donato compose due manuali di grammatica, l'uno più elementare e scolastico, sulle otto parti del discorso (Ars minor), l'altro esteso alla metrica e alla stilistica, per le persone colte (Ars maior). Sulle Artes si fondò l'autorità e la fortuna sua per tutto il Medioevo, con una celebrità che nessun grammatico avrebbe uguagliato mai; esse vennero allora rifuse insieme, e se ne fecero estratti, redazioni ampliate, soprattutto commenti. Anche in età umanistica, durante la Controriforma e oltre, sarà il Donato a fornire un modello per le grammatiche composte secondo schemi retorici.

"Oggi si apprezza di più la sua attività come esegeta e interprete di testi. Del commento a Virgilio non resta, purtroppo, che la dedica con i cenni programmatici, una preliminare biografia del poeta dipendente nella sostanza da Svetonio, e l'introduzione alle Bucoliche (qui è già notevole il concetto di Virgilio maestro di ogni dottrina, nonché la tendenza a escogitare riposte allegorie). Ma qualcosa dell'insegnamento donatiano su Virgilio confluirà nell'opera del discepolo Servio.

"È superstite invece il commento a Terenzio, tranne che per l'Heautontimoroumenos. Certo l'ampio commento ci è giunto in redazione solo parzialmente originaria, per quanto sia arduo nell'intrico della tradizione manoscritta scindere la parte rimaneggiata. Informato dalle attendibili fonti antiquarie, come Valerio Probo, valendosi di studi personali sul teatro e la letteratura latina arcaica, e non sprovvisto di sensibilità per la poesia, Donato ha fatto un'opera complessa e ricca di pregi, che è tuttora il miglior sussidio per gli interpreti di Terenzio. Validi e penetranti sono i genere i rilievi stilistici; ma non è qui l'utilità maggiore. Senza certe notizie su rappresentazioni e tecnica teatrale, o sui rapporti fra scene di single commedie  e gli originali greci, l'arte di Terenzio sarebbe per noi più problematica di quanto non sia.

"Il commento era destinato a influenzare molto il gusto medioevale, anche oer via di sparse deduzioni moralistiche che andavano comunque oltre i propositi e l'indulgente umanità del commediografo."

 

VERGILII VITA EX DONATO

 

Riteniamo, a questo punto, di fare cosa utile riportando, qui di seguito, la traduzione della Vita di Virgilio di Elio Donato, fatta da Enzio Cetrangolo in Virgilio, tutte le opere (Firenze, Sansoni Editore, 1993, pp. 837-844).

Essa è stata condotta sul testo critico: Vitae Vergilianae antiquae. Virgilii vita secundum Donatum. Edidit Colinus Hardie. Editio altera, Oxonii, 1960.

 

"Publio Virgilio Marone mantovano fu di modeste origini; il padre, a iore di alcuni, era un vasaio, e di molti altri, era stato da principio bracciante di un Magio araldo e poi, come premio della sua ingegnosità, ne divenne il genero e accrebbe le sue piccole sostanze acquistando un po' alla vlta terreni boscosi di natura egregia e coltivando api.

""Nacque al tempo del primo consolato di Cn. Pompeo Magno e di M. Licinio Crasso, il giorno delle Idi di Ottobre [15 ottobre del 70 a. C.] nel pago di Andes, non lontano da Mantova.

"La madre, prossima a generarlo, sognò di aver partorito  una fronda di lauro che a contatto della era prese vigore e subito crebbe in forma di albero maturo, carico di varii pomi e di fiori; e sul fare dell'alba, uscita col marito alla campagna vicina, si appartò dalla strada e in un fossato si liberò del peso materno.

Raccontano che il bambino, venuto alla luce, non vagì e che aveva un viso così mite da offrire sicura speranza in un oroscopo felice. E un altro presagio si aggiunse: un virgulto di pioppo, piantato secondo un'usanza della regione sul luogo del nascimento, crebbe tanto rapidamente da raggiungere in breve gli altri pioppi molto prima piantati, e già fin da allora fu chiamato 'albero di Virgilio' e fu anche visitato con speciale devozione dalle donne che, avanti e dopo il parto, si recavano là per promettere e per sciogliere voti.

"Trascorse l'adolescenza in Cremona fino alla vestizione della toga virile, che indossò al compimento del diciassettesimo anno, quando erano consoli per la seconda volta quelli stessi sotto i quali era nato; in quel giorno medesimo avvenne  la morte del poeta Lucrezio.  E Virgilio passò allora da Cremona a Milano e di qui, poco dopo, nell'Urbe.

"Di corporatura e di altezza fu grande, di colorito bruno, dai lineamenti rudi, di salute malferma; soffriva per lo più di stomaco e di gola e di dolori al capo, sputò spesso anche sangue. Fu nel mangiare e nel bere assai parco, incline all'amor dei fanciulli, dei quali dilesse in modo singolare Cebete e Alessandro, che egli, nella seconda egloga delle Bucoliche, appella Alessi, donato a lui da Asinio Pollione: entrambi non rozzi, e Cebete perfino poeta. Corse voce che egli avesse anche usato con Plozia Hieria, ma Asconio Pediano attesta che lei stessa, ormai avanti negli anni, soleva raccontare che Virgilio era stato da Vario medesimo invitato a far uso in comune di lei, ma il poeta rifiutò fermissimamente.

"Quanto al resto della vita, e nel parlare e nel sentire fu così onesto che a Napoli lo chiamavano «il Verginello»; e quando a Roma, dove rarissimamente veniva, era veduto per via, per sottrarsi alla gente che lo seguiva e lo indicava, si nascondeva in qualcuna delle case vicine.

"Non ebbe l'animo di accettare da Augusto i beni confiscati di un condannato all'esilio. Possedete quasi dieci milioni di sesterzi, che gli aveva elargito la liberalità di amici; ebbe in Roma una casa nell'Esquilino, presso gli orti di Mecenate, ma se ne stava quasi sempre lontano e solo, in Campania e in Sicilia.

"Già inoltrato negli anni perse i genitori, e tra essi il padre divenuto cieco e due fratelli germani, Silone adolescente e Flacco adulto, di cui lamenta la morte col nome di Dafni.

"Coltivò, fra gli altri studi, la scienza della natura e specialmente l'astronomia. Sostenne anche una causa davanti ai giudici, una in tutto né più di una volta.  Tramanda infatti Melisso che Virgilio era molto lento nella parlata e quasi pareva un ignorante.

"Offrendo le prime prove poetiche ancora fanciullo, compose un distico contro un ballista maestro di gioco, sepolto sotto un cumulo di pietre a punizione dei suoi latrocinii:

 

"Monte sub hoc lapidum tegitur Ballista sepultus;

nocte die tutum carpe viator iter.

 

"Scrisse quindi Catalepton, Priapei, Epigrammi e Le imprecazioni, e così pure la Ciris e La zanzara, nel ventesimo ano di età [tali opere non è provato che siano di Virgilio]. Della Zanzara l'argomento è questo: un pastore è afflitto dal caldo; essendosi addormentato sotto un albero e appressandosi a lui un serpente, volò una zanzara dalla palude e punse con l'aculeo il pastore proprio là dove si aprono le palpebre; ma quello schiacciò la zanzara e uccise il serpente e costruì un sepolcro alla zanzara e vi incise il distico:

 

"Parve culex, pecudum custos tibi tale merenti

funeris officium vitae pro munere reddit.

 

"Scrisse anche L'Etna, di cui è dubbia l'autenticità.

"Avendo in seguito cominciato a trattare i fatti Romani, impedito dall'argomento si diede a comporre le Bucoliche con l'intento anche di celebrare Asinio Pollione, Alfeno Varo e Cornelio Gallo,i quali nella distribuzione dei campi transpadani, che dopo la vittoria di Filippi venivano divisi tra i vecchi soldati per ordine dei triumviri, gli avrebbero garantito l'indennità.

"Scrisse poi le Georgiche in onore di Mecenate, che al poeta, ancor poco noto, avrebbe portato aiuto contro la violenza di un veterano, dal quale mancò poco che Virgilio non fosse ucciso durante il contraddittorio avvenuto nell'azione giudiziaria per le terre.

"Da ultimo pose mano all'Eneide: opera di argomento vario e solenne e quasi pari ai due poemi di Omero, una fusione di personaggi e di fatti Greci e Latini, e nella quale si contenesse, come fine precipuo, l'origine di Roma e insieme di Augusto.

"Si narra che durante la composizione delle Georgiche soleva dettare quotidianamente molti versi meditati al mattino e per tutto il giorno rielaborandoli ne fissava pochissimi: diceva non assurdamente che egli generava il verso informe al modo di un'orsa e che lambendolo (come l'orsa il feto) finalmente lo formava.

"L'Eneide, prima abbozzata in prosa e distribuita in dodici libri, stabilì di comporla parte per parte, dando di piglio a qualsiasi punto secondo il suo piacimento, senza seguire ordine alcuno; e per non frenare l'ispirazione lasciò passare alcune cose imperfette; altre cose appoggiò su versi incompiuti,, che diceva scherzosamente di porre in luogo di puntelli a sostegno dell'edificio in attesa che arrivassero solide colonne.

"Tre anni impiegò a comporre le Bucoliche, sette le Georgiche, undici l'Eneide.

"Le creazioni delle Bucoliche ottennero tanto successo che venivano declamate e rappresentate in teatro da artisti del canto e della mimica.

"Ritornato Augusto dopo la vittoria di Azio e dimorando in Atella per guarire dal mal di gola, Virgilio gli recitò per quattro giorni continui le Georgiche, e Mecenate si avvicendava al poeta nella lettura ogni volta che s'interrompeva  per la stanchezza della voce.

"Virgilio declamava infatti in modo soave e con seduzione mirabile. E Seneca c'informa che il poeta Giulio Montano soleva dire che egli avrebbe rubato versi a Virgilio se avesse potuto rubargli anche la voce, la pronunzia e il gesto: gli stessi versi, diceva, suonano bene se pronunziati da lui, senza di lui sono vuoti e muti.

"L'Eneide, appena cominciata, salì tanto alta di fama che Sesto Properzio non esitò a proclamare:

 

"Cedite Romani scriptores, cedite Grai;

nescio quid maius nascitur Iliade."

 

"Augusto in vero - assente allora per la spedizione Cantabrica - sollecitava Virgilio, con lettere supplichevoli ma anche scherzosamente minacciose, che «gli mandasse - son parole sue - dell'Eneide o un primo abbozzo d'insieme o una parte qualsiasi». A lui tuttavia, molto tempo dopo, e dopo di aver approntata tutta la materia, recitò solamente tre libri, il secondo, il quarto e il sesto; e quest'ultimo con straordinaria passione di Ottavia, la quale, assistendo alla recitazione, si dice che a quei versi intorno a suo figlio «Tu Marcellus eris», venisse meno e a fatica fu rianimata.

"Recitò anche altre volte e dinanzi a pubblico più numeroso, ma di rado e per lo più quei passi su cui aveva dubbî, a sperimentare più che altro il giudizio degli uomini. Si dice che il librario Erote, già in estrema vecchiezza, insieme col suo liberto, soleva riferire che una volta Virgilio completò all'improvviso due versi, incompiuti, mentre recitava. Avendo infatti scritti fino a quel momento soltanto «Misenum Aeolidem», aggiunse: «quo non praestantior alter»; similmente all'emistichio: «aere ciere viros», aggiunse, spinto dal fervore della lettura: «Martemque accendere cantu»; e ordinò immediatamente ad Erote d'inserire nel manoscritto i due versi a quel modo completati.

"Nell'anno cinquantaduesimo di sua vita, con l'intento di dare l'ultima mano all'Eneide, stabilì di recarsi in Grecia e in Asia, per dedicare tre anni continui alla revisione del poema, e darsi poi, pel rimanente dei suoi giorni, solamente alla filosofia.

"Ma all'inizio del viaggio, fattosi in Atene incontro ad Augusto che ritornava a Roma dall'Oriente, e determinato a non dividersi da lui, e anzi a ritornare insieme, mentre visitava la vicina Megara sotto un sole bruciante, fu colto da un malore che andò crescendo durante la non interrotta navigazione, e approdò alquanto aggravato a Brindisi, dove rapidamente morì il giorno XI avanti le calende di Ottobre [21 Settembre del 19 a. C.] sotto il consolato di Cn. Senzio e di Q. Lucrezio.

"Le sue ossa furono trasportate a Napoli e riposte sulla via di Pozzuoli a circa due miglia, in un sepolcro su cui fu inciso il distico da lui stesso dettato:

 

"Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc

Parthenope; cecini pascua rura duces."

 

"Lasciò eredi del patrimonio il fratello Valerio Proculo nato da altro padre, Augusto della quarta parte, Mecenate della dodicesima, del rimanente L. Vario e Plozio Tucca che dopo la sua morte curarono l'edizione dell'Eneide per decreto di Augusto.

"Su questo fatto rimangono alcuni versi di Suplicio Cartaginese:

 

"Iusserat haec rapidis adoleri carmina flammis

Vergilius, Phrygium quae cecinere ducem.

Tucca vetat variusque; simul tu, maxime Caesar,

non sinis et Latiae consulis historiae.

Infelix gemino cecidit prope Pergamon igni

Et paene est alio Troia cremata rogo."

 

"Prima di partire dall'Italia, Virgilio aveva detto a Vario che se gli fosse capitato qualche cosa avrebbe dovuto bruciare l'Eneide; Vario rispose che non lo avrebbe mai fatto. E così, vicino a morire, chiese insistentemente gli scrigni: voleva bruciarla egli stesso; ma nessuno glieli portava; e non prese, almeno nominatamente per l'Eneide, nessuna decisione. Lasciò per vero le sue carte a vario e a Tucca sotto la condizione che nulla pubblicassero che non fosse già stato pubblicato da lui stesso.

"Ma, con l'autorità di Augusto, Vario pubblicò gli scritti inediti, solo riveduti esternamente, e lasciò stare com'erano quei versi incompleti: versi che molti poi tentarono d'integrare, senza riuscirvi per la difficoltà: giacché tutti gli emistichi di Virgilio hanno un senso assoluto e perfetto, tranne quello «quam tibi iam Troia» .

"Il grammatico Niso diceva di aver udito dai vecchi che vario mutò l'ordine di due libri, e quello che attualmente è il secondo lo collocò al posto del terzo e che corresse l'inizio del primo libro, togliendo questi versi:

 

"Ille ego qui quondam gracili modulatus avena

carmina et egressus silvis vicina coegi,

ut quamvis avido parerent arva colono,

gratum opus agricolis, at nunc horrentia Martis -

arma virumque cano…"

 

"Denigratori a Virgilio non mancarono mai, e non è meraviglia: non mancarono nemmeno a Omero.

"Diffuse appena le Bucoliche, un certo Numitorio pubblicò (le sue) Anti-bucoliche, insulsissime parodie di due egloghe, la prima delle quali comincia:

 

"Tityre, si toga calda tibi est, quo tegmine fagi?" -

 

"e l'altra:

 

"Dic mihi Damoeta: cuium pecus anne Latinum?

Non. Verum Aegonis nostri sic rure locuntur."

 

"Un tale, mentre Virgilio recitava le Georgiche, al verso «nudus ara, sere nudus», aggiunse: «habebis frigore febrem».

"Contro l'Eneide c'è un libro di Carvilio Pittore dal titolo La frusta di Enea.

M. Vipsanio vedeva in lui una creatura introdotta di soppiatto da Mecenate, un duffusore di una nuova forma larvata di cattivo gusto, non gonfia cioè né delicata, ma fatta di parole comuni.

"Erennio raccolse di lui solamente le mende, Perellio Fausto i plagi. Ma gli otto volumi di Q. Ottavio Avito, intitolati Somiglianze, contengono i versi derivati e le fonti da cui sarebbero derivati.

"Asconio Pediano, nel libro che ha scritto contro i denigratori di Virgilio, ammette solamente poche accuse, quelle riguardanti per lo più la materia storica e il fatto d'imitare troppe cose di Omero; ma riferisce che già da questa accusa soleva difendersi lo stesso Virgilio: «Perché non tentano gli stesi furti anche loro?  Capirebbero che veramente è più facile toglier la clava ad Ercole anziché un verso ad Omero». E tuttavia stabilì di partire per correggere e risolvere il tutto a soddisfazione dei malevoli."

 

Da questi aneddoti, più o meno salaci, traspare la vastissima risonanza che l'Eneide incontrò, fin dal suo primo apparire, nonostante che il suo autore non avesse potuto darle l'ultima mano; risonanza che gettò - mescolandosi ad altri aneddoti, relativi alla sua vita (per esempio, le circostanze della nascita e la crescita "miracolosa" del pioppo che era stato piantato su quel luogo) - le basi della futura "leggenda" virgiliana.

 

Eppure, noi continuiamo a pensare che il vero capolavoro di Virgilio non sia l'Eneide, e non solo e non tanto perché rimasta incompiuta; ma perché l'animo del suo autore era troppo lontano da quello dell'epos omerico, che pure egli volle emulare.

L'autentico spirito della poesia di Virgilio - mite, pacifico, semplice, sensibilissimo, simpatizzante d'istinto con gli umili e con i vinti, essenzialmente malinconico - traspare molto di più nelle due cosiddette "opere minori": nelle Bucoliche, perfette nella loro misura teocritea, intimistica e intensamente lirica; e soprattutto nelle Georgiche, ove erompe ad ogni verso la vena più autentica dell'epos virgiliano: che non è un epos guerriero e "primitivo", bensì un epos agreste, esiodeo, in parte lucreziano; e, al tempo stesso, profondamente colto.