Revisionismo o negazionismo? Intervista a Robert Faurisson
di Giovanna Canzano - 03/03/2008
Fonte: giovanna canzano
… “La mia sorte è stata la seguente: una decina di aggressioni, circa trent'anni di processi, perquisizioni, una fiumana di condanne giudiziarie, sequestri alla mia banca, una carriera spezzata, ignobili ritorsioni su mia moglie e sui miei figli; il tutto per istigazione o con la piena approvazione delle autorità mediatiche, politiche, universitarie” … “Ma, nella disgrazia,
ho avuto fortuna. Fino ad ora, il mio revisionismo non mi è costato un solo giorno di prigione.
La mia sorte è invidiabile se la paragono a quella dei revisionisti che,
in Germania, in Austria, in Francia, in Belgio, in Spagna, in Svizzera, in Svezia o in
Canada sono stati gettati in carcere”… (Roberto Faurisson)
CANZANO 1- Quali sono per Lei le conquiste più significative del revisionismo storico?
FAURISSON - [Come preambolo, mi permetta una puntualizzazione: io mi trovo ad essere, per prima cosa, cittadino britannico e, in secondo luogo, cittadino francese e voglio che sia ben chiaro che è esclusivamente nella mia qualità di cittadino britannico, e dunque come uomo libero, che io risponderò alle Sue domande].
A condizione di sostituire la parola “conquiste” con quella di “vittorie”, Lei troverà una risposta a questa Sua prima domanda in un testo che ho intitolato proprio “The Victories of Revisionism” (Teheran, 11 dicembre 2006). Vi enumero venti delle nostre vittorie. Sul piano strettamente scientifico e storico, queste vittorie sono state così importanti, sia per numero che per ampiezza, che non è rimasta pietra su pietra dell’edificio di menzogne costruito dalla religione de “l’Olocausto”. Sul piano mediatico, per converso, il nostro scacco è cocente poiché – è giocoforza il constatarlo – malgrado la nostra presenza su Internet, con l’Aaargh-VHO, Radio Islam e parecchi altri siti revisionisti, il grande pubblico sembra ignorare quasi tutto dei nostri successi, come pure della sconfitta dei nostri avversari.
Prendiamo il caso dell’ebreo americano Raul Hilberg; egli è il Number One degli storici di quello che viene diffusamente chiamato “Olocausto” o “Shoah” e a cui, per parte sua, preferisce dare il nome di “la distruzione degli ebrei d’Europa”. È nel 1961 che egli ha pubblicato la sua prima versione di The Destruction of the European Jews. All’epoca, sosteneva con sussiego la tesi secondo la quale Adolf Hitler aveva dato due ordini di sterminare gli ebrei d’Europa (p. 177). Questi ordini, dei quali, curiosamente, egli non indicava né le date né i rispettivi contenuti, erano stati, secondo lui, seguiti da istruzioni diverse, che sfociavano, da un lato, nei massacri sistematici di ebrei condotti in Russia dagli Einsatzgruppen, e, dall’altro, alla costruzione dei “campi di sterminio” (sic) in Polonia o in Germania, in particolare ad Auschwitz . Sempre a suo dire, al fine di perpetrare questo crimine specifico e senza precedenti, i Tedeschi avrebbero inventato ed utilizzato delle armi anch’esse specifiche e senza precedenti, chiamate sia “furgoni a gas”, sia “camere a gas” (utilizzando, in particolare, l’insetticida Zyklon B). Ma, anno dopo anno, sotto la pressione della critica revisionista che gli chiedeva delle prove e non delle sedicenti testimonianze, R. Hilberg ha dovuto battere in ritirata. Nel 1983, egli ha finito con il dichiarare che, a ben riflettere, questo gigantesco massacro non era stato concertato (come dapprima egli aveva scritto) ma si era prodotto spontaneamente, in seno alla vasta burocrazia tedesca, “per un incredibile incontro degli spiriti, per una consensuale trasmissione del pensiero” (“by an incredible meeting of minds, a consensus-mind reading by a far-flung bureaucracy”). Nel gennaio del 1985, all’inizio del primo dei due grandi processi intentati da alcune organizzazioni ebraiche canadesi contro il revisionista Ernst Zündel, a Toronto, noi gli abbiamo fatto confermare sotto giuramento questo suo strano discorso. Nel corso dello stesso anno, nella seconda edizione della sua opera, egli ha, ancora una volta, esposto la nebulosa teoria secondo la quale la distruzione degli ebrei d’Europa si era prodotta per un fenomeno di generazione spontanea, e si era sviluppato tramite trasmissione del pensiero. Egli precisava che l’impresa criminale in questione si era sviluppata senza un piano, senza un organismo speciale, senza direttive né autorizzazioni scritte, senza ordini, senza spiegazioni, senza budget, senza perciò lasciare delle tracce per lo storico. Donde, a ben comprendere, l’impossibilità per lo storico di produrre delle prove. Egli ha concluso: “In ultima analisi, la distruzione degli Ebrei non si realizzò solo [sic] in esecuzione delle leggi e degli ordini, ma come conseguenza di una disposizione dello spirito, di un accordo tacito, di una consonanza e di un sincronismo” (La Distruzione degli Ebrei d’Europa, Torino, Einaudi Tascabili, 1995 e 1999, vol. 1, p. 53 nell’originale: “In the final analysis, the destruction of the Jews was not as much a product of laws and commands as it was a matter of spirit, of shared comprehension, of consonance and synchronization”, The Destruction of the European Jews, New York, Holmes & Meier, 1985, p. 55) [La traduzione delle parole di Hilberg “not as much a product of laws...” con “non ... solo in esecuzione delle leggi...” è errata; una versione più esatta e fedele della frase in oggetto è: “In ultima analisi, la distruzione degli Ebrei fu non tanto il prodotto di un'esecuzione delle leggi e degli ordini quanto un affare di disposizione dello spirito, di una comprensione condivisa, di una consonanza e di un sincronismo”.NdT]. Ora, in tutta la storia del mondo, non si conosce un solo crimine dalle proporzioni gigantesche che si sia prodotto per opera dello Spirito Santo, e che, pur non lasciando alcuna traccia della propria concezione, dei suoi preparativi o della sua organizzazione, abbia, come surplus, prodotto alcuni milioni di “miracolati” che sono sfuggiti al supposto massacro. [Nota di G. Canzano: Per un approfondimento di questo argomento si veda lo scritto di C. Mattogno Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia. 2008, in: http://vho.org/aaargh/fran/livres8/CMhilberg.pdf]
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Già nel 1978/1979, nel giornale Le Monde, avevo dimostrato che l’esistenza delle pretese camere a gas hitleriane si scontrava con una radicale impossibilità tecnica, ed avevo sfidato la parte avversa a mostrare come un omicidio di massa, quale è il preteso genocidio degli ebrei, fosse stato tecnicamente possibile. In una dichiarazione comune firmata da 34 storici ed autori francesi, fra cui Léon Poliakov, Pierre Vidal-Naquet, Fernand Braudel e Jacques Le Goff, mi si era risposto: “Non bisogna chiedersi come tecnicamente un tale assassinio di massa sia stato possibile; esso è stato tecnicamente possibile poiché ha avuto luogo” (Le Monde, 23 febbraio 1979). Ciò è quel che si chiama, nello stesso tempo, confessare la propria impotenza ed imporre agli altri il rispetto di un tabù. In fondo, R. Hilberg ha conosciuto, nel 1983-1985, uno smarrimento ed un’umiliazione simili a quelle che avevano subito in Francia, dal 1979, i suoi 34 colleghi o amici. Se Lei vuole degli altri esempi riguardo alle concessioni a cui abbiamo costretto i sostenitori della tesi del genocidio degli ebrei e delle camere a gas naziste, si rifaccia ai diciotto altri casi che io ho riportato nel mio testo dell’11 dicembre 2006. Non tralasci, soprattutto, quello di Jean-Claude Pressac, un personaggio che era stato sostenuto e decantato dalla coppia Klarsfeld [Serge e la moglie Beate – NdT]. Dopo molteplici pubblicazioni in favore della tesi ufficiale, J.-C. Pressac ha finito, il 15 giugno 1995, col firmare, sotto forma di risposta scritta ad un questionario di Valérie Igounet, una sorta d’atto di capitolazione a tutto tondo in cui egli ha riconosciuto che la documentazione della tesi dello sterminio era “marcia”, irrimediabilmente “marcia”, e che era votata agli “immondezzai della storia”. Questo atto di capitolazione ci è stato nascosto per cinque anni. Il testo non ci è stato rivelato che nell’anno 2000; esso è stato difatti riprodotto, con un piccolissimo carattere tipografico, all’estrema fine di un ponderoso libro precisamente firmato da Valérie Igounet: Histoire du négationnisme en France (pp. 651-652).
Per quel che riguarda il numero dei morti ad Auschwitz, preteso “campo di sterminio” (denominazione creata dagli Americani) situato al centro di un supposto sistema di liquidazione fisica degli ebrei, la verità ufficiale non ha smesso di subire delle revisioni verso il basso: fino all’inizio del 1990, questo numero era fissato a 4.000.000 di ebrei e di non ebrei; nel 1995, esso è precipitato a 1.500.000; poi, è stato successivamente di 1.100.000, di 800.000, di 700.000 e di 600.000; nel 2002, con Fritjof Meyer, redattore capo dello Spiegel, il numero è sceso a 510.000. Rimangono, agli storici ufficiali, vale a dire agli autori non perseguiti giudiziariamente per i loro scritti, ancora da fare dei progressi per raggiungere la cifra reale di circa 125.000 [nota di G. Canzano: L'ordine di grandezza di questa cifra è confermata da C. Mattogno, che ha calcolato circa 135.000 morti. C. Mattogno, Il numero dei morti di Auschwitz. Effepi, Genova, 2004, p. 34]. È in effetti a questa cifra che, probabilmente, è giunto il numero dei morti, in circa cinque anni, nei 39 campi del complesso di Auschwitz, devastato, specialmente nel 1942, da delle terribili epidemie di tifo che hanno ucciso dei detenuti, dei guardiani e perfino alcuni capo medici preposti alla salute dei detenuti.
CANZANO 2- Potrebbe riassumere per noi, brevemente, le persecuzioni fisiche e giudiziarie che ha dovuto subire per avere espresso in pubblico le Sue tesi storiche?
FAURISSON - La mia sorte è stata la seguente: una decina di aggressioni, circa trent'anni di processi, perquisizioni, una fiumana di condanne giudiziarie, sequestri alla mia banca, una carriera spezzata, ignobili ritorsioni su mia moglie e sui miei figli; il tutto per istigazione o con la piena approvazione delle autorità mediatiche, politiche, universitarie. E questo con le fanfare e in un’atmosfera da caccia alla volpe, con appelli all’omicidio e con un’ondata di lordura e fango lanciati da ogni parte sulla mia persona. Il capo dell’ordine degli avvocati di Parigi, Christian Charrière-Bournazel, ritiene che gli scritti o i discorsi di Faurisson non siano che fango e lordura e si auto-descrive come “sacro spazzino”.
Ma, nella disgrazia, ho avuto fortuna. Fino ad ora, il mio revisionismo non mi è costato un solo giorno di prigione. La mia sorte è invidiabile se la paragono a quella dei revisionisti che, in Germania, in Austria, in Francia, in Belgio, in Spagna, in Svizzera, in Svezia o in Canada sono stati gettati in carcere. Sono trascorsi giusto cinque anni oggi da che, il 5 febbraio 2003, la polizia americana ha tolto Ernst Zündel a sua moglie, nella loro casa del Tennessee, per metterlo in prigione e poi per estradarlo al Canada che, a sua volta, l’ha consegnato alla Germania. I suoi processi, prima a Toronto e poi a Mannheim, si sono svolti in condizioni rivoltanti. Il suo internamento a Toronto, durante due anni, e stato degno di Guantánamo e di Abou Graib. Nessuno può dire se questo giusto, questo eroe, uscirà un giorno di prigione e potrà ritrovare sua moglie, i suoi figli e i suoi nipoti.
CANZANO 3- La conferenza revisionista che si è tenuta a Teheran nel dicembre 2006 ha provocato un’ondata di indignazione mondiale; ha avuto anche delle ricadute positive?
FAURISSON - Mi permetta una rettifica. La conferenza di Teheran non può né deve essere qualificata come “revisionista”. La verità è che era aperta a tutti, ivi compresi i revisionisti. Essa ha fatto conoscere al mondo intero l’esistenza del revisionismo, ma senza riuscire a spezzare la morsa della censura che si è ovunque ed immediatamente richiusa, facendo in modo che il grande pubblico continuasse ad ignorare quali sono precisamente i nostri argomenti e le nostre conclusioni. Un po’ ovunque nel mondo occidentale, si è gridato alla bestemmia. Di ritorno al loro paese d’origine, alcuni partecipanti alla conferenza si sono trovati esposti alla repressione, in particolare uno Svedese, un Australiano e due dei sei coraggiosi rabbini antisionisti che avevano fatto la trasferta: il grande rabbino d’Austria e un rabbino di Manchester. Per la mia modesta parte, sono stato fatto oggetto di una inchiesta giudiziaria voluta all’epoca da Jacques Chirac; sono stato convocato due volte dalla polizia giudiziaria. La seconda volta, ben recentemente, sono stato posto in stato di fermo, mentre la mia casa veniva perquisita. Vi invito a venire al processo che si sta così preparando, ma la cui data non è stata ancora fissata. Riservo ai miei giudici e al procuratore una dichiarazione di cui si ricorderanno. Oggi stesso, apprendo appena che in un altro affare (quello di un’intervista concessa a “Sahar”, stazione della radio-televisione iraniana), la corte di cassazione ha confermato che dovrò versare 18.000 euro fra ammenda e di diverse indennità.
CANZANO 4- Cosa ne pensa dell’avvenire del revisionismo e, in particolare, dei tentativi di introdurre in Italia una legge antirevisionista come quella francese?
FAURISSON - L’avvenire del revisionismo mi sembra compromesso, e quello dei revisionisti mi appare particolarmente cupo. La sorte che ci attende potrebbe essere paragonabile a quella dei pagani dopo il trionfo del cristianesimo, nel quarto secolo della nostra era: la progressiva cancellazione. Temo l’estensione di una legge antirevisionista su scala europea. Ma, deve saperlo, è possibile reprimere il revisionismo senza istituire, tuttavia, una legge specifica in questo senso. Consideri, ad esempio, il comportamento degli Stati Uniti, del Canada, dell’Australia e della Nuova Zelanda nei diversi casi particolari: oltre a quello di Ernst Zündel, quelli di Germar Rudolf, di Fredrick Töben e di Joel Hayward (quest’ultimo, semi-revisionista d’origine ebraica, ha salvato la pelle e la propria carriera universitaria solo rinnegando sé stesso). In Francia, ancor prima della specifica legge del 1990 (“legge Fabius-Gayssot”), non ci si è fatto scrupolo di perseguire penalmente dei revisionisti e condannarli sul piano giudiziario. “Chi vuole annegare il proprio cane lo accusa d’avere la rabbia”. Chi vuole attaccare un revisionista l’accuserà indifferentemente di “danni contro terzi”, per “diffamazione”, per “incitazione all’odio razziale”, per “apologia di reato”, di “offesa ai diritti dell’uomo”, di “terrorismo” o di qualsiasi altro crimine o delitto. Personalmente, io sono stato condannato nei Paesi-Bassi per danni a terzi e per violazione della proprietà letteraria! In un’opera sull’impostura del “Diario di Anna Frank” ero stato indotto a citare abbondantemente degli estratti da questo sedicente diario; il tribunale olandese ha deciso che, così facendo, avevo commesso una sorta di furto a danno degli aventi diritto di Anna Frank, ed ha anche stabilito che, seminando il dubbio sull’autenticità della suddetta opera, avevo compiuto un’offesa contro due fondazioni (rivali nello Shoah-Business!), una situata in Svizzera e l’altra nei Paesi Bassi, che difendono, entrambe, la memoria di Anna Frank. Inoltre, il tribunale ha avvalorato la tesi per cui io avevo costretto il Museo Anna Frank di Amsterdam a spendere dei soldi per preparare il personale a rispondere alle domande poste dai visitatori che potevano essere rimasti turbati dai miei argomenti.
Capita che delle brave persone dichiarino: “Io confido nella giustizia del mio paese”. Personalmente, reso edotto dall’esperienza della storia, io non vedo come si possa fare affidamento su dei magistrati. La gran parte dei giudici ha la docilità dei buoni e tranquilli ragazzi nati da buoni e tranquilli genitori. In materia di processi per revisionismo, se confido nei magistrati, è piuttosto per la loro propensione a schernire, all'occorrenza, la più elementare giustizia. In Francia, tre volte ho querelato per diffamazione; tre volte i giudici hanno riconosciuto che avevo ragione, pur tuttavia hanno respinto la mia domanda perché, ogni volta, hanno decretato che il mio diffamatore era “in buona fede”. L’ultimo esempio è quello del processo che ho dovuto intentare a Robert Badinter perché questo personaggio aveva osato dire alla televisione: “Io ho fatto condannare Faurisson per essere un falsario della storia”. I giudici hanno deciso che R. Badinter aveva “fallito nel suo tentativo di produrre prove”, vale a dire che si era mostrato incapace di giustificare le sue asserzioni; essi hanno riconosciuto che questo vecchio avvocato e ex-ministro (della Giustizia) mi aveva diffamato, ma hanno aggiunto, senza fornirne la prova, che il mio diffamatore era stato “in buona fede” e mi hanno condannato a versargli 5.000 euro, somma che, per me, in questo processo, si è aggiunta a ben altre spese; io ho versato questi 5.000 euro ma, non avendo altro denaro, ho rinunciato a interporre appello. Tutti i giornali che hanno dato notizia della vicenda hanno spiegato ai loro lettori che R. Badinter, che aveva detto: “Io ho fatto condannare Faurisson per essere un falsario della storia”, aveva vinto il processo, e che Faurisson aveva dovuto inchinarsi di fronte al verdetto; essi hanno nascosto, o occultato, il fatto che R. Badinter mi aveva diffamato, sia pure “in buona fede”.
CANZANO 5- Lei ha spesso paragonato le presunte armi di distruzione di massa di Saddam Hussein alle camere a gas hitleriane: può chiarire questo concetto?
FAURISSON - Il 23 giugno 2003 avevo redatto un articolo dedicato all’arresto, a Vienna, di un revisionista: l’ingegnere chimico e specialista delle camere a gas di decontaminazione Wolfgang Fröhlich, che, per altro, sconta attualmente una pena di sei anni e cinque mesi di prigione. In questo articolo, avevo ricordato l’offensiva condotta dai politici americani Rudy Giuliani e George W. Bush contro dei “revisionisti” che, già da un bel pezzo, avevano scoperto che le armi di distruzione di massa attribuite a Saddam Hussein semplicemente non esistevano affatto. Il 16 giugno 2003, Bush aveva condannato “un mucchio di storia revisionista attualmente in marcia” (“a lot of revisionist history now going on”). Io avevo colto l’occasione per tracciare un parallelo fra F. D. Roosevelt e G. W. Bush, da una parte, e Adolf Hitler e Saddam Hussein dall’altra. Scrivevo:
Nel gennaio 1944, il presidente Roosevelt, manipolato da Henry Morgenthau Jr, suo segretario di Stato al tesoro, creò il Consiglio dei Rifugiati di Guerra (War Refugee Board o WRB), che avrebbe fabbricato un rapporto, divenuto poi tristemente famoso, su: “I campi di sterminio tedeschi – Auschwitz e Birkenau”. Nel settembre 2001, il presidente Bush, manipolato da Paul Wolfowitz, creò l’Ufficio dei Piani Speciali (Office of Special Plans o OSP), che poi si mise a costruire dei falsi rapporti sulle armi di distruzione di massa dell’Irak (Weapons of Mass Destruction ou WMD). Questo ufficio è diretto da Abram Shulsky. In seno a questo stesso ufficio i quattro responsabili incaricati dei rapporti su queste armi di distruzione di massa si auto-designano con il nome di “la cabala” [ebraica]! Seymour Hersh, giornalista americano di fama, ne ha fatto la rivelazione in un lungo articolo del New Yorker datato al 12 maggio [2003] e, in Francia, Jacques Isnard l’ha riportato su Le Monde del 7 giugno, a pagina 7.
Io allora concludevo:
Medesime menzogne. Medesimi mentitori. Medesimi beneficiari. Medesime vittime. Sembra dunque che sia necessario un medesimo lavoro revisionista.
In seguito, Le Monde del 17 giugno aveva pubblicato in prima pagina un articolo intitolato ironicamente: “Saddam era un malvagio, dunque aveva delle armi proibite”. Il giorno dopo ho mandato al giornale, affinché la pubblicasse, una lettera il cui contenuto si limitava ad una frase: “Hitler era malvagio, dunque aveva delle camere e dei furgoni a gas”, ma, come ci si poteva aspettare, la mia impertinente missiva non è stata pubblicata.
CANZANO 6- Da alcuni anni a questa parte, il revisionismo si trova ad essere comunemente chiamato “negazionismo” in quanto si dice che esso abbia un carattere eminentemente distruttivo. Lei che cosa ne pensa?
FAURISSON - “Negazionismo” è un barbarismo e, a coloro che mi danno del “negazionista”, io potrei ribadire, forgiando a mia volta un barbarismo, che essi sono degli “affermazionisti”. Nel Faust di Goethe, Mefistofele è “lo spirito che sempre nega”. Ora, i revisionisti non sono affatto diabolici; non negano nulla, e soprattutto non negano l’evidenza. Al termine delle loro ricerche, essi si limitano ad affermare che quella convinzione, largamente diffusa, non è che un’illusione. Galileo non negava nulla; egli constatava l’esistenza di un errore o di una superstizione ed insisteva affinché, in un ambito particolare della conoscenza, l’astronomia, si rivedesse, correggesse o revisionasse ciò che fino ad allora era stato creduto esatto e che, a suo avviso, era falso. Il revisionismo è POSITIVO, talvolta anche positivista. Esso preconizza la riflessione, la verifica, lo sforzo, il lavoro, la ricerca. E poi si trova ad essere anche un UMANESIMO : offre agli uomini un mezzo per intendersi al di là di ogni appartenenza ad un gruppo nazionale, politico, religioso o professionale. Esso rigetta l’argomentazione basata sul principio d'autorità. Per i revisionisti, ciò che affermano eruditi, professori, magistrati non è necessariamente esatto o conforme alla realtà, e deve poter essere sottoposto ad esame. Il revisionismo ce ne avverte: ciò che l’opinione pubblica ribadisce indefinitamente, fino alla noia, potrebbe non essere che una leggenda, una credenza infondata. Attenzione alla calunnia! Prima di ripetere che la Germania ha commesso il crimine più atroce di tutti i tempi, e di aggiungere che quasi tutto il resto del mondo è stato il complice di questo crimine sia partecipandovi, sia distogliendo lo sguardo, dobbiamo esigere delle prove. Con quale diritto si afferma che la patria di Goethe e di Beethoven si è disonorata al punto da costruire dei mattatoi chimici per asfissiarvi milioni d’uomini, di donne e di bambini? Con quale diritto tante istituzioni ebraiche si permettono di accusare confusamente di complicità in questo crimine il Papa Pio XII, il Comitato internazionale della Croce Rossa, Roosevelt, Churchill, de Gaulle, Stalin, gli alleati della Germania (ivi compresi i Giapponesi, il Grand Mufti di Gerusalemme, gli Indù liberi di Chandra Bose) e i paesi neutrali, a cominciare dalla Svizzera? È davvero possibile che solo gli ebrei e i loro amici abbiano visto chiaro, mentre il resto del mondo, o poco ci manca, sarebbe stato accecato dall’odio o dall’ignoranza? Il canadese David Matas, avvocato provetto e un’autorità in seno al “B’nai B’rith” (una specie di frammassonneria esclusivamente ebraica, con ambasciatori presso l’ONU ed altre organizzazioni internazionali), ha dichiarato, il 27 gennaio 2008: “L’Olocausto è stato un crimine di cui quasi ogni paese del globo è stato complice” (“The Holocaust was a crime in which virtually every country in the globe was complicit”). Mi sembra che, nel momento in cui i revisionisti vengono a sostenere, al termine delle loro ricerche, che D. Matas si inganna o ci inganna, evocando in questo modo il preteso genocidio degli ebrei, dovremmo almeno prestare attenzione a queste ricerche, invece di interdirle con “la forza ingiusta della legge”. Chi, in questa vicenda, Le sembra mantenere un comportamento normale ed UMANO? A parer Suo, è questo D. Matas e i suoi potenti amici, oppure il germano-canadese Ernst Zündel, il quale deve proprio a questa gente di essere stato mandato in prigione per così tanti anni? Per riprendere le Sue parole, io dirò dunque che, a mio sentire, lungi dall’avere “un carattere eminentemente distruttivo”, il revisionismo è dotato di un carattere COSTRUTTIVO ed eminentemente UMANO.
All’ateo che io sono, permetta la seguente riflessione: la religione de “l’Olocausto” non è che un avatar della religione veterotestamentaria. Alla pari di quest’ultima, essa è inumana. Insegna l’odio, la crudeltà, la sete di vendetta e la violenza. Essa ci tratta tutti come Palestinesi; si burla dell’uomo, e cerca di farci ingoiare le storie più balorde che ci siano. E deve, difatti, far così: come Le ho detto, sul piano della storia e della scienza o, in una parola, della ragione, gli Hilberg e i Pressac sono stati ridotti a zero dai revisionisti. Allora, disperando per la causa, e per propria inclinazione, i sostenitori dell’Olocausto si sono rivolti ai Claude Lanzmann, agli Elie Wiesel, ai Marek Halter, agli Steven Spielberg, vale a dire a dei narratori di storie ebraiche, che hanno in orrore la scienza storica. Essi del resto non lo nascondono affatto. E. Wiesel, che è il più grande dei nostri falsi testimoni, ha finito con lo scrivere nelle sue memorie: “È meglio che le camere a gas restino chiuse agli sguardi indiscreti. E all’immaginazione” (Tous les fleuves vont à la mer…, Le Seuil, 1994, p. 97). Quanto a Claude Lanzmann, che ha finito con il confessare d’avere pagato, e caro, i suoi “testimoni” tedeschi per il film Shoah, egli ha sempre proclamato il suo odio per gli storici e per i loro documenti, giungendo ad affermare che, se avesse scoperto un film che mostrava una scena di gassazione degli ebrei, lo avrebbe distrutto. Questa tipologia di commercianti è a favore dei racconti, dei romanzi, delle novelle, dei film, del teatro, degli spettacoli d’ogni genere, e parteggia anche per il kitsch, purché questo serva ciò che essi chiamano la Memoria. Essi sono a favore de “la Mémoria” tale e quale la si scrive ad Hollywood, allo Yad Vashem o in quelle Disneyland che stanno diventando, progressivamente, tutti questi musei degli orrori che proliferano ad Auschwitz, a Berlino, a Washington o in cento altri punti del globo. Costoro privilegiano i metodi hollywoodiani e le prassi scenografiche più disoneste e disdegnano apertamente la storia. Si interessano all’arte di suscitare delle emozioni. Questa gente segue le ricette dello “story-telling”, vale a dire l’arte di imbastire una buona storia, dove il lettore o lo spettatore, gustando simultaneamente il piacere dell’indignazione contro i cattivi nazisti e quello della commiserazione per i poveri ebrei, potrà abbandonarsi al pianto. La letteratura olocaustica rigurgita di racconti di orrori e di miracoli degni dell’Antico Testamento, con le sue storie delle Piaghe d’Egitto, del Mar Rosso, delle Mura di Gerico o di Giosué che ottiene che il sole si fermi in modo che gli ebrei possano compiere un massacro. Si tratta lì di una lunga tradizione ebraica, la cui parola d’ordine è: “Niente Storia ma delle storie”. In un testo datato al 15 giugno 2006 ed intitolato: “Mémoire juive contre l’histoire (ou l’aversion juive pour tout examen critique de la Shoah)” (“Memoria ebraica contro la storia [o l’avversione ebraica per ogni esame critico della Shoah]”), raccontavo della disavventura toccata al più prestigioso storico israeliano, Ben Zion Dinur, nato Dinaburg (1884-1973). Fondatore dell’Istituto Yad Vashem, egli ha avuto l’audacia di preconizzare la diffidenza dell’ambito scientifico rispetto alle innumerevoli “testimonianze” dei “sopravissuti” o “miracolati”; voleva verificarne l’autenticità; così facendo, ha provocato contro di sé una temibile campagna che l’ha costretto, alla fine, a dimettersi dalla direzione dello Yad Vashem.
A partire dal 1995-1996, gli storici de “l’Olocausto” hanno definitivamente ceduto il passo ai servitori della Memoria. Nel 1996, una sorta di Pressac in sedicesimo, Robert Jan van Pelt, universitario canadese, sarà stato l’ultimo storico ebreo a tentare di difendere la tesi de “l’Olocausto” sul piano scientifico. Dopo questa data, gli specialisti dell’argomento hanno moltiplicato le pubblicazioni in cui ognuno di loro fornisce la propria particolare interpretazione de “l’Olocausto”, ma senza più tentare di dimostrare, in via preliminare, che vi sia stato effettivamente un genocidio degli ebrei e delle camere a gas naziste. Per contro, siamo intossicati con una letteratura strabiliante, nello stile dei racconti di Misha Defonseca, di Shlomo Venezia o di quel consacrato burlone di Padre Patrick Desbois: una bambinella ebrea, adottata dai lupi, attraversa con loro l’intera Europa alla ricerca dei suoi genitori deportati ad Auschwitz; i camini dei crematori lanciano, giorno dopo giorno, notte dopo notte, delle fiamme verso il cielo (mentre un solo fuoco di ciminiera avrebbe interrotto per lungo tempo ogni attività di cremazione); quando i Tedeschi decidono di giustiziare dei grandi gruppi d’ebrei, mobilitano dei bambini ai quali ordinano di battere su delle casseruole per coprire il rumore delle fucilate e le grida delle vittime; “Noi eravamo trenta fanciulle ucraine che dovevano, a piedi nudi, pigiare i corpi degli Ebrei e gettarvi sopra una fine coltre di sabbia, in modo che gli altri Ebrei potessero adagiarvisi” (Padre Patrick Desbois, Porteur de mémoires / Sur les traces de la Shoah par balles, Michel Lafon, 2007, pp. 115-116); “Poi, un altro giorno, in un altro villaggio, qualcuno che, bambino, era stato requisito per scavare una fossa ci racconta che una mano uscita dal suolo si è appiccicata alla sua pelle” (pp. 92-93); “[Samuel Arabski] ci ha spiegato, con lo sguardo colmo di terrore, che la mano di un Ebreo uscita dalla fossa è venuta ad afferrare la sua pelle” (p. 102). Non si finirebbe mai di enumerare queste fantasmagorie che sono disonorevoli per chi le inventa, le stampa o ne fa dei film, e che degradano, allo stesso tempo, coloro che sono indotti a leggerne il racconto, o a vederne la rappresentazione.
Da parte mia, prendendo atto del fatto che, in questi ultimi dieci anni, la storiografia de “l’Olocausto” si è ridotta essenzialmente a queste sotto-produzioni, ho l’impressione che il mio ruolo sia sul finire. Ho 79 anni. Non consacrerò quel poco di vita che mi resta a dimostrare l’assurdità, sempre più grossolana, del commercio o dell’industria de “l’Olocausto”. I revisionisti l’hanno già ampiamente provata: La storia del preteso sterminio degli Ebrei e delle pretese camere a gas naziste è un’impostura che ha aperto la strada ad una gigantesca truffa politico finanziaria, di cui i beneficiari principali sono lo Stato di Israele e il sionismo internazionale, e le cui vittime principali sono il popolo tedesco – ma non i suoi governanti – e l’intero popolo palestinese. Sono giunto a questa conclusione nel 1980. Al giorno d’oggi, 5 febbraio 2008, non devo cambiarla di un iota.
Per riassumere in una frase il bilancio personale degli ultimi trent’anni da me già consacrati al revisionismo storico, dirò che io ho semplicemente voluto, con dei mezzi risibili, servire una causa ingrata: quella della scienza storica. Non ho nient’altro da dire a mia difesa.
Le sono grato di avermi accordato la parola. Il primo giornalista che abbia voluto darmela per davvero è stato uno dei Suoi connazionali. Si chiamava Antonio Pitamitz. Era nel 1979, sul mensile Storia Illustrata, poi scomparso. Oggi, un professore universitario si batte aspramente perché mi sia accordato il diritto di esporre le mie vedute – delle vedute che egli forse per parte sua non condivide – e si tratta ancora di un Italiano. Lei lo conosce: si chiama Claudio Moffa.
BIBLIOGRAFIA
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http://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Faurisson
Nato a Shepperton (Inghilterra) 25 gennaio 1929, da padre francese e madre scozzese, si laureò alla Sorbona e dal 1974 cominciò ad insegnare letteratura presso l'Università di Lione; nel corso di quel decennio pubblicò alcune monografie di critica letteraria.
Tra il dicembre 1978 ed il febbraio 1979 scrisse tre lettere al quotidiano Le Monde, nelle quali dichiarava di essersi persuaso delle tesi che sollevavano dubbi circa l'Olocausto, e chiedeva agli storici di dibatterle; in particolare, Faurisson negava la possibilità che fossero esistite camere a gas omicide nei campi di concentramento tedeschi, ed invitava chiunque a presentare prove incontrovertibili della loro esistenza e funzionamento. Da allora ha pubblicato una lunga serie di articoli e libri criticando la storiografia "ufficiale" sulla Shoah. Dopo le prime risposte, quasi tutti gli storici scettici circa le tesi negazioniste cessarono di confrontarsi con gli scritti di Faurisson. Nel 1990 Robert Faurisson fu rimosso dall'insegnamento e privato della pensione. Egli ha inoltre subito diversi processi per avere negato dei crimini contro l'umanità, ricevendo in alcuni delle assoluzioni ed in altri delle condanne a pene pecuniarie (oltre a tre mesi in libertà in vigilata, il 3 ottobre 2006).
Robert Faurisson è stato anche fatto oggetto di aggressioni fisiche. Nella più grave ha riportato la frattura della mascella. In Italia, a Teramo, dove il 18 maggio 2007 era stato invitato a tenere una conferenza presso la locale Università, durante una dimostrazione di protesta per la sua presenza, egli è stato strattonato ad opera dei manifestanti.
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intervista nell'originale francese
Robert Faurisson répond à six questions de la journaliste italienne Giovanna Canzano
CANZANO 1- Quelles sont pour vous les conquêtes les plus significatives du révisionnisme historique ?
FAURISSON - [Au préalable, permettez-moi une mise au point : je me trouve être d’abord citoyen britannique, puis citoyen français et je veux qu’il soit clair que c’est exclusivement en ma qualité de citoyen britannique, et donc en homme libre, que je vais répondre à vos questions].
A condition de remplacer le mot de « conquêtes » par celui de « victoires », vous trouverez une réponse à votre première question dans un texte que j’ai précisément intitulé « The Victories of Revisionism » (Téhéran, 11 décembre 2006). J’y énumère vingt de nos victoires. Sur le strict plan scientifique et historique, ces victoires ont été si importantes en nombre et par leur étendue qu’il ne reste plus pierre sur pierre de l’édifice de mensonges construit par la religion de « l’Holocauste ». Sur le plan médiatique, en revanche, notre échec est cuisant puisque – force est de le constater – malgré notre présence sur Internet, avec l’Aaargh-VHO, Radio Islam et tant d’autres sites révisionnistes, le grand public semble ignorer à peu près tout de nos succès comme de la déroute de nos adversaires.
Prenons le cas du juif américain Raul Hilberg ; il est le Number One des historiens de ce qu’on appelle « Holocauste » ou « Shoah » et que, pour sa part, il préfère nommer « la destruction des juifs d’Europe ». C’est en 1961 qu’il a publié sa première version de The Destruction of the European Jews. A l’époque, il soutenait avec aplomb la thèse selon laquelle Adolf Hitler avait donné deux ordres d’exterminer les juifs d’Europe (p. 177). Ces ordres, dont, curieusement, il n’indiquait ni les dates ni les contenus respectifs, avaient été, selon lui, suivis d’instructions diverses aboutissant, d’une part, à des massacres systématiques de juifs par les Einsatzgruppen en Russie et, d’autre part, à l’édification de « camps d’extermination » (sic) en Pologne ou en Allemagne, en particulier à Auschwitz ; toujours à l’en croire, afin de perpétrer ce crime spécifique et sans précédent, les Allemands avaient inventé et utilisé des armes spécifiques et sans précédent appelées soit « camions à gaz », soit « chambres à gaz » (utilisant, en particulier, l’insecticide Zyklon B). Mais, d’année en année, sous la pression de la critique révisionniste qui lui demandait des preuves et non de prétendus témoignages, R. Hilberg a dû battre en retraite. En 1983, il a fini par déclarer que, toute réflexion faite, ce gigantesque massacre n’avait pas été concerté (comme il l’avait d’abord écrit) mais s’était produit spontanément, au sein de la vaste bureaucratie allemande, « par une incroyable rencontre des esprits, une transmission de pensée consensuelle » (« by an incredible meeting of minds, a consensus-mind reading by a far-flung bureaucracy »). En janvier 1985, au début du premier des deux grands procès intentés par des organisations juives canadiennes au révisionniste Ernst Zündel, à Toronto, nous lui avons fait confirmer sous serment ces étranges propos. Au cours de la même année, dans la seconde édition de son ouvrage, il a, une nouvelle fois, exposé la nébuleuse théorie selon laquelle la destruction des juifs d’Europe s’était produite par un phénomène de génération spontanée et s’était développée par transmission de pensée. Il précisait que l’entreprise criminelle en question s’était déroulée sans plan, sans agence spéciale, sans directives ni autorisations écrites, sans ordres, sans explications, sans budget, sans donc laisser de trace pour l’historien. D’où, si l’on comprend bien, l’impossibilité pour l’historien de produire des preuves. Il a conclu : « En dernière analyse, la destruction des juifs ne fut pas tant accomplie par l’exécution de lois et d’ordres que par suite d’un état d’esprit, d’une compréhension tacite, d’une consonance et d’une synchronisation » (La Destruction des juifs d’Europe, Paris, Fayard, 1988, p. 53 ; dans l’original : « In the final analysis, the destruction of the Jews was not as much a product of laws and commands as it was a matter of spirit, of shared comprehension, of consonance and synchronization », The Destruction of the European Jews, New York, Holmes & Meier, 1985, p. 55). Or, dans toute l’histoire du monde, on ne connaît pas un seul crime aux proportions gigantesques qui se serait ainsi produit par l’opération du Saint-Esprit et qui, ne laissant aucune trace de sa conception, de ses préparatifs ou de son organisation, aurait, au surplus, produit des millions de « miraculés » ayant échappé au supposé massacre.
Dès 1978/1979, dans le journal Le Monde, j’avais montré que l’existence des prétendues chambres à gaz hitlériennes se heurtait à une impossibilité technique radicale et j’avais mis la partie adverse au défi de nous montrer comment un meurtre de masse tel que le prétendu génocide des juifs avait été possible techniquement. Dans une déclaration commune signée de 34 historiens et auteurs français, dont Léon Poliakov, Pierre Vidal-Naquet, Fernand Braudel et Jacques Le Goff, on m’avait répliqué : « Il ne faut pas se demander comment techniquement un tel meurtre de masse a été possible ; il a été possible techniquement puisqu’il a eu lieu » (Le Monde, 23 février 1979). C’est ce qui s’appelle tout à la fois avouer sa propre impuissance et imposer aux autres le respect d’un tabou. Au fond, R. Hilberg a connu, en 1983-1985, un désarroi et une humiliation comparables à ce qu’avaient subi en France, dès 1979, ses 34 collègues ou amis. Si vous voulez d’autres exemples des concessions auxquelles nous avons acculé les tenan