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La partecipazione italiana alla guerra di Spagna

di Daniele Lembo - 11/04/2008

 

La partecipazione italiana alla guerra di Spagna

Il 1936 è un anno decisivo per la Spagna. Le elezioni hanno portato al governo le sinistre e la situazione politica, già precedentemente incandescente, raggiunge livelli di esasperazione. I militari, appoggiati dalle frange nazionaliste, mal tollerando la situazione politica venutasi a creare, a metà luglio, si sollevano contro il governo legittimo.
Inizialmente, il pronunciamento militare, a capo del quale è il generale Sanjurjo, sembra non attecchire. I rivoltosi controllano saldamente solo il Marocco spagnolo. Oltre alla regione Nord africana, i nazionalisti si impongono anche nella Vecchia Castiglia, nella Navarra, in Galizia, nel nord dell’Estremadura, nelle province di Siviglia, Cadice, Cordova e Granada. Ma le grandi città come Madrid, Barcellona, Bilbao e nella maggior parte del Paese la situazione è decisamente nelle mani del governo legittimo.
La situazione inizierà a cambiare quando, in seguito alla morte di Sanjurjo, a capo dei Nazionalisti si mette il generale Francisco Franco Bahamonde. A Franco, nel prendere il comando delle truppe ribelli, si presenta l’impellente necessità di trasportare le sue truppe marocchine dall’Africa del Nord al territorio metropolitano spagnolo. Il trasferimento è indispensabile per appoggiare la rivolta nella penisola Iberica che, altrimenti, verrebbe presto soffocata.
Per il trasbordo attraverso lo stretto di Gibilterra il generale spagnolo ha bisogno di navi ed aerei, mezzi dei quali, purtroppo egli non dispone e non gli resta che sperare nell’aiuto di Nazioni amiche.
La Germania cede ai nazionalisti venti apparecchi Junkers Ju52 mentre, inizialmente, Mussolini sembra non voler dare alcun aiuto ai rivoltosi. A Roma è stato espressamente inviato da Franco Juan Bolin, per perorare la causa dei nazionalisti e l’ambasciatore di Franco riuscirà a smuovere il Duce solo quando gli dirà che Hitler ha già concesso gli Ju52.
Il 30 luglio 1936 decollano da Elmas, in Sardegna, 12 trimotori Siai SM81 “Pipistrello”. I velivoli, ufficialmente acquistati da Juan Bolin, hanno le insegne obliterate e i 63 uomini che costituiscono gli equipaggi, al comando del tenente colonnello Ruggero Bonomi, vestono abiti civili e hanno nomi di copertura e documenti che li qualificano come personale civile estraneo alla Regia Aeronautica. Per escludere ogni collegamento tra gli aerei e l’Aeronautica italiana, non sono state cancellate solo le matricole militari degli aerei ma sono state limate anche le matricole delle armi di bordo. I trimotori, che volano alla volta del Marocco Spagnolo, incontreranno pessime condizioni meteoclimatiche e non arriveranno tutti a destinazione. Uno precipita in mare, un secondo effettua un atterraggio di emergenza a Bekrane, nel Marocco francese, e va distrutto al suolo, un altro atterra a Zaida, in Algeria, nel territorio del protettorato francese, venendo confiscato dalle autorità francesi. Alla fine, dei dodici partiti dalla Sardegna, solo nove SIAI atterrano a Melilla, in Marocco. Benché il modesto contingente aereo italiano giunga a destinazione ridotto a tre quarti dell’origine, i velivoli saranno preziosi per Franco dando un importante contributo al trasbordo in Spagna del corpo ispano – marocchino dei nazionalisti che viene trasferito sulla penisola iberica entro il 9 agosto.
L’invio dei 12 trimotori Siai SM81 non sarà un fatto isolato legato alle necessità contingenti di Franco e dei suoi, ma segnerà l’inizio dell’invio di una serie infinita di aiuti ai Nazionalisti spagnoli che in Italia avrà come nome di copertura “Esigenza Oltre Mare”. Ai trimotori Siai seguono dodici caccia Fiat CR32 che, il 14 agosto 1936, vengono sbarcati smontati a Melilla (Marocco). I caccia, come d’altronde i Siai, sono accompagnati dai piloti.
Ai primi 12 caccia CR32 ne seguiranno molti altri e gli invii di materiale aeronautico italiano vedranno arrivare in Spagna biplani da ricognizione Imam RO37, assaltatori Breda BA65 e i più modesti Cab AP1, addestratori Breda BA28 e Fiat CR30B, addestratori avanzati Imam RO41, bimotori da osservazione e aerocooperazione CA310, idrovolanti Cant Z501 e Cant Z506, ma anche i nuovi bombardieri Savoia Marchetti SM79. Oltre ai velivoli citati, sarà ceduta all’Aviazione Legionaria anche un’aliquota dei nuovissimi prodotti aeronautici della Fiat: i bimotori da bombardamento BR20 e i caccia G50.
In totale, per l’aviazione nazionalista, verranno inviati in Spagna 730 velivoli, di cui solo 710 giungeranno nella penisola Iberica, dotati di centinaia di motori di ricambio. Per rendersi conto dello sforzo logistico legato a tali velivoli basta ricordare che il personale addetto agli apparecchi sarà composto da 5.699 militari e 312 civili, il carburante dovrà essere sufficiente per le 135.000 ore di volo che verranno effettuate, mentre verranno sganciate 11.584.420 kg. di bombe.
Gli aiuti agli insorti di Franco non consistono solo in invii di materiale e personale aeronautico, ma anche alcune unità della Regia Marina vengono impegnate in azioni controcosta e di interdizione alle unità navali filogovernative. Nel febbraio 1937 gli incrociatori Eugenio di Savoia ed Emanuele Filiberto, senza inalberare alcun segno che ne denunci la nazionalità, cannoneggiano dal mare le città di Barcellona e Valencia. L’incrociatore Barletta, bombardato da velivoli repubblicani, conterà i primi sei morti italiani della Marina su quel fronte marittimo. Nel canale di Sicilia, nel tentativo di interrompere il flusso dei rifornimenti russi, interverranno gli incrociatori Diaz e Cadorna. L’uso di unità di superficie rischia, come è facile intuire, di rivelarsi troppo pericoloso per l’Italia, potendone facilmente compromettere la posizione in campo internazionale, coinvolgendola in un conflitto nel quale, ufficialmente, gli italiani non sono mai entrati. La parte del leone, in aiuto alla modesta flotta nazionalista, verrà svolto dai sommergibili della Regia Marina. Unità insidiose e di nazionalità indefinita fin quando sono immerse, le unità subacquee si rivelano adattissime allo scopo. Ben 36 sottomarini italiani trovano impiego lungo le coste spagnole in una serie di attività che vanno dall’interdizione del traffico repubblicano al cannoneggiamento notturno delle coste. Attività di interdizione al traffico navale russo, diretto in aiuto ai repubblicani, viene poi svolta in Mediterraneo dove i sommergibili italiani fanno base nel Dodecaneso.
Alla Marina nazionalista saranno ceduti “in prestito” i sommergibili Ferraris, Galileo Galilei, Onice e Iride che verranno inquadrati nella Marina di Franco solo per alcuni mesi e faranno definitivamente rientro in Italia nel 1938.
Sul fronte di terra, all’inizio, gli aiuti italiani sono piuttosto timidi in quanto Mussolini non intende assolutamente esporsi in campo internazionale, aiutando a viso aperto i rivoltosi. Evidentemente, al Duce brucia ancora la riprovazione manifestatagli dalla Società delle Nazioni con le Sanzioni comminate all’Italia in occasione dell’intervento in Etiopia.
Nei primi quatto mesi della guerra civile dall’Italia, in aiuto agli insorti nazionalisti, arriva ben poco. In questo primo periodo, sono poco più di 380 gli uomini che il Regio Esercito manda in aiuto agli insorti e si tratta di personale impiegato, prevalentemente, come istruttori e osservatori. Dagli inizi di agosto alla fine di settembre del ’36 arriveranno poi 15 carri L, le famose “scatole di sardine”, e 38 pezzi di artiglieria da 65/17. I carri arrivano senza equipaggi, ma accompagnati solo da istruttori in quanto sono destinati ad essere impiegati da personale spagnolo.
Carri e cannoni italiani troveranno impiego con equipaggi misti italo spagnoli nella presa di San Sebastian e, nell’ottobre-novembre, negli scontri nei dintorni di Madrid. Come detto l’impegno italiano, all’inizio, sembra essere molto cauto e già a fine novembre il personale italiano viene fatto rientrare in Patria, con contestuale definitiva cessione dei materiali agli spagnoli. E’ solo un apparente passo indietro di Mussolini il quale è, invece, destinato ad impelagarsi in una guerra che, vista la massiccia presenza di personale e materiale russo, si avvia ad acquisire l’aspetto della crociata internazionale contro il bolscevismo. Il 16 novembre Italia e Germania riconosceranno ufficialmente il nuovo governo di Francisco Franco e sarà questo il primo passo verso il massiccio intervento italiano nella Penisola Iberica.
Nel dicembre 1936 sbarcano a Cadice i primi 3.000 “volontari” italiani. Imbarcati sul piroscafo “Lombardia”, sono stati arruolati con un premio di ingaggio di 3.000 lire e la promessa di una paga giornaliera di 40 lire. E’ inutile dire che gran parte dei “volontari” provengono dalle regioni più povere del Regno d’Italia. Molti dei volontari, poi, si sono arruolati credendo di essere inviati in Africa Orientale. Perché gli uomini partissero, si sono mossi tutti i Federali con una pesante campagna d’arruolamento e, al momento di firmare, ai volontari è stato genericamente parlato di una “esigenza Oltre Mare” è stata questa vaga indicazione ad indurre molti di loro a identificare i territori “Oltre mare” con l’Etiopia. L’arruolamento è stato considerato allettante perché, oltre che ben pagato, li avrebbe destinati verso una regione dell’Impero che tutti, in quel momento in Italia, credono definitivamente pacificata, mentre invece in Etiopia la realtà è ben diversa. Il fatto che la grande maggioranza dei legionari provenga dalle zone più povere del Meridione può lecitamente indurre a pensare che la buona paga presenti, per molti di loro, un’attrazione più forte della crociata ideologica contro il bolscevismo. Di contro, è da evidenziare, per ragioni di correttezza d’informazione, che molti sono anche coloro i quali si arruolano perché spinti da motivi ideologici, tant’è che molte domande di arruolamento giungono alla rappresentanza franchista a Roma molto prima ancora che venga istituito il Corpo Truppe Volontarie per la Spagna.
Ci sono coloro i quali si arruolano per semplice spirito d’avventura o perché credono genuinamente di andare a combattere contro la barbarie del bolscevismo. Se non fosse così non si spiegherebbe l’alto numero di ufficiali, provenienti dal complemento, che, arruolandosi, lasciano buoni impieghi e sicure professioni per andare in Spagna. Sono stato particolarmente colpito dal pensiero di Montanelli - Cervi che nell’opera “Due secoli di Guerre” (Editoriale Nuova, 1983 Milano p. 256) scrivono: “E’ altrettanto certo che vi furono anche i volontari idealisti, specie tra gli ufficiali di complemento che, a differenza degli “effettivi” non potevano essere sospettati di inseguire promozioni e medaglie, e che non dovevano essere attratti dal denaro, visto che nelle loro file c’erano laureati con un buon impiego professionisti, rampolli di famiglie agiate e perfino industriali come il lecchese Costantino Fiocchi, comproprietario di un’azienda già allora multimilionaria. Essi andarono in Spagna perché credevano realmente di combattere per la civiltà, per la fede cristiana, per il trionfo della fede cristiana sul bolscevismo e, a modo loro, anche per la libertà. Su questo non ci sono dubbi”
Altri 5.000 legionari arrivano nel gennaio successivo ed inizialmente vengono ordinati in una Brigata Volontari agli ordini del generale Roatta che è anche a capo del Servizio segreto militare italiano. Il 16 febbraio 1937, nasce ufficialmente il Corpo Truppe Volontarie che, sempre agli ordini di Roatta, comprenderà le divisioni: “I Dio lo vuole”, “ II Fiamme Nere”, “III Penne Nere” e “IV Littorio”; 2 brigate miste (I brigata “Frecce Azzurre” e II brigata “Frecce Nere”), costituite per il 30% da volontari italiani e per il 70% da volontari spagnoli; 2 gruppi di banderas autonomi (ogni gruppo è equivalente ad un reggimento mentre una banderas è equivalente ad un battaglione); un raggruppamento armi speciali che comprende: un battaglione carri d’assalto L3 su quattro compagnie, una compagnia di autoblindomitragliatrici, una compagnia motomitragliatrici e una sezione cannoni anticarro da 47 mm. Ai reparti citati andranno ad aggiungersi 10 gruppi di artiglieria con 104 pezzi, 3 batterie antiaeree con 16 pezzi, un raggruppamento manovra composto di autoveicoli vari e elementi del genio. Sembra che la Littorio, prima di essere inviata in Spagna, dovesse andare in Africa e forse anche ciò contribuirà a far credere ai volontari che l’esigenza Oltre mare si riferisca all’Africa Orientale.
Nella primavera del 1937, a fronte dell’impegno assunto dall’Italia di non far affluire in Spagna altre truppe, saranno sciolte la I e la III Divisione e gli uomini resi così disponibili andranno a completare gli organici delle altre due divisioni e dei gruppi di banderas. Il 3 novembre 1937 il gruppo di banderas “XXIII Marzo” andrà a fondersi con la divisione “Fiamme Nere”, formando così la divisione “Fiamme Nere XXIII Marzo”. Ma nell’ottobre del 1938, a fronte del rimpatrio di un grosso numero di legionari dalla Spagna, saranno sciolte sia la divisione Littorio che la divisione “Fiamme Nere XXIII Marzo”.
In seguito allo scioglimento delle due divisioni il C.T.V. andrà ad essere composto dalla Divisione d’assalto del Littorio e da tre divisioni miste, denominate “Frecce Nere”, “Frecce Azzurre” e “Frecce Verdi”. Queste ultime, benché definite miste, hanno il personale che è nella quasi totalità spagnolo, mentre solo i quadri e gli specialisti sono costituiti da italiani.
Inoltre faranno parte del C.T.V.:
Un Raggruppamento carristi su due battaglioni carri, un battaglione motomeccanizzato, un battaglione misto (una compagnia lanciafiamme, una compagnia mitraglieri, una compagnia anticarro), una compagnia arditi, una compagnia mitraglieri, una batteria da 65/17 autoportata;
un raggruppamento di artiglieria con pezzi di vari calibri (due gruppi da 105/28, due gruppi da 149/12, due gruppi da 75/27);
un raggruppamento artiglieria antiaerea (quattro batterie da 75, una batteria da 75/46, tre batterie da 20 mm);
Genio Corpo Truppe Volontarie composto da un battaglione artieri, un battaglione telegrafisti, un battaglione radiotelegrafisti, una compagnia fotoelettricisti;
una intendenza legionaria e un centro istruzione con personale istruttore distaccato presso le varie scuole militari spagnole. In totale, si calcola che in Spagna combatteranno circa 100.000 italiani. Come il lettore potrà facilmente intuire, l’impegno italiano a fianco di Franco, analogamente a quanto fatto precedentemente in Africa Orientale, è estremamente oneroso. La sostanziale differenza tra il conflitto con il Negus e l’intervento militare in Spagna sta nel fatto che, mentre con la fine del primo verrà fondato l’Impero, alla fine dell’impegno militare in Spagna, l’Italia non otterrà alcun vantaggio militare, politico o economico. Anzi, il conflitto spagnolo servirà solamente a debilitare le capacità belliche dell’apparato economico militare italiano, con costi particolarmente elevati. Costi che, peraltro, non rientreranno mai perché il generalissimo Franco si deciderà a saldare i debiti con il Regno d’Italia solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, pagando i suoi conti in sospeso con svalutatissime lire italiane. In breve, l’appoggio dato ai nazionalisti si rivelerà il peggiore affare militare fatto dalla politica italiana nel XX secolo.
Anche in questo caso, gli italiani avranno molto da imparare dai tedeschi che, differentemente, otterranno il massimo risultato con il minimo sforzo. I tedeschi, in vista del conflitto mondiale oramai prossimo, useranno la Spagna come un immenso campo d’armi dove istruire le proprie truppe. Invieranno su quel fronte solo pochi specialisti da addestrare e da avvicendare semestralmente. Parimenti, utilizzeranno il conflitto civile per provare le loro nuove armi, che cederanno ai nazionalisti in quantità molto inferiori a quelle italiane.