Col pretesto di colpire l'islam radicale, israele confisca scuole e orfanotrofi a Hebron
di Naoki Tomasini - 07/05/2008
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A Hebron gli opposti si toccano. In questa che è la più grande città della Cisgiordania, a sud di Betlemme, 200mila palestinesi vivono a stretto contatto con 3/400 coloni, noti per essere tra i più radicali e inclini alla violenza. Qui i contrasti e le ferite del conflitto sono esposti, anche se alla pubblica indifferenza. La lotta degli uni contro il terrorismo palestinese, degli altri contro l'occupazione, assume più che altrove connotati religiosi. Così accade che le anche autorità israeliane si lascino guidare dal noto pregiudizio secondo cui islam è uguale a terrorismo, e poco importa se, questa volta, le vittime del teorema sono solo dei bambini.
![]() A Hebron chi si occupa dei bambini disagiati, e di quel piccolo esercito di orfani che quel contesto ha creato, sono due organizzazioni islamiche, l'Islamic Charity Movement, e l'Islamic Youth Association, che con Hamas non hanno legami. Eppure, lo scorso febbraio, l'esercito israeliano ha effettuato una serie di raid nelle strutture delle due organizzazioni, sequestrando beni per circa 200 mila dollari e annunciando l'imminente sgombero delle stesse. Il motivo? Sostegno ad un'organizzazione terrorista. Lo si legge nelle ordinanze militari di sgombero che sono state consegnate ai responsabili delle scuole e degli orfanotrofi, in cui si accusano le organizzazioni caritatevoli di essere una copertura col fine di raccogliere fondi per la rete terrorista di Hamas e di indottrinare i giovani con l'ideologia radicale islamica.
![]() Nella provincia di Hebron ci sono otto scuole e due orfanotrofi gestiti dell'Islamic Charity Movement, che dall'inizio di aprile attendono di essere sgomberati. Secondo Danaa si tratta di circa 6mila bambini e oltre 300 orfani. “Non sappiamo che fare -spiega sconsolata la direttrice di una scuola per bambine gestita dall'Icm- forse faremo lezione per le strade. Abbiamo ricevuto l'ordinanza di sgombero ma non abbiamo molti mezzi per contestarla: abbiamo organizzato delle manifestazioni con i bambini che portavano i banchi di scuola per strada, per attirare l'attenzione della gente e dei media, abbiamo anche avviato delle azioni legali. Solo che i nostri avvocati non si possono appellare alle corti israeliane. Non abbiamo fiducia nella loro giustizia che mette sempre i problemi di sicurezza davanti a quelli dei civili palestinesi”. “Il provvedimento di sgombero non è legittimo -l'interrompe Abd el Alim Danaa- questa secondo gli accordi di Oslo è Area A, cioè sotto il controllo dell'Autorità palestinese. L'esercito israeliano non ha il diritto di sequestrare proprietà in questa zona, ma quando i nostri avvocati lo hanno fatto presente si sono sentiti rispondere che il ricorso deve essere inoltrato all'Anp”.
![]() “I miei genitori sono entrambi morti” racconta Nibel, 17 anni, “e da allora l'Islamic Charity si è preso cura di me. Mi hanno dato una scuola, un posto dove dormire e tutto ciò di cui avevo bisogno. Sono stati una famiglia per me, non posso pensare che un luogo come questo venga chiuso”. Si scalda Nibel quando qualcuno le chiede se sia mai stata forzata a comportarsi in modo religioso: “No mai! Mi hanno solo aiutato a capire che la via della fede è quella giusta”. Al suo fianco una sua amica, intensi occhi azzurri sotto il foulard bianco, si chiama Rahida e viene dagli Stati Uniti. Racconta di come dopo l'11 settembre i media statunitensi le avessero fatto un lavaggio del cervello, “alla fine mi vergognavo di essere araba, e mi avevano convinto che tutti gli islamici sono terroristi. Poi mio padre mi ha obbligato a trasferirmi qui, all'inzio mi sentivo morire, non parlavo la lingua e mi trovavo in un ambiente tutt'altro che liberale. Poi però ho iniziato a capire quanto bene si fa in luoghi come questo ed è iniziata la mia trasformazione”. Oggi Rahida presta servizio volontario all'orfanotrofio per bambine, e non riesce a trattenere la sua rabbia all'idea che quelle creature vengano abbandonate al loro destino. ![]() Grida esagitate, risate, rumore di piatti e sorrisi. “Ci sono bambini dolci e altri che sono molto aggressivi -spiega lo psicologo del centro durante il pranzo-, dipende da quanto tempo hanno trascorso nella struttura. Comunque qui anche quelli più agressivi mostrano dei miglioramenti”. Poi inizia a camminare tra i tavoli per indicare i ragazzini con le storie più difficili: “Questo è Jamal -dice, abbracciando un bambino in sovrappeso col viso simile a un adulto. Lo abbiamo tirato su dalla strada dove faceva l'elemosina. Nel centro gli è stato offerto un posto letto e dove mangiare e 10 shekel al giorno se avesse smesso di mendicare. Da qualche tempo va anche a scuola”. Lo psicologo fa qualche altro passo e riprende: “Lui è Sa'èb, ha perso la madre, ma suo padre non si prende cura di lui perché è un tossicodipendente, mentre quest'altro è Suleiman, il padre è morto anni fa in un incidente e la madre è gravemente malata di cancro. E c'è anche il caso di Muhammad, un bambino che i genitori li ha ancora, ma non può più vivere con loro per via di una faida familiare. Se torna a casa i nemici della sua famiglia lo uccidono, qui ha trovato una nuova vita”.
![]() La data ufficiale dello sgombero era fissata per il 7 aprile, ma da allora le autorità israeliane hanno concesso delle proroghe, ogni volta della durata di una settimana. Le manifestazioni dei bambini hanno attirato l'attenzione di alcuni media internazionali e hanno raggiunto anche le colonne del quotidiano israeliano Haaretz. In sostegno degli orfani di Hebron si è spesa anche l'organizzazione israeliana dei Rabbini per i Diritti Umani, per bocca del rabbino Arik Ascherman, secondo cui il provvedimento è “incompatibile con il concetto ebraico di giustizia”. Persino i quadri di Fatah, che vedono di buon occhio qualsiasi attacco contro Hamas, si sono spesi per fare in modo che l'ordinanza non venga eseguita. Ma nel frattempo i bambini cercano di continuare a vivere in modo normale. Nelle scorse settimane al loro fianco si sono schierati anche i volontari internazionali del Christian Peacemaker Team, che si sono offerti di dormire negli orfanotrofi per mostrare ai bambini come comportarsi in caso di irruzione dell'esercito e, nel caso, per documentare e testimoniare gli sgomberi.
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