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Semi, guerre e carestie - Capitolo XV - Le catastrofi agricole del Novecento

di Romolo Gobbi - 16/06/2008

Autore: RomoloGobbi | Data: 16/06/2008 7.12.34

Una nuova siccità colpì la Cina del nord dal 1897 all’agosto del 1898, quando un monsone torrenziale fece straripare il Fiume Giallo. Vaste regioni vennero allagate, intere popolazioni fuggirono e naturalmente si trovarono prive di ogni mezzo di sostentamento: nell’inverno 1898-99 gli affamati erano già 2.000.000. Ma questa volta la carestia provocò una ribellione tra la popolazione cinese, che associò le disgrazie naturali alla sempre più insistente presenza straniera e alla crescente influenza dei missionari cristiani. Fin dal 1894 esisteva la società segreta dei Boxer Spirito, profondamente anticristiani, che dopo la carestia si trasformarono in “Boxer della giustizia e della concordia”. In loro si rinnovava il sogno millenaristico della rivolta dei T’ai p’ing che cinquant’anni prima aveva instaurato il “regno di pace” in vaste zone della Cina. Il rinnovato millenarismo si tradusse in pratica nella sistematica espropriazione delle scorte di cibo dei commercianti o dei ricchi signori e coinvolse migliaia di contadini senza terra: “man mano che la malnutrizione diventava drammaticamente visibile in ogni angolo dello Shanxi, gli abitanti dei villaggi iniziarono ad attaccare i cristiani cinesi ben nutrititi e i ‘diavoli stranieri’ nelle missioni”.(1) Il culmine della rivolta dei Boxer si ebbe con l’assedio delle legazioni straniere a Pechino il 21 giugno 1900, assedio che venne rotto dalle truppe di Gran Bretagna, USA, Russia, Francia, Germania, Italia, Austria-Ungheria. In seguito vennero dure sanzioni per la Cina e la repressione dei Boxer: “Ai milioni di morti nel nord della Cina per fame ed epidemie si aggiunsero altre centinaia di migliaia di vittime a causa degli eserciti di sterminio del feldmaresciallo von Waldersee (inviato personalmente dal Kaiser a emulare il massacro di Attila) e degli altri vincitori stranieri”.(2)
Ma se le grandi potenze erano d’accordo nell’instaurare con la violenza il mercato mondiale non erano d’accordo su come spartirselo e quindi scatenarono due guerre mondiali, più una guerra fredda, per arrivare alla mitica “globalizzazione”. Le guerre portarono naturalmente fame, morte e distruzioni e in questo triste scenario del Novecento si stagliano le “grandi catastrofi agricole”, che non ebbero all’origine fenomeni naturali, ma cause politiche ed economiche.
Il Novecento è stato anche il secolo delle rivoluzioni: quella russa e quella cinese e anche queste contribuirono alle catastrofi agricole di questo secolo.
Nel 1917, nelle “tesi di aprile” Vladimir Ilic Ulianov detto Lenin proclamò che tutta la terra dei grandi proprietari, della chiesa e dello stato andava distribuita ai contadini russi, ottenendo così il loro appoggio alla rivoluzione bolscevica. La reazione delle grandi potenze a questo tentativo di sovvertire l’”ordine mondiale” provocò una lunga guerra civile durante la quale i contadini russi vennero sistematicamente depredati dagli eserciti bianchi e rossi e dalle squadre di sequestri degli operai bolscevichi: “I contadini più caparbi si opposero con la forza alle requisizioni del loro grano. A volte la resistenza fu seria e ne derivarono dei veri e propri scontri”.(3) Ma a parte i pochi o tanti scontri individuali si ruppe l’alleanza tra operai e contadini che aveva portato al successo la rivoluzione e nacque la lotta degli operai contro i Kulaki, i contadini “ricchi”. I contadini si opposero alla requisizione delle eccedenze, spesso calcolate in modo arbitrario, in due modi: “in un primo momento, l’occultamento delle scorte, e, in seguito, il rifiuto di seminare una superficie di terra appena superiore a quella necessaria per sfamare la propria famiglia”.(4) Fallì anche il tentativo di far aderire i contadini alle fattorie collettive, che miravano a ricostituire grandi unità produttive in grado di produrre le eccedenze necessarie per alimentare le città. Durante la guerra civile si instaurò il cosiddetto “Comunismo di guerra” il cui risultato nei confronti dell’agricoltura fu fallimentare: “era stato pagato con la diminuzione di quasi un quarto dell’intera superficie un tempo seminata, con la riduzione del bestiame, con il declino della semina delle colture tecniche e con una preoccupante decadenza dell’agricoltura”.(5)
Nell’autunno del 1920 Lenin ammise pubblicamente che “la maggioranza dei contadini risente fin troppo duramente del freddo, della fame e delle intollerabili imposte”.(6) E poiché anche nelle città regnava la fame bisognava ristabilire un flusso regolare di merci dalla campagna verso la città. Fu così che Lenin l’8 febbraio del 1921 propose una Nuova Politica Economica che sostituì il sistema delle requisizioni con una tassa sul grano e consentì ai contadini di immettere sul mercato locale le eccedenze. Ma questi provvedimenti giunsero in ritardo per cambiare l’atteggiamento dei contadini e soprattutto: “ciò che annullò tutti i calcoli fu la terribile siccità che per il secondo anno consecutivo colpì in modo particolare le province ‘produttrici’ del bacino del Volga […] Alla fine dell’anno venne ufficialmente annunciato che il raccolto era completamente mancato su oltre 14 milioni di desjatine di terra seminata, rispetto ai 38 milioni di desjatine coltivate...”.(7) Vi furono naturalmente numerosi decessi anche se non esiste una stima ufficiale, né è possibile stabilire le perdite di bestiame. Nel mese di dicembre venne calcolato che il numero dei bisognosi di soccorsi ammontasse a più di 22 milioni, ai quali si fece fronte con le scorte e con gli aiuti internazionali che giunsero soprattutto tramite l’American Relief Administration. Nel 1922 gli effetti della NEP si fecero sentire e il raccolto fu il migliore dall’inizio della rivoluzione, anche se Zinov’ev calcolò che fosse pari a “tre quarti di un raccolto medio del periodo anteguerra”.(8) Anche il raccolto dell’anno successivo andò bene e su questa base di prevedeva un aumento ulteriore, ma un’altra siccità nel bacino del Volga nell’estate del 1924, ridusse notevolmente la produzione di cereali e: “Pochi, forse, soffrirono realmente la fame in seguito al parziale insuccesso agricolo del 1924. Ma le sue conseguenze indirette nel campo della politica dei prezzi si fecero sentire su tutta l’economica e ebbero importanti implicazioni politiche”.(9) Secondo le leggi del mercato, reintrodotte dalla NEP, la scarsità dei cereali fece lievitare i prezzi, rendendoli inaccessibili ai più e quindi ricominciò la guerra contro i kulaki. I quali a loro volta si comportarono conseguentemente tenendosi a tutti i costi il grano, aspettandosi ulteriori guadagni: “fecero fronte ai loro obblighi coi risparmi liquidi o vendendo il bestiame e i suoi prodotti o altri raccolti commerciali e dettero un colpo alla minacciata riduzione del prezzo tenendo alte le loro eccedenze di cereali […] verso il dicembre del 1924 lo stato aveva raccolto solo 118 milioni di pud di cereali contro i 380 previsti...”.(10)
Venne allora istituito dal partito comunista un “corrispondente di villaggio” (sel’kòr), col compito di controllare i kulaki, ma molti di essi vennero assassinati: “Il 3 ottobre la ‘Pravda’ diede notizia di un’ondata di delitti del genere in tutto il paese: l’uccisione dei sel’kòry era diventata un ‘fenomeno di massa’ e segnava ‘una recrudescenza della controrivoluzione nelle campagne’”.(11) Scoppiò anche una grave rivolta in Georgia, che ripropose il problema del rapporto città-campagna e delle difficoltà che trovava il partito a risolverlo, infatti alcuni dirigenti erano disposti a fare ulteriori concessioni ai contadini, invece questa fu: “La conclusione di Stalin, che cioè era necessario ‘isolare i kulaki e gli speculatori e separare da costoro la massa contadina lavoratrice’ ...”.(12) Questa di Stalin era una posizione di “sinistra” e quelli favorevoli ai contadini erano di destra, ma nel corso della lotta al potere le posizioni si invertirono. Durante l’estate del 1927 la sinistra capeggiata da Trockij preparò una piattaforma in vista del XV Congresso in cui si attaccavano i kulaki. Anche la destra di Stalin e Bucharin dovette a malincuore lanciare “un’offensiva forzata” contro i kulaki anche perché: “La penuria di cereali che si era fatta sentire nell’estate del 1927, divenne cronica nell’autunno e non poté più essere ignorata. Il fallimento della politica ufficiale era cominciato”.(13) Anche il Comitato Centrale dovete fare concessioni alla sinistra perché non si potevano nascondere le: “code interminabili per l’acquisto della farina e dei principali articoli di consumo degli operai nelle capitali e in vaste zone abitate dal proletariato industriale”.(14) Contemporaneamente il 23 ottobre 1927 Trockij e Zinov’iev, la sinistra, vennero espulsi dal Comitato Centrale e pochi giorni dopo gli stessi furono espulsi dal partito. Una volta liberatosi dai suoi oppositori Stalin poté far sue le loro tesi e durante il XV Congresso dichiarò che il problema dell’agricoltura andava risolto con “un passaggio alla coltivazione collettiva della terra sulla base di una tecnica nuova e più avanzata”.(15) Venne anche esplicitamente annunciata una “offensiva più decisa contro i kulaki”, era l’inizio della dekulakizzazione, il ritorno ai metodi della guerra civile seppellendo definitivamente la NEP. Si trattò di “rovesciare da cima a fondo le strutture sociali della campagna russa, nonché i rapporti tra settore statale e settore privato sul controllo pratico della produzione commerciale di cereali […] sarebbe stato necessario, anche secondo i bolscevichi più audaci un periodo di trasformazioni rivoluzionarie di 10 o 15 anni. Viceversa Stalin decise diversamente, di punto in bianco”.(16) In pratica si trattò dell’espropriazione forzata di milioni di contadini e del loro inquadramento nel settore statale dell’agricoltura. La reazione contadina non mancò, vi furono atti: “di terrore individuali: assassinio o tentato assassinio di militanti, incendi dolosi, specie di edifici colcosiani”.(17) Un’altra forma di reazione alla espropriazione fu la macellazione del bestiame: “fenomeno che era diventato un vero flagello in un paese di scarso allevamento, come era per tradizione l’URSS”.(18) In questi e in altri casi di opposizione violenta i contadini vennero incarcerati o deportati. L’eliminazione delle aziende “più ricche” ed efficienti, quelle che producevano un surplus per il mercato, portò ad anni di carestie e a danni incalcolabili per l’agricoltura sovietica. Vennero deportati in Siberia o in Kazakistan milioni di dekulakizzati: alcuni riuscirono a fuggire altri morirono durante il trasferimento o per le pessime condizioni dei nuovi insediamenti. La punta massima di mortalità si ebbe durante la “grande carestia” del 1932-1933 che provocò circa 6 milioni di morti in tutta l’Urss”.(19)
Mentre in Unione Sovietica veniva liquidata la classe contadini negli Stati Uniti i contadini erano alle prese con le conseguenze della “grande crisi” del 1929. La situazione era paradossalmente capovolta, l’agricoltura americana soffriva per la sua sovraproduzione, eppure la disinformazione era tale che dirigenti politici e religiosi americani guardavano all’URSS come ad un esempio. La rivista del radicalismo protestante “World Tomorrow” fin dal 1930 osservava che “i comunisti, nonostante tutto il loro ateismo, avrebbero presto scoperto che stabilendo un sistema integrale di vita collettiva essi gettavano anche la base per un reale Regno di Dio”.(20) Il giornalista Edmond Wilson scrisse nel gennaio del 1931 che l’Unione Sovietica rimaneva “la sommità morale del mondo, dove la luce non viene mai meno”.(21) I paragoni esaltanti con l’Unione Sovietica erano dovuti alla crescente disoccupazione negli USA che era passata dai 4 milioni nel 1930 agli 8 milioni del 1931, ma non si sa quale illuminazione potesse venire per i contadini americani, che aumentarono la produzione nel 1930, nonostante la crisi avesse fatto precipitare la domanda e di conseguenza il prezzo dei loro prodotti. La situazione era tale che: “Il reddito netto agricolo nel 1932 fu di 1,8 miliardi di dollari – meno di un terzo del reddito di tre anni prima. Un crollo così sorprendente lasciò a molte famiglie di agricoltori un reddito molto scarso, e a molte altre assolutamente nulla […] Nel frattempo i recinti andavano in rovina, i raccolti marcivano, il bestiame non valeva nemmeno il trasporto al mercato, il macchinario agricolo si logorava. Alcuni trovarono più economico bruciare il grano che venderlo per comprare carbone”.(22) Nessuno sapeva esattamente che cosa fare per migliorare la situazione dei contadini nemmeno il Farm Board, che era l’ufficio governativo per la stabilizzazione dei prezzi, e che acquistò una parte delle eccedenze di grano e di cotone, ma “fu presto chiaro che il sostenere i prezzi non poteva funzionare senza un controllo della produzione”.(23) Quindi durante l’estate del 1930 il Board lanciò una campagna per la riduzione volontaria delle superfici coltivate: “Ai produttori di cotone, il Board consigliò di arare una fila su tre. Ai produttori di grano, consigliò semine ridotte. Ma la maggior parte degli agricoltori, non essendo in alcun modo sicuri che i loro vicini riducessero le semine, o forse pensando che l’avrebbero fatto, continuarono a produrre nella speranza di realizzare dei guadagni su un possibile rialzo dei prezzi”.(24)
Anche le organizzazioni sindacali dei contadini, non ottenendo alcun risultato dalle iniziative governative, pensarono di organizzare “il rifiuto organizzato di consegnare i prodotti agricoli sottocosto” la cosiddetta Farmers’ Holidy Association. I contadini infatti non raccoglievano il granoturco ormai maturo e organizzavano blocchi stradali per impedire che si trasportassero prodotti agricoli. Sorse anche un movimento degli allevatori di bestiame da latte che bloccarono il flusso di latte verso le città: “Ma in questo caso non si limitavano a fermare i camions. Gli scioperanti aprivano i bidoni del latte, lo versavano sulla strada e il latte formava un rigagnolo bianco che serpeggiava e si seccava sul cemento della strada andando a finire nei fossi”.(25) Lo sciopero agricolo non ottenne alcuna risultato pratico se non quello di evidenziare la contraddizione di una sistema che: “era incapace di valorizzare l’abbondanza prodotta, condannando milioni di uomini alla fame, perché non aveva l’iniziativa o la volontà di trovare un punto d’incontro tra l’abbondanza e il bisogno”.(26)
La situazione dei contadini era anche aggravata dal fatto che la diminuzione del reddito impediva il regolare pagamento delle tasse e delle ipoteche e quindi intervenivano inesorabilmente gli ufficiali giudiziari che procedevano a vendite giudiziarie delle fattorie. Anche per questo gli agricoltori formarono dei comitati d’azione per opporsi alle vendite giudiziarie: “comitati composti di uomini vestiti in tuta, accigliati, con vecchi maglioni rossi o verdi, armati di bastoni. A Storm Lake nella Iowa, alcuni agricoltori agitarono una corda minacciando di impiccare un avvocato che si accingeva a fare eseguire una vendita giudiziaria […] Vicino a Pleasanton, nel Kansas, fu trovato assassinato un tale che poco prima aveva proceduto a un sequestro di una fattoria di 230 ettari”.(27)
Il 4 marzo del 1933 Franklin Delano Roosvelt, davanti al Campidoglio, fece il suo discorso di investitura a nuovo presidente degli Stati Uniti. Dopo aver giurato fedeltà alla Costituzione ponendo la mano sulla Bibbia di famiglia, aperta al tredicesimo capitolo della Prima Lettera ai Corinzi, disse: “L’abbondanza si trova alle soglie delle nostre case, ma un pieno godimento di quella abbondanza ci viene a mancare proprio mentre stiamo per toccarla con mano […] I mercanti sono fuggiti dai loro alti scanni nel tempio della nostra civiltà […] Bisogna porre fine a una condotta nelle banche, nel commercio e nell’industria che troppo spesso ha dato a un sacro impegno di fiducia le sembianze di una malvagità incallita ed egoista […] Questa Nazione esige che si agisca e che si agisca subito...”.(28)
Il solito giornalista Edmond Wilson sul “New Republic” scrisse che nel discorso vi erano: “la vecchia untuosità, le vecchie frasi vaghe da pulpito […] Ciò che balzò più chiaramente agli occhi è l’avvisaglia di una dittatura”.(29) Invece il ministro dell’agricoltura Henry Wallace credeva che si stesse avvicinando l’era di “grandi cambiamenti spirituali negli Stati Uniti... dal duraturo significato, non solo per questo paese, ma anche per il mondo intero […] Coloro che credono devotamente nelle profezie della Bibbia e che hanno inoltre un sentimento profondo verso la fondazione ed il destino di questa nazione possono ben chiedersi se il rovescio del Gran Sigillo non raffiguri la Seconda Venuta del Messia”.(30) Ancora una volta il mito apocalittico del “regno millenario” trovava negli Stati Uniti una prima realizzazione, un New Deal, un nuovo ordine, che sarà d’esempio per tutto il mondo. Ma la “battaglia finale” questa volta non dovette affrontare l’anticristo e “gli eserciti di tutti i re della terra”, ma una schiera di sacchi di cotone: “con un’eccedenza di otto milioni di sacchi sugli anni passati, quantità che era sufficiente a soddisfare la richiesta mondiale di cotone americano per il 1933 senza raccogliere il cotone da nemmeno una sola pianta negli Stati Uniti”.(31) Se il nuovo raccolto del 1933 fosse stato raccolto e immesso sul mercato il suo prezzo sarebbe precipitato e i contadini che l’avevano coltivato sarebbero falliti. Non c’era che una soluzione, distruggere il cotone nei campi prima ancora di essere raccolto e così il “nuovo ordine” venne dal ministero dell’agricoltura: “In un battibaleno gli agenti di zona impegnarono centinaia di migliaia di agricoltori a distruggere il raccolto di cotone. Vomeri d’acciaio applicati ai trattori passarono rapidamente sulle piantagioni di cotone sradicando un quarto del raccolto del 1933 (ma dove i contadini possedevano solo muli, fu assai difficile convincere le bestie a camminare sui filari). In cambio i coltivatori ricevettero più di cento milioni di dollari come indennizzo. Era un esperimento veramente straordinario. Perfino Peek esclamò durante il mese di luglio: ‘È una nuova epoca per l’agricoltura americana’”.(32) Meno soddisfatto fu invece il ministro dell’agricoltura Wallace: “Spero che non dovremo mai più ricorrere a questo metodo. Distruggere un raccolto già cresciuto va contro i migliori istinti della natura umana”.(33)
Ma esistevano anche altre masse da affrontare, quella delle eccedenze di grano che erano tre volte e mezzo maggiori del normale e le masse dei disoccupati: “Gli Stati Uniti hanno contemporaneamente il surplus più alto di grano, e le più lunghe file di disoccupazione che siano mai esistite nel corso della storia”.(34) In questo caso non si arrivò a estirpare i campi di grano né a sfoltire le fila dei disoccupati affamati e assistiti dalla Previdenza Sociale. Per quanto riguardava il grano si offrivano indennizzi ai contadini che si fossero impegnati a ridurre le semine degli anni 1934 e 1935; i disoccupati invece continuavano a crescere: nel 1932 avevano raggiunto i 12 milioni.
Un altro esercito premeva alle porte, quello dei maiali che si preparavano a invadere il mercato americano, facendone crollare il prezzo; fu allora che il National Corn-Hog Comunitee, che rappresentava i produttori di granturco e carne suina propose al Dipartimento dell’Agricoltura: “il solo modo per impedire che un enorme numero di maiali inondasse il mercato l’anno successivo era che il Governo acquistasse e facesse macellare cinque o sei milioni di lattonzoli in autunno”.(35) Il ministro Wallace accettò la proposta e nel settembre del 1933 furono macellati sei milioni di maialini e a chi gli obiettava che era immorale distruggere degli alimenti, finché esistevano degli affamati nel mondo, rispose: “Coloro che piangono gli ultimi cinesi affamati, non stanno affatto criticando i contadini, o l’A.A.A., ma in effetti criticano il sistema capitalistico”.(36)
Ma non furono solo i moralisti a protestare contro il governo, anche i contadini ricominciarono a bloccare le merci per attirare l’attenzione pubblica sui loro problemi di sovraproduzione e di crollo dei prezzi. Anche i deputati delle zone agricole si fecero interpreti dei loro elettori: “Il Presidente ha scacciato i mercanti dal Campidoglio il quattro marzo, ma il nove essi sono tornati tutti”.(37) E intanto i contadini, bloccavano le strade, incendiarono alcuni ponti e rovesciarono i camion di latte, che ricominciò a scorrere sull’asfalto. Il capo della protesta contadina Milo Reno disse: “Dicono che vi è una super-produzione, che il raccolto deve essere ridotto. Ma fino a quando vi saranno venticinque milioni di persone affamate in questo Paese, non potrà esservi super-produzione. È malvagio che il Governo distrugga i prodotti alimentari e riduca il raccolto in questi tempi. Quando Washington propone di pagare ai contadini non è che carità. Questo piano non funzionerà e se funzionasse non sarebbe giusto”.(38) Il piano invece funzionò, ma non per l’efficacia delle sue misure e tanto meno per la sua “giustizia”. Questa volta la natura “matrigna” intervenne in senso positivo, facendo opera di devastazione, e distruggendo i raccolti, eliminò la sovraproduzione e i prezzi risalirono ai livelli “previsti” dal piano Wallace. Infatti, per anni si era puntato all’aumento della produzione agricola con la meccanizzazione, l’irrigazione e l’utilizzo di terreni marginali, questa coltivazione senza limiti, non solo portò alla sovraproduzione, ma nel decennio 1930-40 produsse un tracollo dei terreni: “Per troppo tempo gli agricoltori avevano arato il suolo della prateria ed avevano fatto pascolare le loro mandrie sui prati delle pianure, inconsapevolmente strappando la sottile e forte coltre erbosa protettiva dalla quale, senza che lo sapessero, dipendeva la loro fortuna. Infatti era l’erba che tratteneva l’acqua nel suolo; era l’erba che impediva al vento di portar via la terra feconda. Senza l’erba l’eterna battaglia tra il vento e l’acqua poteva solo portare il deserto ovunque”.(39) E infatti a partire dal 1930 vennero i grandi caldi estivi che cominciarono a seccare la terra, i laghi del nord si abbassarono notevolmente e nel 1931 cominciò la siccità in alcune zone: “Poi il vento cominciò a soffiare. La terra divenne bruciata e riarsa; e dove rimaneva l’erba essa era gialla e secca e non poteva trattenere la terra; i venti, come tempeste di sabbia sulle pianure erbose, facevano alzare la polvere in grandi nuvole nere che oscuravano il cielo e coprivano il sole”.(40) Nel 1931 e 1932 si verificarono le prime piccole tempeste di sabbia nel Kansas occidentale e nel Colorado orientale, ma nel 1934 la siccità si estese a tutto il Middlewest, fino al Texas e gli Allegani: “Con l’approssimarsi dell’estate, il vento divenne più caldo e più violento. Colonne di sabbia turbinavano nel cielo, gialle, scure e pungenti. La polvere si depositava come neve contro le capanne e gli steccati. Le scuole erano chiuse, le automobili erano ferme ai lati delle strade, i lampioni erano accesi a mezzogiorno. La polvere filtrava attraverso le porte e le finestre delle fattorie, attraverso gli stracci umidi pigiati nelle fessure […] Il vento spazza via la terra fertile da milioni di ettari di superfici coltivate. Bruciò il raccolto di ventiquattro stati. Lasciò nei campi il grano ed il granturco secco, la terra cotta diventò dura come la pietra, gli alberi morti che si stagliarono contro l’orizzonte. Il bestiame, senza acqua da bere ed erba da mangiare, con i polmoni pieni di polvere divenne scheletrico e giacque negli angoli dei recinti attendendo la morte. Alcune bestie mangiarono tanta terra nel cercare di trovare le radici dell’erba che morirono con dei grumi di fango nello stomaco”.(41)
Il governo di fronte alla più grande siccità che avesse mai colpito gli Stati Uniti fece il possibile per alleviare le conseguenze di un evento tanto catastrofico, facendo arrivare aiuti nelle zone colpite, trasferendo il bestiame e facendo piani per la difesa del territorio per gli anni successivi. Qualcuno insinuò che questa catastrofe fosse “la punizione di Dio sugli uomini che avevano osato distruggere il cotone ed uccidere i lattonzoli”.(42) Ma si trattava chiaramente di un “Dio democratico” perché le tempeste di sabbia favorirono i piani del ministero dell’Agricoltura: “Infatti esse decurtarono la produzione, e specialmente quella del grano, con una mortale cruda efficienza, che andava ben oltre gli sforzi solo umani dei direttori dell’A.A.A. Il raccolto di grano, che era stato in media di circa 864 milioni di staia durante gli anni 1928-32, calò ad una media di circa 567 milioni di staia nel 1933-35; di questa riduzione, circa 20 milioni erano dovuti all’A.A.A., il resto alle intemperie. La conseguenza fu che le rimanenze di grano vennero assorbite, il prezzo del grano aumentò […] Per quanto riguardava il cotone, il merito esclusivo dell’aumento dei prezzi era dovuto all’A.A.A. Per il granturco tanto l’A.A.A. quanto le intemperie avevano aiutato...”.(43) Grazie poi allo sterminio di lattonzoli la carne di maiale era aumentata di prezzo da 4,50 a 7 dollari e secondo il senatore Louis Murphy: “I contadini sono molto contenti e convinti dei meriti della pianificazione ... Il segretario Wallace può ora ottenere quel che vuole dai contadini dello Iowa”.(44) D’altra parte Henry Wallace nel suo libro America Must Choose in tono profetico sostenne che l’umanità: “aveva raggiunto ... ‘una tale forza mentale e spirituale e un tale controllo sulla natura, che la dottrina della lotta per la sopravvivenza era definitivamente sorpassata, e rimpiazzata dalla più elevata legge della cooperazione’. E inoltre faceva comprendere che le visioni di Isaia e le percezioni di Cristo si sarebbero presto realizzate”.(45)
I dirigenti della Repubblica Popolare Cinese a metà degli anni ’50 si ispirarono ad altri profeti: Marx, Lenin e Stalin per realizzare il millennio comunista in terra. Quando in Russia, durante il XX Congresso del partito comunista nel1956, venne condannato il culto della personalità di Stalin e venne lanciata la politica della “coesistenza pacifica” col capitalismo, i dirigenti cinesi si preoccuparono. In particolare Mao Zedong capì che la condanna del culto della personalità poteva essere applicata anche alla sua direzione autocratica della Cina e del partito comunista. Anche la “coesistenza pacifica” coll’imperialismo non sembrava possibile e infatti durante la Conferenza mondiale dei partiti comunisti, tenuta a Mosca nel 1957, Mao sostenne una linea di scontro col mondo capitalista mettendo in conto che una guerra nucleare avrebbe potuto provocare l’estinzione di metà dell’umanità ma che: “L’altra [metà] sopravviverebbe ... Il mondo intero diventerebbe socialista”.(46) L’opinione bellicista dei cinesi si rafforzò dopo l’accordo segreto, firmato il 15 ottobre dello stesso anno,. Col quale Krusciov si impegnava: “ad aiutare la Cina ad acquistare le conoscenze scientifiche e tecnologiche necessarie alla creazione di un armamento nucleare; al di fuori del quadro dell’accordo, egli ha promesso alla Cina un esemplare di bomba atomica”.(47)
In questo clima di “avanzata” verso il comunismo Mao volle attuare una forzatura anche in politica interna proponendo nel dicembre del 1957 e poi nel maggio del 1958 il Grande Balzo in avanti dell’economia cinese. Oltre ai fantasiosi obiettivi quantitativi della produzione agricola e di quella industriale, il Grande Balzo prevedeva la formazione delle Comuni agricole che dovevano raggruppare molti nuclei familiari, anche 10.000, ma che mediamente ne comprendevano 4.800: “Alla fine di settembre erano state istituite 23.397 Comuni del popolo, risultanti dalla fusione di 640.000 cooperative agricole di produzione comprendenti 112,24 milioni di famiglie, ossia il 90,4 per cento di tutti i nuclei familiari contadini. Tre settimane dopo il numero delle Comuni era salito a 26.578, comprendenti 127 milioni di famiglie, ossia praticamente tutta la popolazione contadina...”.(48) L’intento pratico era quello di decentrare l’organizzazione dell’economia creando unità sociali autosufficienti che comprendessero tutte le attività dall’agricoltura, all’industria, al commercio, all’educazione, all’addestramento militare. Per realizzare le Comuni: “I campicelli privati sono soppressi. Un modo di vita comunitaria deve instaurarsi grazie all’apertura di mense, giardini d’infanzia, sartorie, case di riposo, che assumeranno le funzioni un tempo svolte nel quadro familiare”.(49) Concentrando tutte le attività di sussistenza l’intera popolazione agricola, comprese le donne, avrebbe potuto essere mobilitata nella realizzazione di innumerevoli impianti di irrigazione che avrebbero dovuto consentire un aumento della produzione agricola: “Durante l’inverno 1957-1958, 60 milioni di contadini vengono impegnati nella costruzione di impianti d’irrigazione […] grazie alla mobilitazione dell’inverno precedente: 117 milioni di mu (7,3 milioni di ettari) sono stati irrigati”.(50) I contadini vennero anche mobilitati per la costruzione e il funzionamento dei piccoli altiforni artigianali, nei quali vennero fusi vecchi attrezzi agricoli e stoviglie non più necessarie perché ci si alimentava nelle mense comuni. Inoltre venne bandito l’arruolamento delle milizie popolari. “Nel gennaio del 1959 queste milizie contano 220 milioni di membri. Ogni comune, o quasi, ha le proprie truppe che dedicano parecchie ore della giornata al tirocinio delle armi, della disciplina e della vita comunitaria. Queste disposizioni guerresche favoriscono la militarizzazione del lavoro nelle campagne”.(51) Venne anche lanciata una campagna contro i passeri, che secondo le statistiche si mangiavano una buona parte dei raccolti, ottenendo però il risultato di far proliferare enormemente i parassiti. Più in generale tutte queste mobilitazioni finirono per stancare le masse contadine: “Al principio dell’inverno, sono sfinite da dieci o dodici mesi di fatica sovrumana, deluse per non potersi appropriare più direttamente dei frutti del proprio lavoro, scoraggiate dagli sprechi ai quali danno luogo le distribuzioni gratuite, offese dalla confisca dei beni personali. Le divisioni selvagge di raccolti non dichiarati si moltiplicano”.(52)
Fu così che, nonostante l’eccellente raccolto dei cereali del 1958, diminuirono le consegne allo stato, perché i contadini si trattennero parte del raccolto. Una buona parte dei raccolti inoltre marciva nei campi “in mancanza della mano d’opera necessaria per farli ricoverare. Milioni di contadini sono mobilitati sui grandi cantieri o intorno ai piccoli altoforni, altri sono partiti per farsi assumere nelle città. Nelle province del Nord la mancanza di lavoratori rurali raggiunge il 50%. Nell’insieme del paese la manodopera contadina è calata da 192 milioni nel 1957 a 151 milioni nel 1958. L’appello lanciato da Mao Zedong per l’accelerazione e la meccanizzazione agricola non porta a una soluzione immediata del problema”.(53) Anzi quest’ultima iniziativa non fece che aggravare i danni inferti all’agricoltura con le altre iniziative, infatti l’aratura profonda riportò in superficie gli strati sterili diminuendo la produttività del suolo. Ma ben più gravi si dimostrarono le altre iniziative come quella dell’irrigazione fatta senza preoccuparsi del drenaggio dei terreni, il che provocò, in seguito all’evaporazione dell’acqua immessa nei campi, la salinizzazione dei terreni. Senza contare che le opere d’irrigazione realizzate con materiali impropri e con tecniche improvvisate non ressero alle prime piogge un po’ più forti. Inoltre i terreni furono ulteriormente impoveriti dalla diminuzione dei concimi naturali la cui: “produzione sarebbe in effetti caduta, durante il Grande Balzo, da 1,1 a 0,75 milioni di tonnellate. Questo calo riflette quello del bestiame, abbattuto dai proprietari restii alla comunistizzazione, o sfinito dal lavoro e dalla malnutrizione nelle stalle comunali”.(54)
Il risultato finale di tutta questa serie di errori politici e tecnici fu la caduta del raccolto di cereali da 200 milioni di tonnellate nel 1958 a 170 milioni nel 1959, a 144 milioni nel 1960. Solo nell’anno successivo si ebbe un’inversione di tendenza e solo nel 1965 si raggiunsero livelli pari a quelli del 1958. Questa caduta dei raccolti si tradusse naturalmente nella riduzione delle razioni alimentari: “Il consumo di grano per persona tuttavia diminuisce del 20% passando da 204 chilogrammi nel 1957 a 163,5 chilogrammi nel 1960. […] Ma in campagna, dove il consumo cala in media del 23,7%, cadendo da 204 a 156 chilogrammi a testa tra il 1957 e il 1960, la penuria si trasforma in carestia”.(55) La conseguenza delle carestie fu il calo della popolazione, dovuto alla riduzione delle nascite volontarie o per inedia, ma soprattutto derivato dall’aumento del tasso di mortalità: “Per gli anni 1959-1961, il numero dei morti era stato valutato tra i 16 e i 28 milioni dagli esperti occidentali. Le fonti cinesi lo stimano a 13 milioni. Anche se ci si attiene a questa cifra il numero delle vittime del Grande Balzo supera, e di gran lunga, quello delle carestie della fine del XIX secolo e della prima metà del XX secolo. Sempre basandosi sulle statistiche ufficiali cinesi, il tasso di mortalità (10,8% nel 1957) arriva a 25,4% nel 1960, e rimane ancora al 14,4% nel 1961, anni in cui le epidemie hanno certamente fatto più danni della carestia propriamente detta”.(56)

1) M. DAVIS, op.cit., p. 192.

2) Ivi, p. 194.

3) E.H. CARR, La rivoluzione bolscevica, Einaudi, 1964, p. 560.

4) Ivi, p. 561.

5) Ivi, p. 581.

6) Ivi, p. 580.

7) Ivi, p. 690.

8) Ivi, p. 700, n. 1.

9) E.H. CARR, Il socialismo in un solo paese, Einaudi, 1968, p. 181.

10) Ivi, p. 182.

11) Ivi, pp. 186-7.

12) Ivi, p. 189.

13) E.H. CARR-R.W. DAVIS, Le origini della pianificazione sovietica, Einaudi, 1972, p. 33.

14) Ivi, p. 36.

15) Ivi, p. 39.

16) M. LEWIN, Contadini e potere sovietico, Franco Angeli Editore, 1972, p. 378.

17) Ivi, p. 381.

18) Ivi, p. 384.

19) BLUNN A, Nâitre, vivre et mourir en URSS, 1917-1991, Paris, Plan, 1994, p. 99.

20) A.M. SCHLESINGER jr., L’età di Roosevelt, vol. I, Il Mulino, 1959, pp. 197-8.

21) Ivi, p. 199.

22) Ivi, p. 161.

23) Ivi, p. 223.

24) Ibidem.

25) Ivi, p. 250.

26) Ivi, p. 251.

27) Ivi, p. 429.

28) Ivi, pp. 9-10.

29) Ivi, p. 10.

30) A.M. SCHLESINGER, L’età di Roosevelt, vol. II. Il Mulino, 1963, pp. 30-1.

31) Ivi, p. 59.

32) Ivi, p. 60.

33) Ibidem.

34) Ivi, p. 61.

35) Ivi, p. 62.

36) Ivi, p. 63.

37) Ivi, p. 65.

38) Ivi, pp. 65-6.

39) Ivi, p. 67.

40) Ivi, pp. 67-8.

41) Ivi, pp. 68-9.

42) Ivi, p. 69.

43) Ivi, p. 70.

44) Ibidem.

45) Ivi, pp. 84-5.

46) Cit. in M.C. BERGERE, La Cina dal 1949 ai giorni nostri, Il Mulino, 2000, p. 131.

47) Ivi, pp. 131-2.

48) S. ADLER, Dal Kuomintang alle Comuni del popolo, Editori Riuniti, 1959, p. 241.

49) M.C. BERGERE, op.cit., p. 117.

50) Ivi, pp. 115-6.

51) Ivi, p. 117.

52) Ivi, p. 121.

53) Ivi, p. 147.

54) Ivi, p. 148.

55) Ivi, p. 146.

56) Ivi, p. 149