Perché molti europei non amano l’Europa? Come mai i referendum popolari bocciano spesso i trattati su cui poggia, malgrado i governi dei Paesi e i dirigenti europei tifino per la loro approvazione? È già successo in Irlanda nel 2001 con la bocciatura del Trattato di Nizza, poi nel 2005 Francia e poi l’Olanda affossarono la nuova Costituzione europea, e adesso l’Irlanda ha bocciato l’ultima «carta», quella di Lisbona. Che cosa alimenta la psicologia contraria ai trattati europei?
Un piccolo episodio. Mi accorgo che nello studio del dentista è sparita la parete mobile che divideva la sala d’attesa da quella dove si segnano gli appuntamenti. Siccome leggere il giornale in pace in attesa di farti trapanare è una piccola consolazione, chiedo come mai. Il dentista mi spiega che per un nuovo regolamento europeo quella saletta d’attesa, hanno spiegato i vigili, non era più agibile, per aria insufficiente e rischi di soffocamento per i clienti in attesa. Naturalmente i vigili furono i primi a ridere del regolamento, e poi, più amaramente, anche il dentista, e i clienti. Però si dovette rinunciare alla sala d’attesa con relativa privacy.

Molti lettori hanno sperimentato piccoli episodi analoghi in mille altre occasioni: urbane, di campagna, residenziali, industriali, e così via. Gli interventi «regolamentari» della Ue nella vita dei cittadini sono infiniti e, di trattato in trattato, tendono ad aumentare sempre di più. Le giustificazioni sono lodevolissime, razionali: lo sviluppo, l’igiene, la sicurezza, e così via. Non tutti, però, sono convinti. Per esempio la Svizzera, che, infatti, nella Ue non è ancora entrata. Economisti e politici profetizzarono subito la sua rovina per questo assurdo rifiuto: in realtà la Confederazione non sta affatto peggio del resto d’Europa, continua ad essere più ordinata e sicura, e le sue multinazionali sono cresciute ad un tasso superiore di quello medio dell’Europa. E i suoi castelli, come quello dello psicologo Carl Gustav Jung, hanno continuato a tenersi i gabinetti alla turca in giardino, mentre i regolamenti europei li hanno vietati. Suscitando così, ad esempio la protesta del partito autonomista altoatesino che delle «turche» sopraelevate nei «masi» alpini ha fatto un manifesto di libertà.
Ridicole battaglie di retroguardia? Forse. L’identità delle persone, e dei popoli, è però fatta da cose che ad altri appaiono ridicole, ma che per quelle persone, o per quel gruppo, sono invece cariche di significati e di affetti cui non intendono, ma spesso non possono, rinunciare senza perdere parti consistenti della propria autostima e del proprio gusto per la vita.
Il fatto è che la Ue non ha finora dimostrato alcuna attenzione per quel campo fondamentale della vita umana che è quello della propria particolarità individuale e di gruppo. Il filosofo Husserl, fondatore della fenomenologia, lo chiamava «Eingenheitshorizont», l’orizzonte cui appartengono gli oggetti, le immagini e le emozioni familiari. Un campo che l’osservazione psicologica ha poi riconosciuto fondamentale per la formazione della propria identità e l’espressione del proprio sé.
La Ue non è l’unica organizzazione internazionale che non riesce ad entrare in sintonia con questo campo emotivo ed esperienziale. Accade lo stesso all’Onu, le cui direttive vengono spesso vissute come lontane ed incomprensibili dalle popolazioni cui si rivolgono. La causa però non è sempre l’arretratezza dei destinatari, ma anche l’indifferenza di regolamenti e costituzioni verso la concretezza della vita umana: i suoi affetti, le sue sicurezze ed i suoi valori.