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Cini:«Il nucleare è costoso, irrazionale e anti-economico»

di Rina Gagliardi - 17/06/2008

 
 

Il "ritorno del nucleare", con tanto di ambientalisti pentiti (pardon, con tanto di ambientalisti che hanno cambiato idea), è una sciagura quasi unicamente italiana - le maggiori potenze dell'occidente sviluppato, e non solo, hanno smesso da un pezzo di progettare e costruire nuove centrali ad uranio, e investono in altre risorse energetiche. Ecco un dato quasi del tutto trascurato dalla discussione, chiamiamola così, di queste settimane. Che anche per questo ha un taglio e un valore fortemente simbolico - culturale, nel senso lato del termine. Di questo, e delle ragioni di merito per le quali, a più di vent'anni di distanza da Chernobyl, non c'è nessuna ragione valida (scusate il voluto bisticcio linguistico), per rilanciare l'uso del nucleare, abbiamo parlato con Marcello Cini. Un intellettuale che sa di scienza, di non neutralità della scienza e di politica. Un antinuclearista non pentito, oltre che un difensore attivo della laicità.


Il No al nucleare, per quasi vent'anni, è stato largamente egemone nel Paese e nella cultura di sinistra - quantomeno nella sua componente meno "sviluppista" e meno scientista. Oggi non è più così. Come mai, secondo te, la proposta del nuovo governo di centrodestra, ottiene in fondo un consenso così largo, e molto "trasversale"?
Perché questa proposta è parte integrante dell'egemonia attuale, profonda, della destra. E' frutto del clima politico e culturale che stiamo vivendo - che stiamo cioè subendo, come ha ampiamente analizzato Bertinotti nella "giornata di studio" che la rivista "Alternative per il socialismo" ha dedicato, venerdì scorso, alle ragioni della sconfitta. La destra, questa volta,ha vinto anche perché ha "convinto": i suoi valori, i suoi paradigmi, il suo linguaggio, la sua idea di società non hanno trovato - specificamente nell'ultima campagna elettorale - una opposizione (o un'alternativa) davvero reali e convincenti. Così, il nucleare ritorna in campo, insieme al Ponte di Messina, alle Grandi Opere, a tutto ciò che allude ad un modello di sviluppo falsamente "moderno" ed efficiente, per ragioni altamente simboliche.

Più simboliche che economiche? Non c'è dunque, dietro il piano Scajola, un interesse diretto dei "poteri forti"a investire nell'energia nucleare?

Mah, a parte il fatto che il piano Scajola ancora non è davvero noto, il nucleare non è certo un settore che garantisce alti livelli di redditività o di profitto: ha costi enormi, sia di progettazione che di costruzione, oltre che di mantenimento (e di smantellamento), ha bisogno di misure di sicurezza straordinarie, ha una fonte di approvigiomento, l'uranio, che è "finita" quasi quanto il petrolio. Voglio dire che questa scelta del governo (e di parte dell'opposizione) non si spiega attraverso un "classico" paradigma di tipo economicistico (anche se poi, naturalmente, se si procederà alla costruzione di nuove centrali, i soldi, tanti soldi, circoleranno). Il fatto è che questa destra non è riducibile ad un'opzione puramente neo-liberista, "capitalistica", all'equazione libero mercatointeressi diretti di classe della borghesia: essa, quasi al contrario, tende ad attingere a piene mani nelle casse dello Stato, ovvero nelle tasche dei cittadini, inseguendo mega-progetti sostanzialmente irrazionali e improduttivi, colludendo con la componente più speculativa - mafiosa - della borghesia italiana. Da questo punto di vista, il caso del nucleare è esemplare. Ancora non è detto che esso si farà davvero - le centrali così dette di "quarta generazione", quelle che dovrebbero aver risolto tutti i problemi della sicurezza, ci saranno, se ci saranno, tra venti, venticinque anni, non prima. Ma sicuramente nel frattempo l'Enel metterà le mani sulle centrali dell'Est (a proposito, le più vecchie, le meno sicure…). Nel frattempo, verranno investite risorse pubbliche molto ingenti nella "preparazione" e negli studi, a favore di comitati, corti di tecnici, consulenti, e via dicendo. Una pioggia di laute prebende a gruppi ben determinati, che non farà fare a questo Paese alcun vero passo in avanti. Ma anche il simbolo di una scienza e di una tecnologia elitarie: nelle mani dei "pochi che sanno", contro la moltitudine che è tagliata fuori, non sa, non può controllare nulla.

Si dice che le energie alternative, le fonti rinnovabili, non sarebbero comunque in grado di risolvere il problema del fabbisogno energetico. E che dunque serve, come minimo, un mix - nucleare e solare, nucleare ed eolico. E' vero?
No che non è vero. Implicitamente o esplicitamente, il riferimento è sempre quello del modello di sviluppo che si vuole perseguire - che cosa produrre, quanto e come produrlo, quanto e come consumare. L'argomento che citavi, e che viene citato molto spesso, non è solo di tipo "contabile": in realtà, è l'indizio più chiaro della pigrizia della borghesia italiana, della sua inesistenza imprenditoriale. Non c'è oggi, in questo paese, nessun imprenditore che abbia il coraggio di investire sul serio nel campo delle energie alternative, cioè rinnovabili. Così come non c'è un politico che abbia capito la portata del problema - a differenza di quello che accade nei principali paesi d'Europa, come la Germania. E' chiaro come il sole che il solare, l'eolico e il fotovoltaico costituiscono una soluzione di valore crescente man mano che diventano l'investimento privilegiato, man mano che che nella società si afferma la centralità economico-politica e culturale delle energie rinnovabili. E che, viceversa, se si opta per una tecnologia costosissima, e di retroguardia, come il nucleare, il gatto non fa che mordersi la coda.

Riassumendo: il nucleare è, prima di tutto, una scelta miope. Succhia risorse colossali, blocca l'obiettivo vero, le energie rinnovabili, non risolve i problemi, né a lungo né a medio termine. E la sicurezza? La ragione per la quale forse ancora molte persone non si fidano di una centrale atomica?
Guarda che, secondo me, quello della "non sicurezza" è un argomento relativo (a parte il fatto che, siccome viviamo in Italia, mi sembra lecito mettere nel conto non l'"insicurezza" in sé e per sé delle centrali di Scajola, ma l'inaffidabilità dei nostri sistemi di controllo, a differenza di quelli tedeschi o francesi). E' dimostrato, cioè che le centrali nucleari possono essere ben protette e relativamente "sicure", ancorché non sia stato risolta, a tutt'oggi, la questione dello smaltimento delle scorie. La domanda è: a quale prezzo? Con quali costi? E parlo sia dal punto di vista economico che da quello della democrazia. Se una delle ragioni più frequentemente addotte a favore del nucleare, almeno qui da noi, è la necessità di risparmiare sui costi attuali, non è difficile capire che, fatti tutti i conti, sono proprio i conti a non tornare. Insomma, l'energia nucleare "sicura" è costosissima - basti vedere quanto costa chiudere una centrale, quando ha finito il suo percorso di vita. Ma la sicurezza richiesta ha anche un costo politico: militarizzata o no che sia, una centrale nucleare configura una struttura autoritaria. Diventa il simbolo di una società in cui, come già dicevo, nessuno può mettere bocca sulle grandi scelte - nessuno può prender parola, discutere, partecipare, a parte l'oligarchia di coloro che conoscono e gestiscono. In questo senso, il modello di sviluppo fondato sull'energia nucleare è davvero una revanche sul Sessantotto. La restaurazione dell'ordine che quel movimento ha combattuto, con qualche successo anche duraturo. L'idea che la società è rigidamente divisa in classi, quelle dominanti e quelle subalterne - e i diritti, quando e se ci sono, sono mere elargizioni, e il controllo sociale e di massa è obliterato. Foucault, in fondo, aveva già detto tutto. Sì, stiamo davvero andando verso un regime - per quanto "leggero" esso sia…