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Libertà di espressione al pensiero critico contro l'oligarchia della comunicazione

di Fabrizio Iommi - 08/07/2008

LE CONTRADDIZIONI DEL PENSIERO LIBERALE
LIBERTA' DI ESPRESSIONE PER IL PENSIERO CRITICO AD ALTO TASSO DI RADICALITA', CONTRO I NUOVI LEVIATANI E L'OLIGARCHIA DELLA COMUNICAZIONE



"Oggi, dopo la rivoluzione liberale, la tesi di base è antitetica : non esiste una verità che si possa ritenere a priori, dunque definitiva, ma solo una ragguagliata all’esperienza trascorsa e per ciò stesso modificabile a seguito di ulteriore esperienza a venire. Occorre pertanto permettere di continuo che si portino critiche di qualsiasi genere e tasso di radicalità a qualunque tesi .... Questa è la tesi epistemologica di Popper, una pietra miliare nella storia del pensiero tanto scientifico che politico".

1) Libertà di espressione come diritto alla verità

E’ noto che la libertà di espressione è uno dei diritti fondamentali della persona. Altrettanto noto è che tale libertà è conculcata di regola da tutti i regimi assoluti o totalitari. Osservo però che nessuno si è mai chiesto accuratamente per quale ragione una tale libertà sia conculcata da un potere illiberale. Molto probabilmente si crede che si tratti di una ragione fin troppo evidente. Ma le cose troppo evidenti nascondono sempre risvolti interessanti ed insospettati. Perché un regime dovrebbe preoccuparsi del parlottare dei suoi sudditi e dei contenuti delle loro conversazioni private e pubbliche ? Perché dovrebbe privarli di una libertà che consente sfoghi personali senza i quali potrebbe sorgere un qualche risentimento contro il regime che li proibisse ? Non è sufficiente avanzare il pretesto che tale libertà alimenterebbe anche complotti contro il regime, perché qui siamo già alla rivendicazione di un diverso e specifico intervento, assai più oneroso ed impegnativo, non già alla semplice manifestazione di convincimenti relativi a fatti concreti o a principi teorici. E dunque un potere dispotico ma astuto non dovrebbe sentire necessità alcuna di istituire la censura preventiva fuori dei casi di vera e propria sollevazione contro i poteri costituiti.

Il vero motivo è precisamente che la manifestazione del pensiero può avere la capacità di far meglio emergere la verità in qualunque ambito di argomentazione così che, se la giustificazione politica di un regime arbitrario si fonda sulla menzogna o sull’errore, come è di solito, una libera espressione possiede la capacità di indebolirlo fino a minarne le fondamenta semplicemente con lo strumento pacifico della parola, anche senza ricorrere fattivamente a complotti politici o vere e proprie azioni insurrezionali.

Conclusione obbligata : la libertà di espressione non è solo un tributo doveroso alla dignità della persona, che non può subire coercizione alcuna delle sue facoltà naturali, ma è anche (e soprattutto secondo un punto di vista politico) la condizione necessaria di ogni possibilità per gli individui di accertare la verità, ossia di disporre di quel punto di riferimento che è indispensabile al corretto orientamento nella vita ordinaria. La verità infatti costituisce un bene oggettivo assoluto perché discrimina tra la ragione e la follia ed è pertanto irrinunciabile il diritto di ciascuno di attingerla mediante la funzione critica dell’intelletto, che si esplica in maniera compiuta nell’espressione assolutamente libera delle proprie idee. E’ dunque per questa seconda via, ossia come condizione per raggiungere il bene assoluto della verità, che la libertà di espressione trova un’ulteriore potente legittimazione; ed è per questa sua preziosa facoltà che è temuta dai regimi illiberali o consapevoli di estorcere consenso con la menzogna istituzionale.

2) Quale via alla verità?

E dunque il problema si configura in questi più precisi termini : la libertà di pensiero e di espressione è indispensabile perché lo spirito umano ha bisogno di verità e dunque degli strumenti per raggiungerla. Qualunque regime ponga ostacoli a questo suo bisogno fondamentale, è un regime comunque da contrastare come un regime orientato fondamentalmente all’esercizio arbitrario del potere.

Ma la funzionalità della libertà di espressione per il raggiungimento del vero e del giusto è un’acquisizione recente della cultura occidentale.

Fino alla fine dell’ancient régime (e ancor oggi nella Chiesa cattolica così come in altri regimi integralistici) si riteneva che la verità fosse stata data da fonti autorevoli una volta per sempre e occorresse solo adattarla alle varie situazioni storiche (a ciò provvedevano i suoi interpreti istituzionali). E dunque i regimi si preoccupavano di conservare e soprattutto di difendere la verità depositata dalla tradizione da qualunque attacco, incredulità o tralignamento. Di qui l’obbligo della censura contro ogni espressione contraria a quella ufficiale.

Oggi, dopo la rivoluzione liberale, la tesi di base è antitetica : non esiste una verità che si possa ritenere a priori, dunque definitiva, ma solo una ragguagliata all’esperienza trascorsa e per ciò stesso modificabile a seguito di ulteriore esperienza a venire. Occorre pertanto permettere di continuo che si portino critiche di qualsiasi genere e tasso di radicalità a qualunque tesi perché solo così, ossia solo adducendo di continuo ulteriori esperienze ed argomentazioni una tesi ancorché dominante (ma da considerare pur sempre provvisoria) può continuare a mostrarsi fondata, se resiste ad ogni attacco demolitorio, o deve essere accantonata, se messa in crisi.

Questa è la tesi epistemologica di Popper, una pietra miliare nella storia del pensiero tanto scientifico che politico.

L’applicazione politica di tale principio è immediata : se non esiste una verità predeterminata per sempre, ma opinioni sempre revisionabili quand’anche fin oggi condivise, si deve concedere che chiunque le possa sottoporre di nuovo a critica in qualsiasi momento e dunque abbia diritto perpetuo alla manifestazione del suo pensiero, quand’anche il più critico e demolitorio.

Di qui una conclusione purtroppo ignorata o assai sottovalutata : per quanto detto la libertà di espressione non è solo una libertà della sfera privata (come il diritto alla vita o alla proprietà), ma altrettanto della sfera istituzionale pubblica, perché solo grazie ad essa anche nel pubblico è possibile arrivare ad opinioni comuni e fondate in quanto sorrette da una percezione spontaneamente condivisa della realtà (e non imposta con operazioni mistificatorie da regimi corrotti o addirittura totalitari, oppure da consorterie private).

3) Verità e politica

Purtroppo né Popper, né altri esponenti del pensiero liberale arrivano a trarre tutte le conseguenze politiche di tale radicale fondamento epistemologico. Infatti è direttamente implicato da tale teoria che anche una sola critica di un oscuro personaggio privo di carisma mediatico può mettere in crisi una teoria consolidata da gran tempo (come in effetti è accaduto nella storia della scienza, nella quale sono forse maggioritari i casi di rivoluzioni scientifiche avvenute per iniziativa di pochi coraggiosi contro l’intransigenza degli apparati dominanti della società).

Qual è allora la conseguenza politica fondamentale che occorre trarre dalla teoria espistemologica di Popper ? che in un regime effettivamente democratico un’espressione di pensiero socialmente marginale può non avere un valore intrinseco marginale, ma assai maggiore e tale da sfidare la validità di opinioni al momento maggioritarie; ossia la validità di un’idea non è sempre proporzionale alla sua diffusione in un qualsiasi momento dato; il suo valore di verità – per usare un termine logico – può essere altro dal suo peso mediatico o politico e non ci sono contrassegni esterni per misurare a priori l’entità di tale discrepanza, una discrepanza che costituisce una grave iattura – non lo si vorrà negare – per la corretta gestione politica di una società democratica, in cui vige pur sempre il principio della maggioranza, in cui la maggioranza deve assicurare il bene comune, che però può essere raggiunto solo a seguito di una corretta percezione del reale, una percezione che, come prima osservato, solo una libertà assoluta ed universale di espressione e di critica consente.

E dunque è chiaro che il compito di un sistema politico razionale è quello di far in modo che validità intrinseca e favore popolare di un’idea tendano almeno alla convergenza, ossia che il maggior numero di persone arrivi a condividere tesi vere e non aberranti così da dar luogo a maggioranze istituzionali che adottino come fondamento del proprio agire solo tesi fondate e corrette. Si è preoccupato Popper di ciò ? Si sta occupando oggi la politica di ciò ? Minimamente. Vediamo perché.

"...c’è nell’attuale articolazione del sistema politico italiano od europeo la presa d’atto della circostanza sopra descritta e rilevantissima per la democrazia... ? Assolutamente no. Basti pensare al modo disinvolto con cui girano tesi esattamente opposte, eppure esternate come ritrovati di una moderna democrazia, quali l’espunzione dal giuoco politico delle minoranze tramite soglie elettorali di sbarramento, o sistemi elettorali maggioritari di varia fattura ..."

4) La devianza tendenzialmente illiberale dei costumi politici odierni

Primo quesito: c’è nell’attuale articolazione del sistema politico italiano od europeo la presa d’atto della circostanza sopra descritta e rilevantissima per la democrazia, ossia del fatto che un’opinione marginale può avere molto più importanza di una dominante e che pertanto ambedue hanno diritto allo stesso trattamento politicamente rilevante ? Assolutamente no.

Basti pensare al modo disinvolto con cui girano tesi esattamente opposte, eppure esternate come ritrovati di una moderna democrazia, quali l’espunzione dal giuoco politico delle minoranze tramite soglie elettorali di sbarramento, o sistemi elettorali maggioritari di varia fattura; oppure il rafforzamento di poteri esecutivi monocratici (in cui la marginalità non può materialmente emergere) e lo svilimento di organismi collettivi come i parlamenti, in cui invece potrebbero trovare voce anche posizioni di infima dimensione sociale.

"Un professore isolato come Faurisson viene braccato come un animale da preda il più delle volte che si presenta a parlare in pubblico, solo perché porta obiezioni scientifiche alla tesi storica dominante delle camere a gas del regime nazista, non già perché fa apologia di nazismo ... Perché tutto ciò?".

Secondo quesito : c’è almeno nella prassi di fatto della società odierna quella consapevolezza che non si trova nell’ambito politico in senso stretto ? Ahimé, essa non alligna nemmeno fuori delle sedi istituzionali.

Un professore isolato come Faurisson viene braccato come un animale da preda il più delle volte che si presenta a parlare in pubblico, solo perché porta obiezioni scientifiche alla tesi storica dominante delle camere a gas del regime nazista, non già perché fa apologia di nazismo. E analogamente se su qualunque rivista specialistica o anche sulla stampa quotidiana compare un articolo contrario alla tesi virale dell’AIDS, ossia che mette in dubbio l’esistenza del virus HIV, scatta un meccanismo di ostracismo che ha visto fior di scienziati messi al bando della comunità scientifica e privati dei fondi pubblici della ricerca (cfr. Duisberg in America, Kremer in Europa, Papadoupolos in Australia, etc.). Ed in altro ambito ancora il libro Imprimatur, un ottimo romanzo italiano che ha il difetto di parlar poco bene di un papa del seicento, è stato bandito in Italia dalle case editrici, mentre all’estero vende più del Codice da Vinci, un caso di censura che fa impallidire quella fascista. Perché tutto ciò? Perché lobbies economico-politiche assai potenti non possono consentire che i crimini nazisti perdano quel di più di esasperata disumanità che in qualche modo serve ad oscurare quelli (non meno efferati) compiuti dallo stesso Occidente Democratico contro il resto del mondo; perché il complesso delle case farmaceutiche non può consentire che si scopra la truffa del falso virus da cui tanti proventi ha ottenuto e otterrà; perché la Chiesa cattolica non può permettere che in un momento di ritrovata credibilità e di riemergente integralismo la storia di un papa banchiere avido e spregiudicato rovini l’immagine idilliaca che essa è riuscita a ricreare nel paese. E il mondo editoriale italiano le si presta per una sciagurata abdicazione ai più elementari principi liberali (anche a quel principio di libero mercato di cui pure tanto si parla).

5) Il ruolo dei corpi intermedi

Ma non c’è nella tradizione liberale un concetto assai diverso della società democratica ? Ossia di una società in cui i valori primi della democrazia sono assicurati proprio da quei corpi intermedi che in qualche modo temperano l’assolutismo tendenziale di ogni potere pubblico ? Nei casi sopra citati invece abbiamo visto che tali corpi intermedi funzionano in senso esattamente opposto a quello voluto dal pensiero liberale. Che sia tale errore di fatto a far scivolare l’attuale sistema politico verso le forme illiberali che purtroppo oggi sono sempre più frequenti ? E’ il caso di esaminare più da vicino la faccenda.

Dunque lo stato è, secondo il pensiero liberale, un Leviatano, che può essere frenato dalla presenza nella società di gruppi organizzati capaci di sviluppare un ruolo fortemente antagonista. E già qui s’intravede una deficienza logica. L’antagonismo di un soggetto conflittuale e sufficientemente forte da non essere sottomesso da un potere sovrano può dare la garanzia che si origini un contrasto tale da impedire l’assolutezza di quel potere sovrano, non già che la prassi che ne scaturisce, sia conforme ad un principio di equità come dovrebbe essere quello che assicura a tutti una libera espressione politicamente efficace. La chiesa cattolica può sì opporsi ad un sovrano che la voglia imbavagliare se ne ha la forza, ma ciò non la costringe a permettere pari libertà agli altri soggetti sociali suoi competitori se ciò la infastidisce; e se questi ultimi non hanno la stessa sua pari forza, soccombono (come è successo agli autori di Imprimatur, un incredibile caso di successo editoriale estero, ma cancellato dalla pubblicistica italiana per volontà della gerarchia cattolica).

Ed allora è facile individuare ciò che è mancato alla frettolosa tradizione liberale che inneggia ai corpi intermedi : questi possono sì essere mezzo di temperamento di un potere assoluto, ma solo se a loro volta non esercitano verso terzi quello stesso assolutismo che essi impediscono allo stato, ossia se prevedono al proprio interno un’articolazione severamente ispirata a principi democratici. Se ciò non accade, i corpi intermedi sono tanti piccoli Leviatani che invece di moderare quel gran Leviatano che la tradizione liberale vede nello stato, al contrario lo accrescono e lo legittimano, una volta che l’hanno piegato alle loro proprie esigenze.

La Chiesa cattolica è un organismo democratico ? non lo è e dichiaratamente. Ecco allora spiegato perché non esita a far sparire un libro fastidioso dagli scaffali delle librerie italiane. Le multinazionali farmaceutiche sono organismi democratici ? minimamente. Quando mai una corporation esercita la sua attività mediante assemblee partecipate da tutti i soggetti interessati ? Ed ecco perché pagano le riviste specializzate affinché rifiutino di pubblicare gli articoli scientifici critici della terapia corrente (e criminale) dell’AIDS. E così una lobby fondata su un principio nazionalistico o religioso come quella sionista ha quel che basta per rifiutare un metodo di acquisizione della verità consistente in una libera dialettica razionale alimentata da qualunque genere di ipotesi e tende perciò a reagire in modo rabbioso e repressivo ogni volta che ipotesi insolite vengono a turbare i suoi interessi.

6) Che fare ?

E’ evidente che la situazione descritta è dovuta ad un deficit di programmazione democratica, quale quella che preveda un’espressione assolutamente libera di opinioni all’interno di qualsiasi corpo intermedio della società che pretenda di avere un’audience pubblica o un qualsiasi ruolo nella formazione della pubblica opinione. Una traccia di tale esigenza, ma una minima traccia, la si ravvisa in quell’articolo della Costituzione italiana che prescrive un’articolazione interna su basi democratiche ai sindacati di lavoratori che vogliano ottenere la pubblica registrazione. Non avrebbe dovuto tale pretesa applicarsi anche ad altri organismi, ad esempio a quel potente organismo intermedio che è la Chiesa cattolica? Cui invece si riconosce addirittura un’autorità sovrana pur in presenza del suo pesante deficit di democrazia interna.

Quale meraviglia allora se tale corpo intermedio si comporta come un Leviatano minore anziché come quel soggetto virtuoso dipinto dal pensiero liberale classico?

Ma con ciò abbiamo ora ben chiaro che cosa dobbiamo pretendere proprio da quel Leviatano che taluni dicono essere lo Stato: dobbiamo pretendere una difesa della libertà di espressione da quei soggetti che vorrebbero uno stato minimo, ossia uno stato che li lasci liberi di fare scorrerie nel mondo della pubblica opinione per asservire le menti della maggioranza; ossia una difesa dall’oligarchia della comunicazione, che a parole si spaccia come sentinella della liberaldemocrazia, ma nella realtà si comporta come una cerchia di boiardi che grida allo stato totalitario ogni volta che questo si accinge a limare le loro unghie. Sempre che questo stato non sia ormai diventato impotente perché già saldamente in loro mani.