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Pietro Barcellona: il ritorno del legame sociale

di redazionale - 11/08/2008

 

 

Nel 1990, quindi nel periodo appena successivo al crollo del “comunismo reale”,  Pietro Barcellona(1) pubblica il libro “Il ritorno del legame sociale”, in cui affronta il problema della dimensione dell'individuo all'interno della società moderna, in particolar modo di quella liberal-capitalista. Individua in essa un paradosso che genera nell'individuo quel senso di solitudine tipica dell'uomo contemporaneo: viene cancellata la comunità tradizionale, per creare l' “uomo libero”, ma in realtà riempie lo “spazio sociale” solo tramite il mercato e la tecnica, col risultato di imporre solamente un agire strumentale basato sul rapporto mezzo/fine, che genera a sua volta l'atomismo, lasciando l'uomo nell'isolamento totale e schiavo delle merci e della tecnica . Questo fa sì che a livello di “società” non si riescano più a stabilire fini comuni, quindi a lavorare insieme per un bene comune.

 

Ma vediamo su quali temi si svolge la riflessione di Barcellona.

Il dato dominante della società moderna sarebbe il “nuovo cinismo”, un sentimento di indifferenza verso ogni valore, in nome del capitalismo. Siamo in un mondo dove vige quella che Marx definisce la “volgarità dell'economia politica”, il dominio delle merci e del denaro che assolutizzano il controllo del più forte sull'intera società, spacciandolo per tutela della libertà individuale, sciogliendo nel frattempo ogni legame sociale.

 

Nucleo centrale della riflessione dell'autore è l'analisi della “modernizzazione”. Viene presentata come compimento della modernità, ma in realtà rappresenta il “carattere artificiale del moderno”, in quanto elimina ogni soggettività in nome del “funzionalismo della razionalità tecnologica”, il dominio della tecnica e del rapporto mezzi/fine. In realtà, si può dire che oggi viviamo nel mondo della “tecnica”; infatti la realtà viene considerata come il prodotto del sapere scientifico in base ai risultati che riesce a fornire. Classico esempio di questa mentalità è il “principio della piena disponibilità dell'origine”.  L'uomo moderno ha rimosso ogni legame comunitario, ora si considera “figlio di sé stesso”, disconoscendo ogni legame con le generazioni passate e anche coi i suoi simili, emblematica è la considerazione paritaria delle nascite naturali e di quelle in provetta. Questo porta alla distruzione della “alleanza mitica” tra uomo e natura, tipica delle società tradizionali. Da qui nasce uno dei paradossi della società moderna. Infatti, quello che nasce come volontà di esaltare la libertà individuale, finisce col renderlo schiavo del mercato. Come fa notare Habermas, ci sono due campi ben distinti: da un lato la società politica, dove l'unità dei cittadini si articola nello Stato e nelle leggi; e dall'altro la società civile, dominata dal mercato, che però crea l'indifferenza tra i singoli, considerati unicamente come parti di una contrattazione economica, dove si vorrebbe creare la libertà individuale. L'assurdo di tale situazione, è che la società civile così organizzata, necessita sempre più l'intervento dello Stato, per colmare il vuoto sociale, col risultato di vincolare ancora più che in passato le libertà individuali.

 

Come abbiamo visto, il centro dell'organizzazione sociale è occupato dai rapporti economici. Di conseguenza, il nucleo della modernizzazione è l' “organizzazione del processo produttivo”, e la forma del lavoro che ne deriva. Come faceva notare Gramsci, la grande cesura col mondo

pre-moderno, è rappresentata dall'avvento del “fordismo”. Mentre prima, il lavoro professionale era basato sull'intelligenza e sulla fantasia del lavoratore, tipico il caso delle “botteghe medioevali”, ora, con la catena di montaggio, diventa una questione puramente di utilizzo della manodopera, fonte di “alienazione”. I risultati di tale rivolgimento sociale sono l'astrazione del processo produttivo, che rende meno visibile il risultato degli sforzi del lavoro, impostando i rapporti sul comando, stabilendo un “sistema oggettivo di connessioni funzionali”; e allo stesso momento, svuota di motivazioni il lavoro in comune, col risultato che si è spinti alla collaborazione sociale solo in vista della crescita produttiva.

Allo stato attuale, di fronte a quello che viene definito come “terzo capitalismo”, la situazione è ancora peggiore. Il modello fordista è stato ormai superato, ormai la tecnica organizza ogni singolo aspetto produttivo e sociale, col risultato che i rapporti funzionali ormai dominano l'intera vita sociale. In più, bisogna aggiungere l'effetto provocato dal “grande flusso informatico” a cui siamo sottoposti continuamente. Questa continua tempesta di informazioni e di strumenti informatici, ha accelerato paurosamente il tempo, attaccando i legami sociali che invece si svolgevano su tempi tradizionali (giorno/notte, lavoro/riposo). Si pensi ad Internet oppure alle attività aperte 24 ore al giorno, per rendersene conto. Senza contare che distrugge la differenza di linguaggi e di culture, nonché dei particolari simboli con cui le varie comunità umane si sono rappresentate per secoli. (Direi che il dominio dell'inglese e delle immagini stereotipate della pubblicità siano una chiara dimostrazione della veridicità di questo ragionamento).

 

 Cosa ha sostituito il senso di appartenenza cancellato nei modi che abbiamo descritto? La “ideologia consumista”. Rappresenta il nuovo cemento di questa società atomizzata, proprio perché basata unicamente sulla crescita produttiva; infatti in una società dove tutto è intercambiabile, grazie alla tecnica, maggiormente si diffonderanno i prodotti “usa e getta”, visto che dietro all'oggetto non c'è più lo sforzo creativo di un individuo, quindi perde completamente di “valore”.

Inoltre, in una realtà dominata dalla relazione funzionale, bisogna che tutto sia contabilizzabile, per valutare i vantaggi rispetto ai mezzi necessari, così i bisogni dell'uomo diventano nient'altro che “domande di mercato”, peraltro ormai diventato planetario, contrariamente a quello che avveniva nelle società precedenti, dove intervenivano il gruppo, la solidarietà, l'amicizia, la famiglia, ecc.

Si può dire, che adesso la mercificazione si appropria di bisogni che non rientrano per forza in questo schema di pensiero, si pensi alla cura degli anziani o dei bambini, ormai sempre meno gestita all'interno delle famiglie e sempre più “delegate” ad istituti a pagamento. Dando vita ad un circolo vizioso: la tecnica cancella i legami sociali all'origine, di conseguenza anche nei rapporti interpersonali scompaiono, così che si ricorre al “mercato” per soddisfare i bisogni che prima si soddisfacevano al di fuori (nella comunità), dando sempre più potere al mercato ( restando nell'esempio degli anziani si può semplificare così:per soddisfarei bisogni indotti dalla società consumista lavorano entrambi i componenti della famiglia, così non è pensabile accudire gli anziani, di conseguenza si spendono soldi per ospizi o asili col risultato che necessitano maggiori soldi, quindi si dovrà ricorrere ulteriormente al “mercato”, lavorando di più o chiedendo prestiti, quindi aumentando ancora la presenza della mercificazione nella vita sociale).

 

 Questo porta ad un “nuovo contrasto sociale”, non più capitale contro lavoro, ma relazioni funzionali (economiche e spersonalizzate) contro i rapporti individuali (interpersonali e con la natura al di fuori delle logiche di mercato). E da questa lotta che potrà nascere una nuova comunità (se vincono i secondi) oppure  dovremmo rassegnarci al dominio della tecnica e del mercato (nel caso opposto che si impongano i primi). Va segnalata la continua demistificazione messa in atto dai “neoliberisti”, i quali non hanno interesse affinché questo dualismo venga conosciuto dalla massa ( lavoro facilitato proprio dalla diffusione e dal controllo dei mass media). Infatti, l'attenzione generale è continuamente sviata dai problemi originari del sistema, e spostata sulla necessità di un capo carismatico, sul pericolo vero o presunto derivante dalle frange più povere e marginali della società (drogati ed immigrati solitamente), e la gente viene bombardata da flussi di immagini, in modo che tutto sembri apparire ad una realtà virtuale (basti pensare alla assefuazione alla violenza e alla guerra generata da continue immagini del genere).

 

 Un terreno sociologico, in cui si evidenzia il passaggio conflittuale è rappresentato dalla città. Fino alla seconda rivoluzione industriale, era evidente lo scontro di classe, visto che il tessuto cittadino era suddiviso in un centro residenziale ed in una periferia operaia, cosa che garantiva la permanenza di vincoli comunitari. Con l'avvento della terza età del capitalismo, quella del consumismo e del dominio della tecnica, avviene la fine di ogni spazio specifico, sostituito da un agglomerato di soggetti soli e sradicati, che si muovono sulle direttrici del consumo e dello spettacolo (supermercati, multisale, parchi di divertimento, ecc.).  In questo contesto, finisce ogni legame comunitario, sostituiti da una serie di strategie funzionali, volte non più a costruire un “quadro d'insieme”, ma solo a trovare soluzioni contingenti caso per caso, che facilitino l'accesso al consumo di massa, in un'ottica del “vivere qua e ora”, senza legami con il resto della comunità o con le generazioni passate o future.

 

 Molta importanza assume il linguaggio. Questo è diventato un potente mezzo di omologazione globale, soprattutto grazie ai mass media. Infatti, al contrario di quello che afferma Vattimo, il quale  sostiene che oggi si assiste invece alla pluralità culturale grazie all'accesso ai mass media così diffuso, in realtà, le varie culture vengono omologate e accettate solo fino a quanto il sistema di potere le può inglobare. Vengono declinate in un sistema tollerabile ai poteri forti. Infatti, se si ritiene che sia possibile leggere tutte le varie culture, è evidente che in realtà esse vengano rappresentate con un linguaggio “unico”, comprensibile da tutti. Questo, unito all'unidirezionalità del mezzo di comunicazione, permette la creazione di una massa di individui omologati ed eterodiretti, che sono solo l'espressione del potere costituito. Lo si nota bene nei vari stili post-moderni, i quali sono tutti uguali in tutte le parti del mondo (stesse marche di abiti, di automobili, di cibo, di mobili, ecc.). A questo punto, al sistema di potere basta detenere il codice del linguaggio dei mass media, distruggere gli spazi (vie, piazze, monumenti) e i tempi (giornate e ore di non lavoro), per dominare in modo quasi occulto tutto il globo. Il risultato finale è la perdita dei rapporti interpersonali comunitari, per esempio si chiacchera virtualmente con persone dall'altra parte del globo ma non si conosce il nostro vicino di casa, e del rapporto uomo-natura, visto che lo spazio dove si vive perde ogni considerazione “sacrale”.

 

Anche il diritto viene pesantemente influenzato dalla logica funzionalista. Infatti, se il diritto moderno nasce con l'intento di porre fine alla guerra civile, assegnando l'uso legittimo della forza allo Stato, garantendo uguale trattamento per tutti i cittadini, oggi in realtà si limita a fornire soluzioni contingenti, vista l'impossibilità a designare un “giusto” comunemente accettato. L'elemento fondante lo “Stato di diritto”, è il potere che la “politica” assegna al diritto di porre fine ai conflitti sociali. Ma questo rappresenta un altro paradosso; infatti, si vorrebbe che la “legge” non avesse poteri superiori, ma se alla sua origine, non c'è un elemento “naturale”, ma solo politico, è evidente che chi gestisce quest'ultimo  sarà sempre in grado di sospendere questo regime di “diritto formale”. Come faceva notare lo stesso Kelsen, forse il maggiore teorico del “formalismo giuridico”, il potere politico può modificare la legge quando vuole, e proprio per cercare di porvi un freno è stato ideato il “costituzionalismo”, così di fatto il diritto finisce con essere lo strumento di un potere invisibile che legittima le classi al potere. Ancora meglio, faceva notare Schmitt, il potere lo detiene chi decide nelle situazioni di emergenza, proprio perché in quei momenti si verifica la nullità del primato della legge sulla politica. Quindi, oggi che ancora di più di prima, i rapporti tra gli individui sono regolati dal mercato, la classe che detiene il potere economico gestisce anche quello politico e legislativo.

 

La situazione attuale (mercato che domina i rapporti tra i singoli, fine dei legami tradizionali, cesura totale col passato), come l'abbiamo delineata, ha generato un individuo atomizzato, slegato dal resto della società, incapace di interagire con gli altri per il bene comune. Per questo nascono alcune ideologie che servono alla classe economica dominante per dare “senso” alle masse. Tipico esempio è il nazionalismo. Infatti, lo stato nazionale nasce dalla volontà della borghesia di opporsi politicamente al Re, ma presto gli sono stati dati significati come “spirito del popolo” e “missione storica”, idee che sono alla base della Prima Guerra Mondiale. Successivamente, con l'inizio del '900, c'è stata la “nazionalizzazione delle masse”, come indicava Mosse, cosa che stava mettendo in dubbio il controllo borghese dello Stato, così è partita la Seconda Guerra Mondiale, che dietro la lotta contro il nazi-fascismo ha nascosto il dominio del mercato e della tecnica sui popoli europei, sfociati nell'attuale mercato monetario globale. Ed ecco che ritorna il paradosso del moderno, mentre si parla di “uomo libero” con diritti inviolabili, in realtà dominano il mercato e la tecnica, che distruggono ogni legame, rendendolo solo e debole.

 

Il rapporto tipico di questo “nuovo ordine mondiale” è quello economico, basato sullo scambio del denaro. Lo scambio di moneta crea indifferenza tra gli individui, perché elimina la cooperazione sociale; infatti, designa il poter di un individuo sull'altro: la quantità di denaro che ti do è espressione del potere che esercito su di te , e che prima è stato esercitato su di me  (è esattamente la logica che sta dietro la stipulazione del contratto).  Oggi, questa astrazione è talmente evidente che invade ogni aspetto sociale. Solitamente viene giustificata con il benessere materiale che ha prodotto, ma in realtà oggi, questo tipo di rapporti coinvolgono anche la sfera di beni non necessari, anzi è sempre più orientata in tal senso. Creando quel circolo vizioso di cui abbiamo già parlato e che porta la mentalità utilitaristica a dominare ogni aspetto del sociale.

 

Che alternative abbiamo? Secondo Barcellona bisogna eliminare il dominio della logica mercantile-utilitaristica sostituendola con la libera cooperazione comunitaria, che deve agire su due livelli: uno a livello internazionale, con l'internazionalismo solidale che dia pari dignità a tutte le comunità di popoli; l'altro a livello “comunitario”, individuando la libertà dell'individuo all'interno della comunità basata su legami sociali forti e cooperativi.

 

 

 

(1) Pietro Barcellona è nato a Catania nel 1936, è stato membro del Consiglio Superiore della Magistratura dal 1976 al 1979, è stato poi eletto nelle liste del PCI alla Camera dei Deputati restando in carica dal 1979 fino al 1983. E' Ordinario di Istituzioni di Diritto privato presso l'Università di Catania e Direttore della rivista “Democrazia e Diritto”.