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Nessuna illusione

di Giovanni Petrosillo - 07/10/2008

 

Quanto sta accadendo sulle principali borse mondiali, tutte stritolate dalla crisi di credibilità - altro che mancanza di fiducia dei risparmiatori, del resto, in che modo riporre stima in imbroglioni patentati che sono capaci di negare pure l’evidenza (basti pensare a quell'Alessandro Profumo, ad di Unicredit, il quale solo qualche giorno fa aveva tentato di rassicurare i propri clienti sulla stabilità della banca da lui diretta, salvo far approvare, a poche ore di distanza, un piano di ricapitalizzazione da ben 6,6 mld di euro) e che cercano di convincere gli altri sulla salute del sistema, mentre non ci credono nemmeno loro, come attestano gli attuali livelli dei tassi interbancari, vale a dire dei tassi di interesse ai quali le banche prestano denaro ad altre banche?) - susseguente al piazzamento di titoli spazzatura in ogni angolo del mondo, ben coperti e impacchettati in attività meno “traballanti”, apre ufficialmente una crisi sistemica che potrebbe durare molti anni.  Tuttavia è errato pensare che la crisi in corso sia di natura strettamente finanziaria, quest’ultima, semmai, annuncia sconvolgimenti molto più profondi che avranno uno sfocio prettamente politico, proprio come accaduto nel ’29, allorché il crollo delle principali borse internazionali aprì una fase di grande instabilità nei rapporti tra formazioni nazionali, risoltasi solo con il conflitto mondiale e con l’affermazione della superpotenza statunitense.

Quindi stiamo attenti a non confidare troppo sui nostri umori ideologici, alimentati da rivoluzionari da strapazzo, sempre pronti ad annunciare la fine del mondo, al pari dei peggiori profeti biblici, quando qualche nube si addensa all'orizzonte.

Sicuramente, questo scossone farà male a molti ma non saranno gli Stati Uniti l’unica nazione ad uscirne malconcia, anzi potrebbe verificarsi l’esatto contrario. Proprio ieri l’agenzia di rating Moody’s continuava a dar agli Usa una valutazione massima, basandosi sulla capacità e la forza del suo apparato militare, il che la dice lunga sui criteri con i quali si fanno gli affari nel mondo.

I grandi organismi finanziari, quelli che trattano la moneta (non soltanto gli apparati del settore bancario, ma anche quelli assicurativi o dei fondi pensione ecc. ecc., insomma tutti quegli organismi che oggi stanno ricorrendo ai piani di salvataggio statali), in fasi normali, permettono al sistema nel suo complesso di ottenere una grande spinta propulsiva e innovativa, in quanto facilitano il rastrellamento delle risorse indispensabili agli investimenti nell’economia reale. Gli agenti di tale sfera, configgendo con altri attori dello stesso universo, al fine di primeggiare,  moltiplicano le occasioni di profitto e contribuiscono alla crescita generale del sistema economico. Siccome essi hanno a che fare col denaro e con i suoi derivati, sono portati a moltiplicare le immagini della ricchezza reale, senza darsi limiti di sorta, fino al punto in cui tale duplicazione si sgancia completamente dal sostrato produttivo che ne sta alla base. Quando questo accade l’intera impalcatura finanziaria perde di stabilità e stramazza al suolo. Si tratta di un dato fisiologico ed ineludibile che, tuttavia, consente al capitalismo di raggiungere elevate performance di dinamicità e flessibilità.

Come sostiene La Grassa, nel settore che manovra il denaro “l’elemento decisivo, da tenere sempre sott’occhio, è il conflitto – permanente pur se attraverso fasi di acutizzazione e di attenuazione, di crescente fluidità e di temporanea aggregazione collaborativa (alleanza) per meglio disporsi sul terreno del combattimento – tra gli agenti che ricoprono i ruoli e svolgono le funzioni strategiche di “gruppi di comando” delle “truppe” finanziarie. Ogni gruppo di comando di un esercito usa gli strumenti che possiede” “…I finanzieri manovrano il denaro … non hanno, in specie se lasciati “soli”, la visione dell’equilibrio di detti strumenti con quelli impiegati dagli agenti dominanti in altri comparti della società, arrivando così a mettere in circolazione una quantità eccessiva di mezzi finanziari e a utilizzarli in contingenze in cui sarebbe più efficace, ai fini della vittoria nella lotta per la supremazia, affidarsi a quelli specifici di altre sfere sociali: ad es. all’attività produttiva, in specie innovativa; o all’azione politica, in particolare di potenza; e via dicendo. Quello che è un “riflesso speculare” della produzione di merci, il suo “duplicato” monetario, viene in questo modo ad essere accresciuto e reso eccessivamente sovrabbondante per il semplice fatto che gli agenti strategici dominanti nella sfera finanziaria hanno a disposizione tale strumento di battaglia, e questo sanno usare in modo precipuo. In tale senso e a causa di quest’uso, il mezzo monetario diventa meramente speculativo. Gli “specchi” dunque si moltiplicano rinviando continuamente, potenzialmente all’infinito, la stessa immagine. Se uno o più “specchi” vanno in frantumi, l’immagine si spezza o anche sparisce per un certo periodo di tempo, fino a quando quelli rimasti non vengano riposizionati onde rinviarsela nuovamente, in genere ormai deformata irrimediabilmente.”

In sostanza, la crisi finanziaria sarebbe un effetto collaterale inevitabile nella battaglia tra agenti decisori che si fronteggiano in tale sfera e che si fanno una guerra senza esclusione di colpi. Il gioco non è però a somma zero perché il prezzo di una possibile caduta viene abbondantemente ripagato dala crescita esponenziale delle fonti di guadagno e dalla successiva rigenerazione con la quale il capitalismo supera le precedenti contraddizioni e si ricostituisce su basi rinnovate.

Le crisi, dunque, inizialmente si scaricano sulla sfera finanziaria ma poi, inevitabilmente, dilagano sugli aspetti reali dell’economia e sulla sfera politico-militare, provocando profondi mutamenti che danno nuovo vigore ai “muscoli” e allo “spirito” della formazione capitalistica globalmente intesa. Tanto detto, stiamo lontani dagli imbonitori che parlano di crollo del sistema per intrinseche contraddizioni insanabili e prepariamoci a ragionare in termini nuovi, cogliendo le occasioni che, nel caos generale, si apriranno a favore dei dominati. L'esito di tanti sommovimenti non è, dunque, per nulla scontato, nè in un senso a noi sfavorevole nè in senso a noi più vantaggioso. Molto dipenderà dalla nostra disponibilità a liberarci del vecchio modo di pensare, al fine di meglio cogliere quegli aspetti realmente strutturali della società dei funzionari del capitale.