Il libro della settimana: Riccardo De Benedetti, La chiesa di Sade. Una devozione moderna, Medusa, Milano 2008, pp. 112, euro 12,00 - info@edizionimedusa.it
Del Noce, Pasolini e Lasch avevano capito tutto: il marchese Donatien-Alphonse-Françoise Sade è il padre della società post-moderna. Dove vige la trasgressione istituzionalizzata dalla “culla alla tomba”. Se ci si passa il gioco di parole, Sade è alle origini ideologiche di una sorta di welfare del piacere, ma con poco state. Dove per il bene, e non solo sessuale, dei molti si sacrifica quello dei pochi difensori di un universo pre-sadiano, dove la persona non era ancora mercificata, come insegnavano, pur seguendo strade diverse, Kant e Rosmini.
Ma non vorremmo metterla sul difficile: per Del Noce, Sade preconizzava la riduzione dell’uomo ad appendice della natura; per Pasolini, a protuberanza del totalitarismo, per Lasch, a sovrastruttura della società dei consumi. Vale qui la pena di ricordare anche il bel libro di Antonio Casilli, La fabbrica libertina. De Sade e il sistema industriale (Manifestolibri 1997), dove, pur non citando Lasch e Del Noce, giungeva alle stesse conclusioni. E da sinistra.
Ma esiste anche una “chiesa di Sade”, che si compone di sacerdoti e devoti. Tutti riconducibili a certo comunismo, o collettivismo, postmoderno, desiderante e situazionista. E qui si pensi ai voli onirici di un Toni Negri, abbarbicato sulle spalle di Spinoza, e in compagnia (buona?) di Bataille, Klossowski, Vaneigem, Deleuze, Guattari. E, ovviamente, all’insegna della liberazione totale dal capitale, anche sessuale. Ma in che modo? Non si capisce bene. Come mostra, ad esempio, il recente libro di Paolo Mottana, Antipedagogie del piacere: Sade e Fourier (Franco Angeli 2008), dove Sade è presentato come una specie di San Francesco Dark: un profeta, imbevuto di vitalismo dionisiaco postmoderno, che distruggerebbe la persona salvandola, secondo l’antica litania di derivazione marxista del male che porta al bene. Ovviamente, per chi vi creda. Noi no, visti i risultati di un Novecento che attraverso il male delle ideologie voleva produrre il bene della società senza classi.
Dobbiamo però la scoperta del libro di Mottura alle antenne di Antonio Carioti. Il quale sul Corriere della Sera di venerdì scorso ne ha parlato in termini di pro e contro Sade, presentandolo insieme a un testo che ci eravamo già proposti di recensire, quello di Riccardo De Benedetti, La Chiesa di Sade. Una devozione moderna (Medusa 2008, pp. 112, euro 12,00 - info@medusa.it ). Cosa che ora faremo.
De Benedetti, milanese, studioso di filosofia, già redattore di “Aut Aut”, e autore e curatore di volumi, su Marx, Maurice Blanchot, Roger Caillos, Giovanni Pozzi, Eric Voegelin, ha scritto un libro che va ben oltre le intuizioni di Del Noce, Pasolini e Lasch. O, se si vuole, le reinventa.
Ma lasciamo subito la parola all’autore: “Il programma del Divin Marchese si è effettivamente realizzato in molti modi, è diventato una forma di vita, un modello di civiltà, perseguibile, in più di un caso rivendicabile e perfettamente coinvolto nella contrattazione tra le più diverse parti della società… In definitiva, il sadismo si è liberato della camicia di forza entro la quale lo avevano collocato la storia e le sue vicissitudini del suo creatore e si è presentato nuovamente sulla scena sociale e filosofica come un’opzione perseguibile e frequentabile. E’ diventato una sorta di legittima istanza…in grado di prendere la parola e fuoriuscire dal maledettismo degli infernetti bibliotecari. Anzi, il monocolo vizioso e onanistico di chi si ostina a compulsare i testi e a sfogliare le pagine del Divin Marchese come se stesse affrontandola ricerca della pietra filosofale del piacere ha lasciato lo spazio al monoscopio fosforescente delle televisioni al plasma e dei dvd o degli schermi del computer, a diffusione di massa… Un Sade a dimensione di iPod. Dalle stanze laterali dell’erudizione viziosa si è piazzato in salotto, nel media center della nostre abitazioni” .
Secondo De Benedetti il ponte tra Sade e il postmoderno, sarebbe rivenibile, per semplificare, in certo Sessantotto situazionista, che, come poi è avvenuto, “poteva mobilitare tranquillamente le istanze sadiane avendo alle spalle la sconfitta definitiva del nazismo e un’ampia distanza di sicurezza da analogie che potevano ancora turbare la generazione dei lettori che avevano attraversato le due guerre mondiali. Di più, si poteva saltare del tutto la lettura del noiosissimo Sade e praticarlo con calma e giudiziosa rappresentazione; un Sade predigerito dalle modulazioni sapienti del francesismo idiomatico parlato dai freudismi, dai marxismi, dagli esistenzialismi gauche che hanno anticipato e seguito e, in un batter di ciglio, liquidato lo stesso Sessantotto” .
Quest’ultimo passo è particolarmente importante, perché, pare di capire, che il vero punto della questione non sia quello di elevare Sade, a profeta di un Sessantotto globale, come sembra faccia Mottura tra le righe del suo libro, ma di attribuire a Sade, come sottolinea De Benedetti, il ruolo di apripista a una evoluzione-involuzione - dipende dal punto di vista - dello stesso Sessantotto, da liberazione politica (Marx e Lenin) a liberazione sessuale (Sade), oggi codificata nelle leggi e nei costumi prodotti da quel “politicamente corretto”, così gradito alla sinistra post-sessantottina.
La chiesa sadiana, imbevuta di situazionismo, avrebbe superato il suo papa-Sade, partecipando all’edificazione di una società dove la ricerca del piacere è eretta a sistema. Il che però ha implicato, secondo De Benedetti, che la liberazione teorizzata da Sade e perfezionata dai situazionisti, si sia trasformata, a causa del convitato di pietra capitalismo, in prigione a cielo aperto. L’autore parla “di carnaio delle segrete sadiane, finalmente alla luce del sole, o forse direttamente nelle…quotazioni di borsa delle multinazionali del divertimento”. E qui si pensi al turismo di massa che spesso inquina e distrugge, o a quello sessuale con il suo indotto basato sullo sfruttamento di miserie inenarrabili. Ma anche, ad esempio, al commercio di organi, che alcuni vorrebbero rendere legale, oppure alle “ giuste battaglie per il suicidio assistito”.
Perciò andrebbe approfondito un punto: quello del legame tra Sade e un altro filone del pensiero moderno, l’utilitarismo, che nasce con Jeremy Bentham alla fine del Settecento. Più o meno negli stessi anni in cui Sade finiva in manicomio, si formava una corrente di pensiero - l’utilitarismo - che sarebbe andata a dare man forte al nascente capitalismo. Fino al punto di diventarne uno dei due pilastri. L’altro era ed è rappresentato dall’idea smithiana della mano invisibile (del mercato), come suprema e provvidenziale regolatrice degli utilitaristici interessi umani,
Sade e Bentham condividevano certo materialismo illuministico. Detto in parole povere: sottoscrivevano la visione di un uomo ridotto a fascio di sensazioni. Le stesse che oggi si possono provare davanti a un hot dog o una “velina”. Per entrambi l’ uomo era “ciò di cui riesce a godere”. Mentre il politico, sempre secondo lo stesso criterio, doveva occuparsi di redistribuire equamente il piacere, in base al principio benthamiano, della “massima felicità per il maggior numero” di cittadini. Il che in linea di principio non era e non è neppure sbagliato. A un patto però: quello di credere nell’ esistenza di valori che trascendono l’uomo. Un credo che invece Bentham e Sade rifiutavano. Ma dietro Bentham, come detto, c’era la forza di certo capitalismo nascente, capace di razionalizzare la ricerca del piacere teorizzata non solo Sade, ma anche in seguito dai suoi devoti situazionisti.
Il che spiega la vittoria finale (per alcuni completamento) di Bentham su Sade. Scrive l’autore: “In realtà lo sventramento dei corpi, la violazione sistemica dei limiti funzionali del corpo umano, lo fregio generalizzato del legame umano, conseguente alla negazione della procreazione attraverso la sodomia generalizzata, si presenta come la premessa indispensabile di qualsiasi godimento. Si viene delineando così uno scenario il cui unico freno, nella nostra società, e a solenne smentita del programma situazionista, è rappresentato dall’accorta regia valorizzatrice del mercato che dà il suo via libera solo dopo essersi accertato del favorevole rapporto tra investimento e profitto” .
Ci permettiamo perciò di consigliare al bravo Riccardo De Benedetti di completare l’opera, dedicando il suo prossimo volume alla chiesa di Bentham e ai suoi devoti moderni
Ma non vorremmo metterla sul difficile: per Del Noce, Sade preconizzava la riduzione dell’uomo ad appendice della natura; per Pasolini, a protuberanza del totalitarismo, per Lasch, a sovrastruttura della società dei consumi. Vale qui la pena di ricordare anche il bel libro di Antonio Casilli, La fabbrica libertina. De Sade e il sistema industriale (Manifestolibri 1997), dove, pur non citando Lasch e Del Noce, giungeva alle stesse conclusioni. E da sinistra.
Ma esiste anche una “chiesa di Sade”, che si compone di sacerdoti e devoti. Tutti riconducibili a certo comunismo, o collettivismo, postmoderno, desiderante e situazionista. E qui si pensi ai voli onirici di un Toni Negri, abbarbicato sulle spalle di Spinoza, e in compagnia (buona?) di Bataille, Klossowski, Vaneigem, Deleuze, Guattari. E, ovviamente, all’insegna della liberazione totale dal capitale, anche sessuale. Ma in che modo? Non si capisce bene. Come mostra, ad esempio, il recente libro di Paolo Mottana, Antipedagogie del piacere: Sade e Fourier (Franco Angeli 2008), dove Sade è presentato come una specie di San Francesco Dark: un profeta, imbevuto di vitalismo dionisiaco postmoderno, che distruggerebbe la persona salvandola, secondo l’antica litania di derivazione marxista del male che porta al bene. Ovviamente, per chi vi creda. Noi no, visti i risultati di un Novecento che attraverso il male delle ideologie voleva produrre il bene della società senza classi.
Dobbiamo però la scoperta del libro di Mottura alle antenne di Antonio Carioti. Il quale sul Corriere della Sera di venerdì scorso ne ha parlato in termini di pro e contro Sade, presentandolo insieme a un testo che ci eravamo già proposti di recensire, quello di Riccardo De Benedetti, La Chiesa di Sade. Una devozione moderna (Medusa 2008, pp. 112, euro 12,00 - info@medusa.it ). Cosa che ora faremo.
De Benedetti, milanese, studioso di filosofia, già redattore di “Aut Aut”, e autore e curatore di volumi, su Marx, Maurice Blanchot, Roger Caillos, Giovanni Pozzi, Eric Voegelin, ha scritto un libro che va ben oltre le intuizioni di Del Noce, Pasolini e Lasch. O, se si vuole, le reinventa.
Ma lasciamo subito la parola all’autore: “Il programma del Divin Marchese si è effettivamente realizzato in molti modi, è diventato una forma di vita, un modello di civiltà, perseguibile, in più di un caso rivendicabile e perfettamente coinvolto nella contrattazione tra le più diverse parti della società… In definitiva, il sadismo si è liberato della camicia di forza entro la quale lo avevano collocato la storia e le sue vicissitudini del suo creatore e si è presentato nuovamente sulla scena sociale e filosofica come un’opzione perseguibile e frequentabile. E’ diventato una sorta di legittima istanza…in grado di prendere la parola e fuoriuscire dal maledettismo degli infernetti bibliotecari. Anzi, il monocolo vizioso e onanistico di chi si ostina a compulsare i testi e a sfogliare le pagine del Divin Marchese come se stesse affrontandola ricerca della pietra filosofale del piacere ha lasciato lo spazio al monoscopio fosforescente delle televisioni al plasma e dei dvd o degli schermi del computer, a diffusione di massa… Un Sade a dimensione di iPod. Dalle stanze laterali dell’erudizione viziosa si è piazzato in salotto, nel media center della nostre abitazioni” .
Secondo De Benedetti il ponte tra Sade e il postmoderno, sarebbe rivenibile, per semplificare, in certo Sessantotto situazionista, che, come poi è avvenuto, “poteva mobilitare tranquillamente le istanze sadiane avendo alle spalle la sconfitta definitiva del nazismo e un’ampia distanza di sicurezza da analogie che potevano ancora turbare la generazione dei lettori che avevano attraversato le due guerre mondiali. Di più, si poteva saltare del tutto la lettura del noiosissimo Sade e praticarlo con calma e giudiziosa rappresentazione; un Sade predigerito dalle modulazioni sapienti del francesismo idiomatico parlato dai freudismi, dai marxismi, dagli esistenzialismi gauche che hanno anticipato e seguito e, in un batter di ciglio, liquidato lo stesso Sessantotto” .
Quest’ultimo passo è particolarmente importante, perché, pare di capire, che il vero punto della questione non sia quello di elevare Sade, a profeta di un Sessantotto globale, come sembra faccia Mottura tra le righe del suo libro, ma di attribuire a Sade, come sottolinea De Benedetti, il ruolo di apripista a una evoluzione-involuzione - dipende dal punto di vista - dello stesso Sessantotto, da liberazione politica (Marx e Lenin) a liberazione sessuale (Sade), oggi codificata nelle leggi e nei costumi prodotti da quel “politicamente corretto”, così gradito alla sinistra post-sessantottina.
La chiesa sadiana, imbevuta di situazionismo, avrebbe superato il suo papa-Sade, partecipando all’edificazione di una società dove la ricerca del piacere è eretta a sistema. Il che però ha implicato, secondo De Benedetti, che la liberazione teorizzata da Sade e perfezionata dai situazionisti, si sia trasformata, a causa del convitato di pietra capitalismo, in prigione a cielo aperto. L’autore parla “di carnaio delle segrete sadiane, finalmente alla luce del sole, o forse direttamente nelle…quotazioni di borsa delle multinazionali del divertimento”. E qui si pensi al turismo di massa che spesso inquina e distrugge, o a quello sessuale con il suo indotto basato sullo sfruttamento di miserie inenarrabili. Ma anche, ad esempio, al commercio di organi, che alcuni vorrebbero rendere legale, oppure alle “ giuste battaglie per il suicidio assistito”.
Perciò andrebbe approfondito un punto: quello del legame tra Sade e un altro filone del pensiero moderno, l’utilitarismo, che nasce con Jeremy Bentham alla fine del Settecento. Più o meno negli stessi anni in cui Sade finiva in manicomio, si formava una corrente di pensiero - l’utilitarismo - che sarebbe andata a dare man forte al nascente capitalismo. Fino al punto di diventarne uno dei due pilastri. L’altro era ed è rappresentato dall’idea smithiana della mano invisibile (del mercato), come suprema e provvidenziale regolatrice degli utilitaristici interessi umani,
Sade e Bentham condividevano certo materialismo illuministico. Detto in parole povere: sottoscrivevano la visione di un uomo ridotto a fascio di sensazioni. Le stesse che oggi si possono provare davanti a un hot dog o una “velina”. Per entrambi l’ uomo era “ciò di cui riesce a godere”. Mentre il politico, sempre secondo lo stesso criterio, doveva occuparsi di redistribuire equamente il piacere, in base al principio benthamiano, della “massima felicità per il maggior numero” di cittadini. Il che in linea di principio non era e non è neppure sbagliato. A un patto però: quello di credere nell’ esistenza di valori che trascendono l’uomo. Un credo che invece Bentham e Sade rifiutavano. Ma dietro Bentham, come detto, c’era la forza di certo capitalismo nascente, capace di razionalizzare la ricerca del piacere teorizzata non solo Sade, ma anche in seguito dai suoi devoti situazionisti.
Il che spiega la vittoria finale (per alcuni completamento) di Bentham su Sade. Scrive l’autore: “In realtà lo sventramento dei corpi, la violazione sistemica dei limiti funzionali del corpo umano, lo fregio generalizzato del legame umano, conseguente alla negazione della procreazione attraverso la sodomia generalizzata, si presenta come la premessa indispensabile di qualsiasi godimento. Si viene delineando così uno scenario il cui unico freno, nella nostra società, e a solenne smentita del programma situazionista, è rappresentato dall’accorta regia valorizzatrice del mercato che dà il suo via libera solo dopo essersi accertato del favorevole rapporto tra investimento e profitto” .
Ci permettiamo perciò di consigliare al bravo Riccardo De Benedetti di completare l’opera, dedicando il suo prossimo volume alla chiesa di Bentham e ai suoi devoti moderni