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Università, democrazia, classe dirigente

di Luigi Tedeschi - 10/10/2008


 

Il tema di questo incontro incentrato su "Università, democrazia, classe dirigente", al di là delle specifiche tematiche relative ai tre singoli argomenti, ha una sua sostanziale unità: università, democrazia e classe dirigente sono infatti tre aspetti istituzionali della società civile. L'università dovrebbe infatti costituire il luogo in cui si generano le tendenze culturali, politiche e socio - economiche emergenti dalla società civile. L'università quindi, per la sua funzione formativa delle nuove generazioni è l'organo istituzionale in cui la società civile esprime le sue istanze di trasformazione socio - culturali in essa latenti, perché queste trovino la loro espressione compiuta nella futura classe dirigente: l'università assolve dunque un ruolo eminente nella democrazia sostanziale delle istituzioni, nella misura in cui queste ultime siano rappresentative di una società in perenne evoluzione. Le istituzioni di uno Stato sussistono in quanto riescono ad affermare la loro continuità nei processi di trasformazione politica e sociale che si succedono nella storia e la democrazia, intesa quale partecipazione popolare generatrice di innovazione è una componente essenziale a garantirne la vita e la sua evoluzione nel tempo.
Nel presente momento storico, tra l'istituzione universitaria e la società civile sembra essersi determinata una aperta divaricazione. L'università, anziché essere parte integrante di una società che in essa esprima il suo malessere, le sue istanze, la configurazione del suo prossimo futuro si rivela estranea alla società e non ha alcuna funzione propulsiva di dibattito, di confronto, di elaborazione culturale, ma, semmai, si limita a recepire, se non a subire gli orientamenti di una società omologata dal consumismo e frantumata in miriadi di tendenze, interessi particolari, mode effimere esaurentesi nella mera gestione dell'esistente, privi cioè di qualunque obiettivo futuro e socialmente aggregante.
Con la caduta del muro di Berlino e l'inizio del XXI° secolo si è affermato un modello sociale denominato "postideologico", a seguito di un processo di decadimento e definitiva scomparsa delle ideologie novecentesche, che avevano costituito il punto di riferimento ideale e culturale delle trasformazioni storico - sociali del '900. La storia dunque, con la fine delle ideologie, non è stata più considerata l'ambito temporale di processi evolutivi socio - politici che costituivano la ragion d'essere e lo scopo in fieri delle istituzioni politiche. L'ideologia era quindi la fonte di legittimazione delle istituzioni politiche e della loro funzione storica. Pertanto sia nell'istituzione universitaria, che nella classe dirigente, che nella democrazia politica, poteva riscontrarsi una coerenza d'impostazione culturale unitaria che informava di sé le strutture della intera società. Che poi la società occidentale si sia evoluta nella seconda metà del '900 sulla base di processi estranei alla cultura e alla classe dirigente politica, è noto a tutti. Anzi, questa estraneità della cultura e della politica, rimaste ancorate ai principi ideologici novecenteschi rispetto ad una evoluzione economica e tecnologica che ha mutato profondamente gli equilibri sociali e l'identità culturale della società contemporanea, è una delle cause più rilevanti dello stato di decadenza etico - morale prima che economico - sociale in cui oggi versa l'Europa. E' peraltro falso affermare che con la fine del '900 le ideologie siano scomparse: si è assistito, semmai, alla fine di quelle ideologie e di quegli ordinamenti politici che si fondavano sul primato della politica rispetto all'economia, quali il comunismo, il fascismo, i modelli socialdemocratici, solidarista e populisti. Il primato ideologico nella struttura della società è rimasto come prerogativa di un'unica ideologia liberale - liberista dal carattere totalizzante, quale ideologia coeva al processo di globalizzazione economica, che trova la sua corrispondente espressione geopolitica nel primato della superpotenza americana. L'ideologia liberale è fonte primaria di legittimazione di una cultura, di una classe dirigente, di un sistema politico liberaldemocratico che presuppongono una società, le cui strutture scaturiscono dalla supremazia economicista del libero mercato globale, che subordina alle proprie direttive le scelte politiche, economiche e culturali di qualsivoglia classe dirigente. L'università è dunque subordinata alle esigenze di sviluppo di un libero mercato dagli interessi del capitalismo assoluto. Sono infatti le strategie di sviluppo economico a rendere l'università funzionale alle esigenze della grande impresa. Non a caso nei media si pone l'accento sulla cooperazione tra università ed impresa. Ma un'università ad uso e consumo delle imprese è naturalmente portata a trascurare la ricerca che richiede invece investimenti a lungo termine a fronte peraltro di risultati incerti.
Viviamo in una società in cui si è consolidato un modello capitalista che si impone alla politica e ne determina i contenuti al di là degli schieramenti politici. Pertanto le attuali classi dirigenti si formano non sulla partecipazione e sul consenso militante delle masse popolari, ma semmai sul consenso virtuale creato dai media. Così come virtuale è la legittimazione politica, dato che depositaria delle direttive fondamentali dei programmi politici è la classe dirigente economico - finanziaria. Quest'ultima è infatti autoreferente e non necessita della mediazione politica per imporre le sue strategie di sviluppo. Così come la UE ha imposto all'Europa una classe dirigente finanziaria oligarchica non elettiva, le cui direttive si impongono agli ordinamenti politici, il cui compito è limitato alla ricezione delle direttive stesse. La classe dirigente politica ha una funzione meramente "notarile", nel tradurre in provvedimenti legislativi lo stato di fatto già imposto nella società delle oligarchie finanziarie. Parimenti, sia la classe dirigente politica che quella economica necessitano dell'università nella misura in cui quest'ultima fornisca loro elites che adempiano al ruolo di sovrastrutture culturali dell'economia ed elaborino strategie per il consenso mediatico di masse acquiescenti. E' a tutti noto l'enorme sviluppo che hanno assunto la psicologia e la sociologia nell'ambito delle scienze della comunicazione. Nell'era del consumismo globale la cultura stessa è oggetto di consumo, quale fonte di ispirazione delle tendenze comportamentali, delle mode effimere, dei gusti estetici, degli atteggiamenti caratteriali delle masse consumistiche.
L'economicismo pervasivo della società consumista comporta quindi l'abrogazione sostanziale degli ordinamenti democratici. L'ideologia liberale ha un fondamento individualistico che conduce alla emarginazione dello Stato, ridotto a mero amministratore dell'esistente, perché esso non interferisca nell'esercizio delle libertà individuali: lo Stato non può anteporre finalità sociali alle scelte del singolo. La attuale liberaldemocrazia, nell'era del capitalismo globale si ispira alla democrazia formale, basata sui diritti individuali, ignorando i diritti sociali della comunità. Dobbiamo constatare come negli ultimi due decenni la classe politica italiana abbia abrogato de facto parti rilevanti della nostra costituzione, riguardanti le fondamentali sociali della comunità nazionale in tema di previdenza, assistenza, stabilità dell'occupazione, redistribuzione del reddito. Sono state di fatto abrogate quelle norme la cui finalità era quella di rimuovere le forme di diseguaglianza che si generano inevitabilmente nelle società liberali prive di principi regolatori nella vita sociale comunitaria: il libero mercato si rivela incompatibile con i principi di democrazia sostanziale che ispirano la nostra costituzione. Attualmente in Italia vige una costituzione materiale atta a governare una società stratificata, afflitta un latente e generalizzato stato di diseguaglianza sostanziale, priva di mobilità sociale e di possibilità di ricambio delle classi dirigenti. L'Italia attuale è strutturata su un disordine sociale che prescinde dall'equilibrio mediatore della politica, scaturito dalla selezione darwiniana prodotta dalla concorrenza selvaggia dell'economia liberista. Senza principi di eguaglianza sostanziale è impossibile l'esercizio della democrazia, intesa come sovranità popolare comunitaria. Dobbiamo constatare come la società attuale abbia subito una involuzione rispetti al novecento: oggi, con l'abolizione dello stato sociale sono gravemente pregiudicati i diritti sociali, compresi l'accesso allo studio e al lavoro.
I disegni riformisti, ispirati all'autonomia e a criteri di gestione manageriale degli istituti universitari, non faranno che contribuire al radicamento di elites locali politico - economiche e ad alimentare il localismo provincialistico delle nostre università. Ciò in aperto contrasto con lo spirito di integrazione ed universalizzazione delle culture proprio dei nostri tempi. Perdura pertanto la crisi politica e culturale europea già evidenziatasi alla fine del novecento. Diceva Ugo Spirito che "la crisi si supera soltanto con una nuova visione della realtà, e cioè con la determinazione di nuovi ideali sociali che ancora non appaiono all'orizzonte".
Tuttavia occorre prendere atto della attuale crisi implosiva del modello capitalista, che rivela il suo fallimento proprio nella sua componente finanziaria, che si è progressivamente sovrapposta alla economia produttiva. Il crollo della finanza virtuale globalizzata, che ha costituito il modello economico unico e totalizzante a livello mondiale, condurrà necessariamente a trasformazioni economico - sociali estremamente profonde. Assisteremo dunque in un futuro più o meno prossimo a mutamenti sociali e culturali cui, come italiani ed europei, dovremo necessariamente assumerci la responsabilità di elaborare nuovi modelli economico - sociali autonomi da un primato americano ormai decadente ed estraneo alla nostra identità storico - culturale. Occorrerà ripensare la politica ed affermare il suo primato quale mezzo necessario alla realizzazione della democrazia. Il concetto di democrazia è di per sé inclusivo della sfera economica, sociale, politica in cui si articola la vita di una comunità umana. Democrazia è infatti sinonimo di primato del popolo e quindi prevalenza dei valori sociali e comunitari dell'agire umano su quelli egoistico - individuali. La democrazia implica scelta e quindi responsabilità sociale delle scelte individuali, in quanto la volontà del singolo è direttamente funzionale all'esistenza della comunità. L'economicismo liberista è infatti fallimentare come ideologia astratta individualista incapace di determinare equilibri socio - politici stabili. La attuale crisi sistemica del modello liberista costituisce una aperta smentita delle sue stesse premesse: infatti l'economicismo liberista non è in grado di produrre sviluppo produttivo, ma solo una finanza virtuale che distrugge le stesse risorse produttive, non genera democrazia, ma oligarchie finanziarie autoreferenti, non benessere, ma sottosviluppo. Solamente dalla riscoperta delle identità comunitarie dei popoli e dalla affermazione del loro diritto alla sovranità sia politica, che culturale, che economica, potranno scaturire nuovi equilibri sociali e politici e una diversa concezione dell'economia che abbia come obiettivo primario lo sviluppo umano e sociale della comunità. Elementi questi di una rivoluzione in fieri oggi appena percepibili, ma che si avvertono quali motivi di speranza per una umanità che soffre il travaglio di una crisi identitaria esistenziale prima che economica.

«DEMOCRAZIA - UNIVERSITÀ - CLASSE DIRIGENTE»

INCONTRO- DIBATTITO PUBBLICO

Giovedì 2 Ottobre 2008  - presso Domus La Quercia, Via Fiume 112, Viterbo