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Mercato impazzito

di Marco Milioni - 12/10/2008

     

Il mondo sta cambiando. O meglio, ora si cominciano a vedere oggi i segni visibili ed inequivocabili di questo cambiamento cominciato tanto tempo fa. Forse un paio di secoli fa. Secoli che sono passati veloci come una schioppettata.
Fa quasi ridere che di questo cambiamento si legga soprattutto sui giornali economici. Ovviamente gli oracoli del «turbomercato» e della crescita «sempre e comunque» non ammetteranno mai il fallimento del loro modello. Ma l'accuratezza delle loro analisi, l'onestà intellettuale di molti, nonché la possibilità di sovrapporre e di assemblare i mille scenari tracciati in queste ultime settimane ci restituiscono un quadro chiaro della situazione.
Nel mondo e specie negli Usa e nel Regno Unito si è assistito ad una serie di nazionalizzazioni senza precedenti. Da sole queste distruggono il mito del capitalismo liberista, che si è rivelato per quello che è: un sistema di relazioni industriali e finanziarie nel quale le elites politiche, economiche, sociali e malavitose sono permeabili ed interscambiabili non solo tra di loro ma anche tra Stato e mercato. La differenziazione da manuale, Stato, mercato, individuo, società, si è rivelata una bufala. Comunismo, capitalismo le due facce dell'industrialismo sono state offuscate per sempre. Ora tocca allo stesso industrialismo, che è ingoiato dalla finanza fuori controllo.
Poi ci sono gli uomini. In seno agli equilibri tra la gente ed i popoli esistono solo individui o gruppi di individui con maggiore o minore potere; maggiori o minori risorse. Fine. Chi sta in cima comanda, spesso malissimo, chi sta in basso subisce. È la storia dell'umanità. Cambiano le strutture o le sovrastrutture attraverso le quali il potere si declina, ma non cambia mai la struttura del potere. Cambiano i musicanti ma mai la musica.
La sfiga, la fortuna, o la novità, di questo inizio di millennio però stanno da un'altra parte. Per la prima volta nella storia dell'umanità abbiamo la possibilità di autodistruggerci tutti quanti, o quasi, grazie ad una bella guerra termonucleare, magari scatenata da qualche stato isterico perché non ha più le risorse per assecondare i consumi folli e idioti cui si era abituato dopo la fine della II Guerra Mondiale. Per la prima volta nella storia del pianeta c'è una specie che è in grado di alterarne profondamente la tenuta a scapito delle altre specie.
Per anni, forse decenni, le persone che hanno tentano di capire le storture della modernità hanno cercato di identificare alcuni responsabili degli scompensi della nostra storia nonché degli scompensi di questi ultimi velocissimi anni. Le religioni, i militari, i capitalisti, i comunisti, i banchieri. Talvolta la ricerca dei colpevoli ci ha portato verso alcune etnie o popoli: gli ebrei, gli slavi, gli albanesi, gli americani, i russi e tanti altri (pure gli alieni). Difficilmente si è giunti a una conclusione univoca, forse perché non c'è. Spesso le conclusioni sono state deliranti.
C'è però un fatto. Fino a qualche anno fa la lobby dei grandi banchieri internazionali, ovvero quella dei signori del signoraggio, veniva identificata come la guglia di quella cupola che attanaglia mezzo mondo dai tempi della rivoluzione industriale. Ammesso che ciò sia vero questa circostanza non è più storica. I padroni del vapore hanno creato un moloch inumano che vive una vita propria. È una somma di algoritmi e programmi per computer che alligna negli elaboratori di borsa. Un moloch che sta massacrando l'economia virtuale e quella reale grazie all'effetto cumulativo di scommesse e controscommesse sugli indici finanziari effettuate ad una velocità folle nel ciberspazio delle piazze finanziarie globalizzate. Ormai nemmeno i banchieri sanno esattamente dove andrà a sbattere questo treno costruito senza cabina di comando. Rispetto a quanto descritto non so se ci siano delle soluzioni da prospettare. Io oggi non sono in grado di dire alcunché. So però che Massimo Fini e Michael Hudson di questa sorta di moloch parlano da almeno vent'anni: un giornalista italiano e un economista americano con il pallino della storia. Chissà se i due si conoscono.