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Mediterraneo “instabile”

di Sami Nair - 14/10/2008

   
Lo scrittore algerino Sami Nair riflette sulla storia del Mediterraneo e sul suo ruolo culturale. Per Nair sono due i poli che hanno caratterizzato la civiltà mediterranea: da una parte quello culturale-identitario, dall’altra quello politico-economico. Alle culture identitarie della filosofia greca e dei monoteismi religiosi si affiancò la cultura dello scambio economico che esigeva canali di comunicazione, solidarietà di interessi e tolleranza fra i popoli.
La tensione fra cultura identitaria e cultura dello scambio è all’origine di quella proficua instabilità caratteristica del Mediterraneo che sembra oggi essere messa in pericolo dalle fratture nazionali e dalle divisioni politiche.


Storicamente, le due rive del Mediterraneo sono state ben presto unificate sotto l’impero romano, ma altrettanto presto si sono trovate di nuovo separate, sia a causa della resistenza berbera, a sud, sia a causa dell’espansione musulmana. È stata la colonizzazione del XIX secolo a riunificarle una seconda volta e la lotta legittima per la riappropriazione di sé delle società arabo-berbero-musulmane nel corso del XX secolo a dividerle nuovamente. Sempre lo stesso movimento di conquista e di liberazione, di riconquista e di nuova liberazione. Ma in senso più fondamentale, il Mediterraneo è anche, e soprattutto, il luogo di nascita delle grandi strutture culturali della civiltà occidentale che vede emergere, nella Grecia antica, una razionalità logica e strumentale e, in Medio Oriente, sullo sfondo delle civiltà egizia e persiana, il monoteismo oltre che, nelle epoche successive e fino ai secoli XV-XVI, la cultura medievale e la cultura mercantile; tutte creazioni che si irradieranno sull’Europa intera e sul resto del mondo e costituiranno, ancora nel XX secolo, la base dell’espansione commerciale e industriale europea.
Un processo storico di tale portata si è prodotto attraverso conquiste, guerre, scambi pacifici tra le due rive, ma, in qualsiasi modo lo si analizzi, in esso è sempre stata all’opera la stessa dialettica di conquista e di liberazione che prepara sempre nuove conquiste-liberazioni. Una dialettica dei rapporti di forza che porta con sé il dominio, la resistenza, l’emancipazione e via di seguito.
Siamo presi ancora oggi nella rete di questa dialettica? Tutto lo lascia supporre. Ma adesso sappiamo che il modo migliore per mettere fine a questa storia, più subìta che voluta, è di accettare relazioni egualitarie, fondate su un’interdipendenza equilibrata, pacifica, condivisa, benefica per entrambe le rive. A questo risultato non si arriverà senza la diagnosi della situazione attuale. Anche in questo caso, in linea generale, suggerisco di leggere la situazione attraverso due paradigmi: il paradigma culturale-identitario e quello politico-economico. Per me, lo spazio mediterraneo è caratterizzato da una dialettica permanente tra culture identitarie e culture dello scambio.
Dal Medioevo in avanti, le culture identitarie hanno trovato un fondamento comune, benché differenziato e profondamente conflittuale, nel forte nucleo elleno-romano-cristiano-musulmano. Tesi che credo assolutamente fondata dal punto di vista storico, culturale e umano, al di là dei pregiudizi e delle dichiarazioni che mirano, da una parte e dall’altra del Mediterraneo, ad affermare una differenza. Mi riferisco a una scaturigine comune che nessuna lettura dello spazio mediterraneo in termini di separazione radicale, alla maniera di Henri Pirenne, riuscirà mai a eludere. Ricordo del resto che la nozione di spazio giudaico-cristiano, diventata di moda soprattutto dopo l’orrore nazista, è emersa solo di recente in Europa. Dall’avvento del cristianesimo all’epoca di Costantino, e fino al XX secolo, si era sempre parlato, facendo leva sull’antigiudaismo e sull’antisemitismo, soltanto di civiltà cristiana. Sottoscrivo appieno il punto di vista del grande pensatore tunisino Hichem Djaït, secondo il quale il patrimonio culturale degli arabi e dei musulmani è «imperniato su due poli: il polo religioso, che si inscrive nella tradizione semitica occidentale monoteistica, e il polo filosofico greco, da Platone ad Aristotele fino a Plotino». Ma lo spazio elleno-romano-giudaico-cristiano-musulmano, quali che siano le complementarità (filosofiche e ontologiche) che lo strutturano, è anche attraversato da distinzioni identitarie potenti, a loro volta articolate a partire da specificità etno-antropologiche e da diverse formazioni sociologiche.
Si potrebbe così mostrare, come ha fatto Germaine Tillon, qual è la base comune delle strutture di parentela nel Mediterraneo e quali sono gli usi singolari; studiare l’organizzazione dello spazio urbano in funzione delle credenze, delle differenze sociali e delle forme di scambio, e prendere in considerazione molti altri tratti significativi. Ma non voglio dilungarmi su tutto ciò. È sufficiente dire che il Mediterraneo è una terra identitaria per eccellenza e che è sempre stato caratterizzato dalla presenza di identità culturali differenti. La cultura che esalta le singolarità identitarie è tipica dei mediterranei. Essa è stata al centro della formazione dei grandi imperi (greci, romani, islamici) e degli stati nazionali come lo è degli attuali raggruppamenti regionali.
Tuttavia questa cultura è sempre stata ostacolata dalla presenza di un altro elemento: una cultura dello scambio, o degli scambi, inventata dai fenici e rilanciata dai musulmani (l’assegno dei musulmani e la lettera di cambio degli italiani) che costituisce l’asse di incontro fra le tre rive - nord, sud ed est.
Una simile cultura dello scambio implica necessariamente relazioni, un’apertura reciproca, una forma di tolleranza strutturale e una solidarietà di interessi. Schematicamente, si può dire che il Mediterraneo è l’intreccio di una cultura delle identità e di una cultura degli scambi. [...] Su questa struttura storico-culturale che costituisce lo zoccolo dello spazio mediterraneo, si innesta la realtà economico-politica contemporanea, caratterizzata da gravi disuguaglianze economiche (accentuate dalla costruzione europea); da rilevanti fratture sociali (dislocazioni di intere società, forti polarizzazioni, marginalizzazione) e demografiche (dialettica di invecchiamento al nord/società giovani al sud); da tragiche fratture politiche (Medio Oriente) la cui soluzione sfugge sia agli europei che agli arabi e infine, last but not least, dagli ostacoli frapposti, da quasi trent’anni, alla libera circolazione tra le due rive
Tutte queste fratture sono senza dubbio controbilanciate da accordi nonché da relazioni e strategie commerciali comuni (Conferenza di Barcellona) - ma tali aspetti restano secondari. La verità è che il Mediterraneo di oggi è brutalmente diviso, e che l’Europa, da parte sua, rivolge la propria attenzione più verso nord o, di recente, verso est, a scapito del sud (non dimentichiamo che anche le integrazioni di Spagna, Portogallo e Grecia sono state a suo tempo contestate).
Inevitabilmente tutto ciò genera una serie di dinamiche di ripiegamento portando in primo piano la cultura delle identità rispetto alla cultura degli scambi. La questione dell’integrazione della Turchia ne offre una chiara testimonianza. Insomma, la cultura dello scambio, che ha la grande virtù di relativizzare le appartenenze identitarie, è paralizzata oggi dalla cultura dell’identità (nella fattispecie europea) che ha la conseguenza negativa di separare i popoli. [...]