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Un nuovo Sessantotto? No, la protesta è infrasistemica

di Carlo Gambescia - 23/10/2008

Quel che finora non era riuscito a una sinistra alla camomilla, sembra stia ora riuscendo, per riproduzione sociale spontanea della protesta, al mondo della scuola (professori, studenti, famiglie: la protesta contro il decreto Gelmini, sta dilagando dalle scuole superiori all’Università. Mentre Berlusconi va assumendo nei riguardi dei manifestanti un tono “muscolare” (http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/scuola_e_universita/servizi/scuola-2009-2/parla-premier/parla-premier.html) .
Un nuovo Sessantotto? Assolutamente no. La protesta è di tipo infrasistemico, dunque moderata : ci si oppone a tagli e provvedimenti che vanno a ledere la qualità dell’insegnamento. E soprattutto, come nel caso delle “classi ponte”, la parità dei diritti dei cittadini, a prescindere dal colore della pelle, religione e lingua parlata. Un valore, quest'ultimo, oggi acquisito a livello di mentalità diffusa, a parte alcune pericolose sacche di razzismo, soprattutto politiche.
Un nuovo Settantasette? Sì e no. E spieghiamo perché.
La protesta pur essendo infrasistemica, a causa della crisi economica in atto, potrebbe assumere altre direzioni. Anche se, non sussistono legami culturali antisistemetici con i valori del Sessantotto e del Settantasette. Infatti la differenza culturale di fondo tra i primi due movimenti e quelli successivi, dagli anni Ottanta in poi, è stata nel tempo dettata dal diverso atteggiamento, soprattutto a livello diffuso, nel riguardi dell’introduzione nelle università del numero chiuso(1). Scelta "borghese" largamente condivisa (a parte alcune eccezioni) dalla sinistra istituzionale e studentesca. Nel senso che se altri movimenti vi sono stati, questi non si sono riprodotti socialmente con la stessa intensità (qualitativa e quantitativa) di quelli del Sessantotto e del Settantasette e soprattutto in nome di un'ottica di tipo egualitario e, se ci si passa l'espressione, socialmente antiborghese.
Questa volta, come dire, la variabile di ritorno è invece rappresentata dalla crisi economica in atto e da un ceto medio, i professori e soprattutto le famiglie. Soggetti, se ci si passa la caduta di tono, che si meritano la Gelmini: perché hanno accettato, da "bravi borghesi", a suo tempo, il numero chiuso, condiviso dalla stessa arciborghese sinistra governativa... Un ceto medio, dicevamo, che ora vede, minacciata la propria sicurezza economica, anche attraverso, per semplificare, la proletarizzazione dei figli… Di qui la possibilità - solo la possibilità e certo non nell'immediato - qualora si puntasse a risolvere con la forza, come auspica muscolarmente Berlusconi, il pericolo, come rivoluzionari e sociologi sanno, del rischio del passaggio dalle armi della critica alla critica delle armi. Di qui le tristi assonanze con il Settantasette. Che a differenza del Sessantotto aveva alle spalle la lunga crisi economica degli anni Settanta e il conseguente blocco del mercato del lavoro per le generazioni nate nella seconda metà degli anni Cinquanta.
Esageriamo? La parola ai lettori. Si spera, comunque, che Berlusconi ci ripensi.
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(1) Per il nostro atteggiamento nei riguardi dei numero chiuso si veda qui: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2007/09/universit-perch-il-numero-chiuso-non.html